venerdì 19 dicembre 2008

Cina, il sogno spezzato dell´energia solare

La recessione colpisce anche uno dei settori in maggiore espansione e le aziende licenziano i dipendenti La città di Wuxi era diventata in pochi anni la capitale mondiale delle fonti rinnovabili. Ora è al collasso, spiega Repubblica


Era fiera della sua nuova fama mondiale, la città di Wuxi. Grazie all´ascesa dell´azienda Suntech Power questo borgo nella provincia costiera del Jiangsu, a due ore di auto da Shanghai, era stato battezzato la capitale mondiale dell´energia solare. Nei pannelli fotovoltaici la Repubblica Popolare si è imposta come il primo esportatore mondiale, sorpassando sul fotofinish Germania e Giappone. E la Suntech era leader globale nel suo settore. Ma ieri in uno dei 48 reparti di produzione dell´azienda era visibile solo la guardia giurata. Ai tecnici e agli operai è giunto l´ordine di presentarsi un giorno alla settimana. La metà degli stabilimenti Suntech sono chiusi, duemila dipendenti licenziati. Tra i banchieri di Shanghai circolano voci di una possibile bancarotta. Da qualche settimana nelle oscillazioni frenetiche della Borsa cinese, che alterna ribassi per l´allarme-deflazione e rialzi per le speranze sulla manovra statale anti-crisi, l´unico settore che è andato sempre giù è il solare. Insieme alla Suntech Power anche SunPower, JA Solar, Ldk Solar, Trina Solar (nomi inglesi per facilitare l´export, ma proprietari cinesi) sono crollate inesorabilmente. Il presidente di Solar Enertech, Leo Young, evoca un´analogia sinistra: «Per il solare è giunto il giorno del giudizio come accadde per la bolla di Internet».Stiamo già abbandonando l´energia solare? Questo è il verdetto che arriva dalla Cina, il termometro più sensibile di quel che accade qui da noi. Perché se la Germania ha il maggior numero di centrali solari al mondo installate sul suo territorio, nella Repubblica Popolare invece la produzione di pannelli fotovoltaici è per il 95% destinata all´export, verso l´America e soprattutto l´Europa. Il crac del solare made in China è colpa nostra. In pochi mesi Wuxi è stata disertata dalle delegazioni di businessmen occidentali, hedge fund e banchieri d´affari, un tempo vogliosi di saltare sul carro in corsa delle fonti alternative. Nel 2007 la Cina era diventata l´epicentro di questa corsa all´"oro verde", l´energia pulita e rinnovabile che non emette un solo grammo di Co2 nell´atmosfera. L´anno scorso dalla Silicon Valley californiana e da Londra i fondi di venture capital avevano investito 2,8 miliardi di dollari nel solare cinese. Alla fine del 2007 per rispondere a questa irresistibile attrazione la Suntech aveva aperto per la prima volta una filiale a San Francisco. La produzione di pannelli fotovoltaici made in China era balzata fino a 1,088 gigawatt. Dei sedici maggiori fabbricanti mondiali di pannelli fotovoltaici, sei sono basati nella Repubblica Popolare e dietro questi grandi ci sono altri 400 piccoli produttori locali. Il boom del solare faceva parte di un trend più generale: a fine 2007 in Cina si contavano trentamila imprese attive nel business ambientale, con tre milioni di dipendenti e 700 miliardi di yuan di fatturato. Anche se nello stesso anno il gigante asiatico si era distinto per un sorpasso nefasto, togliendo all´America il primato mondiale delle emissioni di Co2, c´era un´altra Cina, la parte più avanzata del suo capitalismo, che aveva colto la nuova opportunità delle tecnologie verdi. L´evoluzione piaceva ai leader politici. Il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao, pur senza volersi legare le mani con gli impegni di Kyoto, negli ultimi due anni hanno cominciato ad aprire gli occhi davanti agli immensi danni di una crescita economica energivora e terribilmente inquinante. Il termine "sviluppo compatibile" è entrato nei discorsi ufficiali dei dirigenti di Pechino. Gli intraprendenti capitani d´industria che si erano lanciati nella produzione dei pannelli fotovoltaici erano l´avanguardia di una nuova Cina, il laboratorio di gestazione di un modello di crescita diverso. Lo choc della recessione ne ha messo a nudo la vulnerabilità.

Co2, che business vendere l'aria

Le industrie comprano certificati 'verdi'. I parchi li cedono. In mezzo, una selva di mediatori: alcuni sono veri ambientalisti, altri solo speculatori. In un mercato ancora senza regole né codice etico, spiega l'espresso.

Circola aria per 30 miliardi sulle piazze finanziarie d'Europa. Quotata in Borsa, venduta e comprata, oggetto di speculazione, giochi al rialzo e al ribasso, bolle e truffe: è il mercato dei 'carbon credit', certificati di credito di emissione di CO2, anidride carbonica. Figlio dei protocolli di Kyoto sull'ambiente, è segnato dagli stessi vizi capitali che hanno spedito sulle montagne russe il prezzo del petrolio e, Ratzinger insegna, quello dei generi alimentari affamando mezzo pianeta. Né i risultati sono migliori se le emissioni di CO2 sono addirittura aumentate del 10 per cento dal 1997, firma di Kyoto, e calate di appena l'1 per cento dalla direttiva 2003 che istituì il sistema di scambio di carbon credit nella Ue. Funziona così: chi inquina (le industrie, ma qualunque attività fino al singolo che prende un aereo) compra da chi pulisce (parchi, foreste, chiunque pianti un albero). In mezzo, tra domanda e offerta, si contano in Europa una sessantina di operatori, circa 250 nel mondo, da quelli con le migliori credenziali ambientaliste fino a spregiudicati broker di ogni fatta.

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni

giovedì 18 dicembre 2008

Le famiglie italiane vanno a scuola di risparmio energetico

Da L'Opinione

“Risparmia le energie” è un progetto innovativo presentato da ANCC-Coop a Roma che ha lo scopo di informare, sensibilizzare sulle tematiche dei cambiamenti climatici del risparmio e dell’efficienza energetica con l’obiettivo di riuscire a cambiare in meglio le abitudini quotidiane. L’iniziativa è stata patrocinata dal ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, da quello dello Sviluppo Economico e dal Consiglio Nazionale Consumatori e Utenti. Il nuovo progetto Coop per l’ambiente si snoderà per step progressivi nel corso di un anno. Protagoniste della campagna sono 1500 famiglie italiane, scelte come campione rappresentativo della popolazione, affiancate da tutor esperti in materia che stimoleranno le azioni da fare e promuoveranno anche iniziative sui territori, unite tutte assieme dal fatto di partecipare a una community on-line, che avrà a disposizione anche un sito che permetterà loro di attingere a continui scambi informativi, oltre che dialogare fra loro (www.risparmialeenergie.e-coop.it). Le 1500 famiglie riceveranno un kit di materiali e di testi, tra questi un dossier scientifico, un manuale per il risparmio energetico ricco di consigli utili, ma anche sette lampadine a basso impatto e tre riduttori di flusso. Le 1500 famiglie non dovranno stare con le mani in mano, a partire da una prima situazione che sarà descritta in un questionario iniziale, così da stabilire il punto zero, dovranno tenere un diario di bordo nel quale evidenziare le scelte e le modifiche apportate ai loro consumi, rispondere ogni trimestre a un monitoraggio che tiene conto di alcuni indicatori chiave per arrivare a fine anno a un punto di arrivo

Un progetto di risparmio ed efficienza energetica è stato lanciato dall’Eni di Paolo Scaroni più di un anno fa con l’obiettivo di permettere un risparmio del 30% sull’attuale bolletta energetica di ogni famiglia.

Come cambia l'acidità dell'oceano

Da Le Scienze

La composizione chimica dell’oceano è meno stabile di quanto ritenuto finora ed è molto più dipendente dai cambiamenti climatici: è quanto hanno scoperto i ricercatori dell’Università della California a Santa Cruz e della Carnegie Institution di Washington.
Secondo quanto riportato nell’ultimo numero della rivista “Science” la composizione chimica dell’oceano subì una brusca variazione in corrispondenza di un cambiamento del clima verificatosi 13 milioni di anni fa, e il timore è che lo stesso processo possa ripetersi oggi in risposta al global warming con conseguenze potenzialmente gravi per gli ecosistemi marini.

"Via via che la concentrazione di CO2 aumenta e che si modificano gli schemi del tempo meteorologico, cambia di conseguenza la composizione dei fiumi, e a sua volta anche quella degli oceani”, ha commentato Ken Caldeira del Dipartimento di ecologia globale della Carnegie Institution. "In particolare, questo processo cambierà la quantità di calcio e di altri elementi tra i sali disciolti nelle acque dell’oceano.”

La ricerca si è basata su campioni ottenuti da carotaggi dei sedimenti oceani prelevati dal Bacino dell’Oceano Pacifico. Dall’analisi degli isotopi del calcio nei grani del minerale baritina (BaSO4) in diversi strati, si potuto determinare che tra 13 e 8 milioni di anni i livelli di calcio si modificarono drasticamente, in corrispondenza dell’aumento della coltre antartica durante lo stesso intervallo. A causa dell’enorme volume di acqua trasformata in ghiaccio, il livello del mare diminuì.

"Il clima divenne più freddo, i ghiacci si espansero e i livelli dell’oceano calarono, e l’intensità, il tipo l’estensione dei fenomeni atmosferici sulla regione cambiarono”, ha commentato Griffith. “Ciò determinò dei cambiamenti nella circolazione oceanica e nella quantità e composizione di ciò che i fiumi portano nell’oceano.”

Le rocce contenenti calcio come il calcare sono la più grande riserva di carbonio del pianeta.

Il ciclo del calcio dell’oceano è strettamente collegato al biossido di carbonio atmosferico e con i processi che controllano l’acidità dell’acqua marina”, ha continuato Caldeira.

"Ciò che abbiamo compreso da questo lavoro è che il sistema oceanico è molto più sensibile ai cambiamenti climatici di quanto si sia mai ipotizzato”, ha concluso Griffith. "Pensavamo che la concentrazione di calcio, che rappresenta il maggiore elemento presente nell’acqua, cambiasse molto lentamente e gradualmente nell’arco di decine di milioni di anni, invece i nostri dati suggeriscono che ci possa essere una relazione molto più dinamica tra clima e chimica oceanica che talvolta può dare come risultato una rapida riorganizzazione biogeochimica.”

mercoledì 17 dicembre 2008

Quando le formiche si arrabbiano per l'uomo sono guai

La natura come capolavoro e come calda dimora. La natura come ricchezza e inesauribile pulsazione. La natura come certezza, oggi minacciata, come passato e come futuro. Questo il tema dell'ultimo libro di Edward O. Wilson, La creazione
(Adelphi). Wilson è un grande, un grandissimo, e come tutti i grandi è stato fieramente avversato e aspramente criticato da schiere di nani, pigmei, conformisti militanti e visconti dimezzati. Entomologo di professione e teorico di vocazione, Wilson ha inaugurato anni fa la stagione della sociobiologia, suscitando vespai incredibili e andando a turbare i sonni dogmatici di schiere di ideologi accademici. In anni recenti ha preferito ripiegare su temi più scontati e politicamente corretti come la biodiversità e la conservazione del patrimonio floreale e faunistico del nostro pianeta. Ma lo ha fatto da par suo, sorretto dalla sua enorme competenza in materia di insetti, i quali rappresentano da soli un quinto delle specie viventi, e da una squisita sensibilità naturalistica. (In questo caso, come in tutti gli altri, sensibilità significa vivace interesse accompagnato da una grande preparazione.) Non è un libro pro o contro il creazionismo, nonostante il titolo e il fatto che ciascun capitolo inizi come una lettera indirizzata a un non meglio identificato Reverendo, un pastore battista del Sud degli Stati Uniti. È un libro sulla natura e il suo fascino e contro la cecità degli uomini che la stanno progressivamente devastando. «Se le attività distruttive dell'uomo continueranno al ritmo attuale, metà delle specie animali e vegetali della Terra scomparirà entro la fine del secolo. Per il solo effetto del cambiamento climatico globale, nei prossimi cinquant'anni perderemo un buon quarto di queste specie». E sarà un grosso danno anche per noi, per quello che Wilson chiama «il primo principio dell'ecologia umana: la specie homo sapiens è confinata in una nicchia ecologica estremamente piccola», vale a dire la scorza superficiale di questo pianeta, con la sua atmosfera, ma soprattutto con la sua biosfera, «la totalità di tutte le forme di vita, generatrice del-l'aria, depuratrice dell'acqua, conservatrice dei suoli, ma che di per sé è una fragile pellicola che aderisce debolmente alla superficie del pianeta».
Il libro non è solo un elenco di catastrofi imminenti, ma è anche una storia appassionante di specie animali e vegetali, che danno tutte il loro piccolo o grande contributo alla conservazione di quel gigantesco meccanismo omeostatico che è la natura nel suo complesso. È scritto a tratti come un giallo, perché il naturalista indaga questo o quel fenomeno naturale, cercando di carpire i segreti biologici e di risolvere anche alcuni misteri storici, come le ripetute gravi carestie registrate nelle diverse isole dei Caraibi dopo l'arrivo degli Spagnoli e dovute all'improvvisa sproporzionata espansione della popolazione di piccole formiche, talvolta «di fuoco», e dei loro commensali. Sono storie di specie singole o di gruppi di specie che dovrebbero appassionare ogni vero amante della natura, che trova qui anche la garanzia della veridicità e del rigore scientifico delle diverse affermazioni. Il tema dominante è la conservazione, o almeno la non spoliazione, del paesaggio naturale, dalla foresta alla marcita, dalle regioni pluviali a quelle desertiche, o divenute tali. Sembra che non veda molto di buono Wilson nell'opera dell'uomo, o almeno così cerca di farci credere, mentre descrive il più appassionante «corpo a corpo» della storia: quello dell'homo sapiens e di tutte le altre specie del creato...
(da Il Corriere della Sera)

Clima, da Strasburgo via libera al pacchetto

Le sei direttive approvate oggi dall'assemblea di Strasburgo contengono gli strumenti per raggiungere entro il 2020 un triplice obiettivo: riduzione del 20% delle emissioni di gas a effetto serra, aumento del 20% del risparmio energetico e aumento al 20% della quota dei consumi totali coperta da energia prodotta da fonti rinnovabili. «Il Parlamento - ha detto al termine delle operazioni di voto il presidente dell'assemblea di Strasburgo Hans Gert Poettering - ha avuto un atteggiamento di grande cooperazione con il Consiglio, ma la procedura adottata è un'eccezione».
Per facilitare e mettere in sicurezza l'esito dell'esame parlamentare, la presidenza ha infatti deciso di sottoporre al voto prima di tutto gli emendamenti frutto del compromesso raggiunto tra Consiglio-Commissione e Parlamento. Una volta approvati questi emendamenti tutti gli altri sono automaticamente decaduti e il pacchetto clima è stato adottato.
Le direttive approvate oggi riguardano: il sistema di scambio delle emissioni di gas a effetto serra; la ripartizione tra gli Stati membri degli sforzi per ridurre le emissioni; la cattura e lo stoccaggio geologico del CO2; l'aumento del ricorso alle energie rinnovabili. È stato inoltre dato il via libera alla direttiva per la riduzione delle emissioni di CO2 delle auto e per la riduzione dei gas a effetto serra derivanti dal ciclo di vita dei combustibili.(da Il Tempo)

Ma cosa fanno i grandi gruppi per l'ecologia? Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

martedì 16 dicembre 2008

La ricetta di Obama: dal clima 5 milioni di occupati

La crociata sull'ambiente del presidente eletto Barack Obama ha da ieri un nome e un volto: quelli di Carol Browner. Sarà la 53enne ex responsabile dell'agenzia per la protezione ambientale sotto Bill Clinton, grande protetta di Al Gore, a guidare il Consiglio sulle politiche ambientali ed energetiche. Una Zarina, insomma, per risanare l'ambiente, presentata dal presidente nei panni di grande coordinatrice della sua squadra sull'energia. «Dobbiamo avanzare verso una nuova frontiera energetica – ha detto Obama – e creare una nuova economia ibrida». Ma gli obiettivi, per l'amministrazione entrante, non saranno facili da rispettare. Obama ha promesso di varare una strategia energetica che sappia lottare contro le emissioni dell'effetto serra e la dipendenza dal petrolio e dal carbone. Una strategia che sappia anche ricucire gli strappi tra Stati Uniti e altre potenze occidentali sull'impegno ecologico. Queste ambizioni rischiano tuttavia di essere messe in ombra dalle necessità di lottare contro l'altra, immediata crisi che richiede sempre più attenzione e ingenti risorse: quella economica e finanziaria.
Per conciliare le priorità Obama ha messo a punto una politica che si propone di usare le tecnologie verdi già al centro delle iniziative che l'anno prossimo, al prezzo di forse 700 miliardi di dollari, dovranno stimolare il rilancio dell'economia. Interventi che vanno dalle costruzioni all'auto. C'è anche lo slogan: re-power America, dare nuova energia al Paese. E c'è, sullo sfondo, soprattutto il programma di lungo periodo: fin dalla campagna elettorale il prossimo presidente ha delineato un piano che vuole creare cinque milioni di posti di lavoro verdi, i "green collar jobs", grazie a investimenti stimati in 150 miliardi di dollari nell'arco di dieci anni che dovrebbero mobilitare anche la partecipazione del settore privato. Ancora: entro il 2012 vuole produrre almeno il 10% del fabbisogno di elettricità da fonti rinnovabili e entro il 2025 far lievitare la percentuale al 25%. E poi far scattare un sistema di "cap and trade", di scambio di permessi inquinanti che abbia l'obiettivo esplicito di ridurre i gas dannosi per l'atmosfera dell'80% entro la metà del secolo.
Altrettanto certo è, però, che sull'ambiente Obama riceve un'eredità pesante da George W. Bush. Entro il 2009 le diplomazie mondiali hanno l'obiettivo di forgiare un nuovo trattato sul clima che rimpiazzi il Protocollo di Kyoto del 1997. Quel trattato fissò limiti alle emissioni e gli Usa non le hanno mai accettate. Adesso Obama ha il compito di lanciare una nuova intesa che possa essere approvata dal Parlamento. Qualche segno di maggior disponibilità ad agire all'unisono con Obama sta arrivando dal Congresso, che a gennaio avrà una rafforzata maggioranza democratica. La commissione Ambiente del Senato ha già in preparazione due leggi sull'effetto serra, una per promuovere l'efficienza nell'ambito di stimoli economici immediati e l'altra per dare vita al "cap and trade". Browner, inoltre, sarà affiancata da una squadra agguerrita: segretario all'Energia sarà Steven Chu, Nobel per la fisica vicino al movimento ambientalista. Lisa Jackson sarà a capo dell'agenzia per la protezione ambiantale Epa e Nancy Sutley dirigerà il Consiglio per la qualità ambientale della Casa Bianca.

L'Australia fa dietrofront sulle emissioni

Dal Sole 24 Ore

Dopo mesi di indiscrezioni, il premier australiano Kevin Rudd ha finalmente rivelato il suo piano per combattere le emissioni di gas serra: l'Australia, uno dei grandi Paesi inquinatori, le taglierà del 15% entro il 2020 solo se si raggiungerà un patto mondiale sul clima ( ipotesi alla quale Canberra crede poco). In caso contrario, procederà a un taglio unilaterale del 5 per cento. Il piano prevede anche l'avvio di uno schema di scambio delle emissioni entro il luglio 2010, aiuti per 4 miliardi di dollari australiani (2 miliardi di euro) all'industria energetica ed esenzioni fino al 90% alle imprese più inquinanti.L'annuncio, avvenuto a ridosso dell'impegno preso dall'Unione Europea a ridurre le emissioni del 20%, è stato salutato con favore dal mondo industriale, colpito dalla crisi economica internazionale, e attaccato dagli ecologisti, delusi da un primo ministro che in campagna elettorale aveva fatto ben altre promesse e che, non appena assunto l'incarico, si era affrettato a firmare il protocollo di Kyoto, a lungo ignorato dal suo predecessore John Howard.«Non possiamo promettere ciò che non riusciremmo a mantenere. I nostri target sono in linea con quelli di altre nazioni sviluppate» ha replicato Rudd, specificando di aver preso in considerazione il tasso di crescita della popolazione e che quindi i tagli per abitante sarebbero comparabili a quelli dei Paesi europei. Rudd ha proseguito sostenendo di essere riuscito a bilanciare esigenze economiche e ambientali.I principali commentatori sono però di avviso diverso. «Se di guerra si trattava- commenta Gary Cox, a capo della divisione derivati ambientali di Newedge- l'economia ha sicuramente vinto». Particolarmente generosi infatti sono gli aiuti previsti all'industria energetica a compensazione dell'impegno a combattere i cambiamenti climatici: 3 miliardi di dollari australiani (1,5 miliardi di euro) andranno ai fornitori di energia elettrica e 750 milioni all'industria del carbone. Il Governo ha anche mantenuto gli impegni inizialmente previsti, quando, prima della crisi finanziaria, pensava di adottare tagli di Co2 più consi-stenti: la "Borsa" dei gas serra, che coprirà il 75% delle emissioni e interesserà mille grandi aziende, includerà esenzioni fino al 90% per i principali inquinatori allo scopo di proteggerli nel caso dovessero confrontarsi sul mercato internazionale con rivali "non tassati". Inoltre, entro il 2020 la metà dei permessi a inquinare verranno concessi gratuitamente. Rudd, infine, non ha dimenticato i cittadini: nei prossimi cinque anni 30 miliardi di dollari saranno stanziati alle fasce deboli della popolazione a compensazione del previsto aumento del costo dell'elettricità (+18%) e del gas (+12%).«Rudd ha deciso di avvolgere l'industria australiana nella bambagia - commenta Julie Toth, economista di Anz Bank - in un momento in cui era già rassegnata ad accettare tagli alle emissioni dal 10-15 per cento».

Anche i grandi gruppi energetici iniziano a muoversi? Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

lunedì 15 dicembre 2008

Clima, dodici mesi per mettere d'accordo il mondo

Da Il sole 24 Ore online

E' arrivato il momento in cui la specie umana, per la prima volta nella storia, è chiamata a prendere una consapevole decisione in comune», al fine di scongiurare il rischio che «non il pianeta, ma le condizioni che lo rendono abitabile, vengano distrutte». Al Gore è ormai un esperto nell'arringare le folle. E ieri, durante il suo atteso discorso al vertice climatico di Poznan – in realtà seguito più dal popolo degli ambientalisti che non dai diplomatici dei 190 Paesi presenti – ha saputo guadagnarsi la sua brava standing ovation. Eppure, la specie umana è ancora lontana, dal prendere la prima decisione collettiva della sua storia.Il vertice polacco delle Nazioni Unite si è chiuso alle 3 di notte – quasi una tradizione, per questo appuntamento – con un accordo che nessuno potrà mai azzardarsi a definire "storico": ha varato un programma per il trasferimento di tecnologie pulite dal mondo ricco quello povero e ha aggiustato qualche dettaglio qua e là, con qualche esplicita irritazione dei Paesi in via di sviluppo all'una di notte, per via del mancato reperimento di adeguate risorse finanziarie per il cosiddetto Fondo di adattamento al climate change. Ma anche un accordo che, se non altro, è riuscito a mantenere la dritta barra della navigazione verso il vertice di Copenhagen dell'anno prossimo, quando, secondo gli auspici di tutti, si dovrebbe arrivare alla firma del trattato che prenderà il posto del Protocollo di Kyoto dal primo gennaio 2013.Ovviamente, tutto dipende dai punti di vista. Fra gli affollati corridoi del Palazzo dei congressi di Poznan, c'è chi parla di bicchiere mezzo pieno e chi di bicchiere mezzo vuoto. Tanto per l'esito del vertice polacco, dal quale nessuno si aspettava rivoluzioni, ma soprattutto per l'esito della riunione del Consiglio europeo a Bruxelles. «L'Unione Europea ha preso una decisione unanime, che avrà un impatto su Copenhagen», dice John Kerry, arrivato in Polonia per portare al mondo le promesse della nuova America "verde" che va a cominciare sotto il segno di Obama. «Un passo indietro rispetto alle promesse e ai proclami», ribatte Stephan Singer, direttore delle politiche energetiche del Wwf. «Un successo, sì - risponde il commissario europeo Stavros Dimas – basta non dimenticare che l'impegno della Commissione resta di arrivare a un taglio delle emissioni-serra del 30%, e non del 20%, entro il 2020. Bisogna seguire la scienza, non le ideologie». Un impegno che Dimas spera ancora di raggiungere a Copenhagen.Di fatto, la vera sfida del vertice danese dell'anno prossimo sarà riuscire a dare i numeri. I numeri dell'impegno – dei Paesi industrializzati prima e di quelli in via di sviluppo in una seconda fase – per realizzare drastico taglio delle emissioni di anidride carbonica entro metà secolo. Al momento, una vera giungla: il Regno Unito ha già varato per legge l'impegno di ridurle dell'80%, entro quella data. La Norvegia ha detto di voler diventare carbon neutral (ovvero tagliarle del 100%). Ma il passaggio difficile, sarà inchiodare tanto il Nord che il Sud del mondo alle «comuni ma differenziate responsabilità» dell'effetto serra, come recita la Dichiarazione di Rio del 1992. In altre parole, i Paesi ricchi che bruciano allegramente i combustibili fossili da un secolo e mezzo, hanno maggiori responsabilità di chi ha cominciato più tardi, inclusa la Grande ciminiera cinese.«Se qui a Poznan abbiamo visto pochi progressi – commenta Duncan Marsh, di The Nature Conservancy, un'organizzazione non governativa – in realtà, fuori dal negoziato, di progressi ce ne sono stati. I Paesi in via di sviluppo hanno mostrato la loro risolutezza. Brasile, Messico e Perù, per esempio, hanno annunciato precisi obbiettivi di riduzione delle emissioni», nonostante Kyoto non li obblighi. «Appena due anni fa – ha detto Gore, nel sottolineare la velocità di certi cambiamenti – la Cina veniva definita un ostacolo in queste trattative. Oggi, la Repubblica Popolare sta dimostrando di essere pronta ad assumere la leadership della lotta ai cambiamenti climatici», con impegni altisonanti e con fatti concreti.

Così le grandi aziende energetiche dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili: il caso Eniscuola dell’Eni guidato dall’ad Paolo Scaroni.

«Le alluvioni in Italia? Eventi previsti, ma trascurati»

Da Il Giorno

«LA PIENA del Tevere? Eventi come le alluvioni in Italia e in altre parti del globo sono esattamente quello che noi abbiamo previsto. E accadrà sempre più per effetto del cambiamento climatico. Non posso fare affermazioni su un solo evento, ma se allarghiamo la scala, il quadro è chiaro. E chi non lo vede o è male informato, o rema contro perché ha voglia di protagonismo oppure ha molti fondi per negare l’evidenza. E non è difficile immaginare da dove vengano». Il professor Rajeendra Kumar Pachauri è il presidente dell’Ipcc, il comitato di scienziati creato dall’Onu per studiare il cambiamento climatico e i cui 4 rapporti costituiscono l’ossatura del processo negoziale che ha portato a Kyoto e ora sta portando verso un nuovo protocollo. Nel 2007 Pachauri è stato insignito con Al Gore del premio Nobel per la pace. Professor Pachauri, che cosa prevede il quarto rapporto dell’Ipcc relativamente agli eventi meteo estremi? «Che diventeranno sempre più intensi. Alle vostre latitudini avremo periodi di siccità più lunghi, specie al Sud del vostro Paese, e precipitazioni più concentrate e intese. Diminuirà la copertura nevosa, e questo determinerà una riduzione della portata dei fiumi in estate. Avremo un accresciuto rischio di alluvioni pericolose specie se non si farà attenzione alla pianificazione territoriale. Ma non è solo un problema di precipitazioni. Diventeranno più frequenti e intense le ondate di calore come quella del 2003 e le fasce climatiche si sposteranno a Nord. Verso la metà del secolo Roma avrà il clima di Napoli. E quindi l’agricoltura dovrà cambiare le specie da coltivare e i sistemi di irrigazione, anche a causa della desertificazione di molti terreni e all’avanzamento dell’acqua salata nel delta dei fiumi e nelle falde costiere. E’ necessario adattarsi da adesso, anche se gli impatti accederanno presto la nostra capacità di adattarci». Quali saranno gli effetti sul livello del mare? «Ha visto la recente acqua alta a Venezia?». Voi dell’Ipcc però ritenere probabile che l’aumento del livello del mare sia meno di un metro a fine secolo, ma recenti studi dicono che se la temperatura si innalzerà oltre 1.5 gradi sopra i livelli preindustriali, cioè mezzo grado in più di oggi, si potrebbe innescare uno scioglimento dei ghiacci della Groenlandia. «Lo so bene. Ma noi non ci basiamo solo su una pubblicazione o due, ma su centinaia. Nel quarto rapporto non abbiamo messo un tetto massimo sull’innazamento del mare, ma solo indicato una cifra probabile. Però abbiamo anche scritto che potremmo avere cambiamenti climatici improvvisi e irreversibili. E ci riferivamo allo scioglimento della calotta glaciale che copre la Groenlandia. Che significherebbe un innalzamento del livello del mare tra sei e sette metri». Quanto tempo abbiamo? «Per limitare il riscaldamento di 2 gradi siamo molto vicini al livello al quale si deve stabilizzare. Il 2015 è l’anno limite entro il quale dobbiamo raggiungere il picco delle emissioni e poi iniziare a scendere. E il 2015 è dopodomani». Crede che ce la faremo? «Ci sono sempre più leader convinti che il cambiamento climatico sia reale. E quindi sono cautamente ottimista sul fatto che a Copenaghen si raggiunga un accordo globale. Quando la situazione economica sarà più chiara i governi si focalizzeranno sulle misure per far ripartire l’economia. E una ristrutturazione energetica come quella richiesta dalla lotta al cambiamento climatico provvederà anche un’occasione per produrre milioni di posti di lavoro».

venerdì 12 dicembre 2008

Un Nobel per la fisica per l'ambiente Usa

Ha vinto il Nobel per la Fisica 11 anni fa manipolando atomi, ma da tempo la sua passione è la caccia alle fonti di energia alternative e lo studio dei cambiamenti climatici. Stephen Chu , 60 anni, il cinese-americano di Berkeley che Barack Obama si appresta a nominare "zar" dell'Energia, è uno scienziato "verde". Chu ha diretto per 4 anni il "Lawrence Berkeley National Laboratory" nel campus californiano, trasformandolo in uno dei centri di ricerca leader al mondo nella ricerca sulle fonti di energia rinnovabili, con un budget di 650 milioni di dollari.
(da Il Messaggero.it)

L'obiettivo ora è Copenhagen

«Desidero annunciare che l'Italia, durante la presidenza del G8 nel 2009, promuoverà tutte le iniziative utili a facilitare il raggiungimento di un accordo a Copenhagen». L'assemblea plenaria del vertice climatico delle Nazioni Unite, che si chiuderà oggi a Poznan, ha tributato un caloroso applauso al ministro Stefania Prestigiacomo, forse accogliendo le sue parole come il segnale che il Consiglio europeo in corso a Bruxelles riuscirà a trovare un'intesa sulle misure contro i cambiamenti climatici. «Me lo auguro anch'io», commenta il ministro dell'Ambiente, subito dopo il suo intervento. Il guaio è che, a poche ore dalla conclusione di due estenuanti settimane di lavori diplomatici, non è ancora chiaro quali saranno gli esiti del vertice di Poznan.Ad ascoltare le dichiarazioni dei 140 ministri che sono sfilati ieri sul palco, il consenso sulle misure da intraprendere sembrerebbe abbastanza vasto da garantire un successo del summit polacco, al quale si chiede di tracciare soltanto la strada che dovrebbe portare, fra un anno esatto, alla firma di un Protocollo di Copenhagen, destinato a sostituire quello di Kyoto dal 2013 in poi. Ma è evidente che, un conto sono le dichiarazioni ufficiali, un conto le più riservate posizioni negoziali.Non a caso, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban-Ki Moon, nell'aprire i lavori di ieri, ha usato toni aulici. «Il mondo ci sta guardando. Le generazioni future contano su di noi. Non possiamo fallire», ha detto. «Non ci possono essere ripensamenti, al nostro impegno a ridurre le emissioni di anidride carbonica».Fatto sta che, sulla strada verso Copenhagen – 353 giorni, 22 ore, 11 minuti e 24 secondi, come si leggeva in quel momento sul diplay piazzato sul palco per esibire il conto alla rovescia – è facile che i governi di 190 Paesi del mondo saranno destinati a incontrarsi di nuovo, anzitempo. «Sto pensando di convocare un summit sul clima, in occasione dell'Assemblea generale del prossimo settembre», ha ammesso il numero uno della diplomazia internazionale. Segno che, di problemi da risolvere, ce ne sono ancora troppi.In verità, lo scenario sta cambiando rapidamente. «Gli Stati Uniti sono felici di concludere questa conferenza con una piano di lavoro che ci porterà verso gli intensi negoziati dell'anno prossimo», ha dichiarato Paula Dobriansky, viceministro dell'amministrazione Bush che, però, l'anno prossimo non ci sarà. «Siamo pronti ad assumerci la responsabilità per significativi tagli alle emissioni», ha rincarato poco dopo John Kerry, l'ex candidato alla presidenza, arrivato ieri a Poznan in qualità di inviato di Barack Obama.Negli ultimi due anni, lo stallo climatico internazionale era stato attribuito alla latitanza di Bush e al fatto che, sotto Kyoto, la Cina non ha obblighi. Ma ieri Moon ha apertamente elogiato Pechino per il suo atteggiamento e le sue azioni.«L'anno scorso – ha detto il ministro cinese Zhenhua Xie – abbiamo chiuso piccole centrali a carbone che producevano 14 gigawatt, e quest'anno altre per 14,5 gigawatt. Intanto, generiamo 164 gigawatt con l'idroelettrico, 10 con l'energia eolica e abbiamo installato 130 milioni di metri quadrati di pannelli solari. Nei prossimi due anni, investiremo 4mila miliardi di yuan (1,5 miliardi di euro) nelle rinnovabili, nell'efficienza energetica e nella protezione ambientale».E queste sono le dichiarazioni ufficiali. «La delegazione cinese – si legge in un documento riservato, tratto dai lavori di due giorni fa – esprime il proprio disappunto per il lavoro fatto sin qui. Ci sembra che i Paesi industrializzati stiano preparando la grande fuga da Copenhagen », il futuribile trattato che dovrà prescrivere anche gli impegni che i Paesi emergenti si accolleranno dal 2020 in poi.Ieri intanto, le associazioni ambientaliste hanno assegnato all''Italia il premio «Fossile del giorno», per le dichiarazioni rilasciate dal presidente Berlusconi al vertice di Bruxelles.
(Da Il Sole 24 Ore)
Per sapere come si muovono le grandi aziende italiane in campo ambientale vedi l’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni.

giovedì 11 dicembre 2008

Quando il sole batterà il carbone

Dal Sole 24 Ore

L' energia solare è una realtà, mica una promessa. Eppure, secondo i top manager di tre delle più grandi imprese fotovoltaiche del mondo – la cinese Suntech Power, l'americana First Solar e l'inglese Solarcentury – sembra quasi che nessuno lo sappia. «Qui parlano tutti di ridurre le emissioni di gas-serra – dice Jeremy Leggett, il fondatore di Solarcentury – senza tenere conto che le attuali tecnologie fotovoltaiche sono già più che sufficienti per soddisfare, nel medio periodo, il fabbisogno di energia e di elettricità».Il «qui», si riferisce al vertice climatico dell'Onu che si chiuderà domani a Poznan e presumibilmente destinato a non restare nella storia. «Il solare viene visto come una delle opportunità, non come la più razionale delle strategie possibili per superare il problema delle emissioni- serra», prosegue Leggett. «Ma c'è di più: in Inghilterra, il Comitato sui cambiamenti climatici ha appena pubblicato un rapporto nel quale si sostiene che l'energia solare non sarà rilevante in questo secolo. Una follia. Mi chiedo da dove abbiano preso quei dati».In compenso, i dati in mano a Leggett, a Mike Ahearn di First Solar e a Zenghrong Shi di Suntech, parlano chiaro: «L'anno scorso sono stati investiti circa 120 miliardi di dollari nelle rinnovabili, 28 dei quali nel solare, con una crescita del 67% sull'anno precedente. Basta parlare con i venture capitalist della Silicon Valley, per rendersi conto della portata del fenomeno». «La tecnologia sta facendo passi da gigante – ammette Shi – e al massimo entro cinque anni avremo raggiunto la grid parity », ovvero il punto in cui l'elettricità dal fotovoltaico costerà quanto quella che deriva dalle fonti fossili, o magari anche meno.«I costi si stanno abbassando drasticamente», assicura Ahearn. «Noi abbiamo cominciato nel 2005, producendo pannelli a film sottili con una capacità complessiva di 20 megawatt. Quest'anno arriveremo a quota 500. E l'anno prossimo prevediamo di raddoppiare ulteriormente la produzione, toccando un gigawatt di potenza, l'equivalente di una centrale nucleare. E se nel 2005 i nostri costi erano intorno a 3 dollari per watt, siamo già vicini a un dollaro per watt». Ma non è finita qui: «Quando è cominciata l'avventura di First Solar, avevamo un'efficienza di conversione energetica del 6%. Oggi siamo già arrivati all'11% e la percentuale crescerà ancora». Fino al punto che, annuncia il fondatore di First Solar – una delle poche storie di successo degli ultimi anni al Nasdaq – colossi del calibro di Intel, Shell o General Electric si preparano a giocare anche loro la partita solare.

Un progetto di risparmio ed efficienza energetica è stato lanciato dall’Eni di Paolo Scaroni più di un anno fa con l’obiettivo di permettere un risparmio del 30% sull’attuale bolletta energetica di ogni famiglia.

Clima e Ue, Berlusconi pronto a mettere il veto

Dal Corriere della Sera

L'Italia minaccia di bloccare il «pacchetto clima-ambiente» nel vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione europea oggi e domani a Bruxelles, dove è atteso un duro scontro tra vari Paesi membri interessati a modificare le regole del nascente mega-business dell'anti-inquinamento. «Se gli interessi italiani saranno colpiti io opporrò il diritto di veto e non avrò nessuna esitazione», ha affermato il premier Silvio Berlusconi, schierato sulla linea della Germania, che punta a tutelare le industrie nazionali dai maggiori costi imposti dalle restrizioni ecologiche. Il Regno Unito vorrebbe creare un vero mercato della compravendita delle emissioni inquinanti. I Paesi membri dell'Est si aspettano compensazioni dagli esborsi pagati dagli Stati più industrializzati. Il presidente francese di turno del-l'Ue, Nicolas Sarkozy, ha fatto elaborare una proposta di compromesso per graduare sulle esigenze nazionali il conseguimento nel 2020 del taglio delle emissioni inquinanti del 20%, dell'aumento del 20% delle energie rinnovabili e di un miglioramento del 20% dell'efficienza energetica. «La posizione del governo nella difficile trattativa in Europa è pienamente condivisibile », ha detto il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia chiedendo la «totale difesa» delle industrie di siderurgia, ceramica, vetro, carta, laterizi, chimica. Il sottosegretario Gianni Letta ha riunito a Palazzo Chigi i ministri Andrea Ronchi (Politiche comunitarie) e Stefania Prestigiacomo (Ambiente) per preparare il vertice. «Abbiamo fissato i punti oltre i quale non si tratta più e va messo il veto », spiega Ronchi, fin dall'inizio portatore della difesa a oltranza dell'industria manufatturiera. «Per raggiungere un'intesa efficace occorre saldare i temi della lotta ai cambiamenti climatici con quello della crescita economica nei Paesi in via di sviluppo», ha detto la Prestigiacomo che ha auspicato una possibile svolta partendo per la Conferenza dell'Onu a Poznan sui cambiamenti climatici. Critiche al premier sono arrivate dall'opposizione, dopo la notizia dell'arretramento dal 41Ëš al 44Ëš posto dell'Italia nel Performance Index di German Watch, che valuta la lotta alle emissioni inquinanti nei 57 Paesi più significativi.

mercoledì 10 dicembre 2008

Casa Bianca o... verde?

“Al primo posto della mia presidenza ci sarà l’energia: in dieci anni dobbiamo diventare indipendenti dal petrolio del Medio Oriente”, ha detto il presidente eletto Barak Obama, centrando la campagna giusta anche sul fronte dell’ambiente. Infatti, se da un lato il prossimo Presidente degli Stati Uniti d’America vuole dare il via a nuove trivellazioni per la ricerca di petrolio, dall’altro propone 15 miliardi di dollari di investimento annuo in energie poco inquinanti e promette 5 milioni di nuovi posti di lavoro. Si punta sulle energie rinnovabili ed ecco che la Casa Bianca si tinge di verde: sole, vento, mare e calore della Terra, ovvero quelle fonti energetiche il cui utilizzo non è soggetto ad esaurimento. Lo sviluppo delle energie alternative è ormai un’esigenza comune sia ai Paesi industrializzati che a quelli in via di sviluppo. In particolare, se i primi necessitano di razionalizzare l’utilizzo delle risorse, ridurre l’inquinamento e assicurarsi un approvvigionamento energetico sufficiente al proprio fabbisogno, i secondi reclamano una concreta opportunità di sviluppo sostenibile e di accesso all’energia anche in aree remote.

Tanaka (Aie): un New deal per l'energia pulita

Dal Sole 24 Ore

Nobuo Tanaka la pensa diversamente. «Il rallentamento dell'economia globale non deve frenare gli sforzi per evitare cambiamenti climatici disastrosi. C'è bisogno che i previsti investimenti per stimolare l'economia vengano riversati sulle tecnologie rinnovabili e sull'efficienza energetica». A questo pensiero, il 58enne direttore esecutivo dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (Aie), ha dato anche un nome: «il New deal dell'energia pulita». Forse un po' altisonante, forse un po' gettonato (dopo che il trionfo popolare di Barack Obama ha rievocato Roosevelt e la Grande depressione), ma– vista la portata della partita in gioco – un nome appropriato.Tanaka è a Poznan, all'estenuante vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, dove gli scienziati alzano i toni dell'allarme e i delegati governativi smorzano le aspirazioni del negoziato. Nei corridoi, gira già voce che il successo del summit 2009 a Copenhagen – da tutti indicato come l'inizio della pax climatica internazionale – sia già compromesso. Il che, è ovviamente eccessivo. Ma anche Tanaka, l'uomo che guida l'agenzia dell'Ocse nata all'indomani del primo shock petrolifero per difendere gli interessi energetici dell'Occidente, assicura che non è proprio il momento di tornare indietro, anzi. «Se vogliamo stabilizzare le concentrazioni di CO2 sotto la soglia delle 450 parti per milione, indicata dagli scienziati come la soglia di rischio – spiega – dobbiamo attrezzarci per diminuire progressivamente i consumi di idrocarburi fossili. Siamo tutti d'accordo che lacrisi finanziaria vada fronteggiata in fretta e che gli investimenti per stimolare l'economia sono necessari. Ma perché non farli finalmente in modo sostenibile? Perché non cambiare subito il modo in cui si costruiscono le case, in cui si organizza il trasporto pubblico? E perché non investire nelle infrastrutture di energia pulita? Ci sono benefici per tutti, nel breve e nel lungo termine».In realtà,a Tanaka –bersaglio degli strali ambientalisti quando ha suggerito un mix energetico con un 25% di nucleare – sta soprattutto a cuore il lungo termine. Un giorno, comunque vada, la crisi finanziaria finirà. E lì saranno fatalmente dolori. «È ancora possibile che la domanda petrolifera scenda, nel 2009. Ma a un certo punto riprenderà a crescere, e molto rapidamente. Proprio il contrario dell'offerta, soprattutto perché il basso prezzo del greggio sta facendo rinviare gli investimenti», sui giacimenti e le raffinerie.La somma di questa equazione è un possibile supply crunch, un'interruzione dei flussi petro-liferi, che l'Aie giudica possibile a metà del prossimo decennio. Lo scopo dell'agenzia è quello di evitare altri shock petroliferi, ad esempio gestendo un sistema di riserve strategiche, usato ogni qual volta si provoca un blocco dell'offerta, com'è successo quando Katrina ha colpito il Golfo del Messico. «Ma l'epoca del petrolio a basso prezzo è finita – sentenzia Tanaka – e i governi devono rendersene conto». C'è un problema economico. Ce n'è uno di sicurezza energetica. E pure uno ambientale.«È inevitabile che alle emissioni di anidride carbonica – spiega – venga assegnato un costo. E, secondo alcuni calcoli, finiremo a 180 dollari per ogni tonnellata di CO2 emessa» intorno al 2030, entro il quale dovremmo aver dimezzato l'emissioni-serra, secondo le raccomandazioni degli scienziati. Quindi è bene prepararsi.La crisi economica sembra destinata a rinviare gli investimenti nell'infrastruttura "fossile" e anche a scoraggiare gli investimenti in quella rinnovabile. Ma Tanaka, che prevede un'escalation della domanda di energia da qui a metà secolo, assicura che bisogna scommettere su tutte e due.«Ormai, la maggior parte della gente del mondo condivide questa necessità di trovare nuove risposte, al nostro fabbisogno di energia», riassume Nobuo Tanaka. «Fino al 2030, la produzione petrolifera potrà crescere, ma poi declinerà. I prezzi sono destinati a salire». Sembra il momento perfetto, per un New deal.

Anche i grandi gruppi iniziano a muoversi. Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

lunedì 8 dicembre 2008

I grandi gruppi: sul clima servono decisioni rapide

L'appello è altisonante: i cambiamenti climatici pongono seri rischi sociali, ambientali ed economici e richiedono una trasformazione del sistema produttivo. Dobbiamo ridurre, velocemente e sostanziosamente, le emissioni di anidride carbonica. Ritardare ulteriormente queste decisioni farà salire ancora di più i costi complessivi.«Per questo chiediamo ai delegati del summit di Poznan»,dove 190 Paesi sono riuniti per l'annuale vertice dell'Onu, «di concordare un piano d'azione e rinnovare la loro decisione per raggiungere un accordo climatico entro il vertice di Copenhagen dell'anno prossimo ». No,non parlano gli ambientalisti. Il «Comunicato di Poznan » – che sarà presentato ufficialmente qui in Polonia domani – è firmato da 140 multinazionali, che chiedono esplicitamente ai Governi di tutto il mondo di affrontare seriamente, e con regole chiare, la questione climatica. «Anche se la crisi economica in corso può sollevare qualche dubbio sui tempi e i modi- si legge nel documento –noi crediamo che azioni risolute finiranno per stimolare l'economia globale ». Interessante dare un'occhiata ai firmatari: Allianz e Swiss Re, Unilever e Diageo, Shell e Bp, Sottish Power e Iberdrola, Roche e L'Oréal, Deutsche Telekom e British Telecom, Virgin e Cathay Pacific, Barclays e Royal Bank of Scotland, Yahoo e eBay, Cisco e Symantec, Kodak e Ricoh, Adidas e Nike. Tutte aziende che aderiscono al «Corporate leaders group on climate change», promosso dal principe del Galles e organizzato dall'Università di Cambridge...(da Il Sole 24 Ore)

Intervista a Wallace Broecker

(da Il Sole 24 Ore ) Il protocollo di Kyoto? Ineludibile, visto che l'effetto serra rischia davvero di ucciderci. Ma guai ad illudersi: soffiare nell'atmosfera un po' meno di anidride carbonica, qui da noi, non risolverà il problema. Perché nel frattempo India e Cina, da sole, ne aggiungeranno dieci, cento, mille volte di più. La soluzione? Aspirare la CO 2 e iniettarla nelle viscere nella terra. Oppure in fondo al mare. Si può.E si deve.«Subito»,ammonisce Wallace "Wally" Broecker, il guru della geo-climatologia che per primo, nell'ormai lontano 1975, ha lanciato l'allarme sugli sconquassi dell'effetto serra, traducendo in modelli previsionali le relazioni tra i mutamenti chimici degli oceani e il clima.Broecker, 77 anni, professore alla Columbia University, ha appena ricevuto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il premio Balzan 2008 per la scienza del mutamento climatico. Eni ed Enel lo hanno accoltoa Roma come un profeta.E promettono: in Italia la cattura della CO 2 sarà presto una realtà. Un sito sperimentale a Brindisi, un paio in Toscana e uno nel Veneto faranno da apripista.Broecker ci sprona. Ma con un altolà: la struttura tettonica della Penisola, con la sua sismicità, potrebbe rivelarsi inadatta a ospitare in sicurezza le enormi sacche di C0 2 che si verrebbero a creare. Ma poco importa: nulla impedisce, anzi tutto incoraggia, ottimi accordi italiani per catturare e seppellire la CO 2 ,globale e delocalizzata com'è, in qualunque altra parte del pianeta, acquisendo lo stesso,per noi e per i Paesi che collaboreranno, identiche quote Kyoto, come prevedono le regole del protocollo ambientale.Lei studia e insegna nel Paese che più consuma e più inquina, ma che non ha voluto aderire al protocollo di Kyoto. Non si sente a disagio?Un po' sì. L'amministrazione Bush ha commesso un colpevole errore. Il problema è noto da tempo.Ce ne accorgemmo già dopo l'ultima guerra mondiale.L'anidride carbonica saliva e cercammo di capire cosa stava succedendo. Mettemmo sotto osservazione innanzitutto la Groenlandia. Dal 1975 il fenomeno cominciò a essere evidente e oggi anche gli scettici hanno dovuto convenire sulla relazione strettissima tra il global warming e le emissioni di CO 2 .L'Europa si muove, anche se con molte incertezze. Gli Usa erano fermi, ma Obama promette di cambiare registro. Può farcela?Di questo passo non può farcela Obama e non ce la farà nessuno. Né gli Stati Uniti, né l'Europa, né l'Italia. Rispetto all'entità del problema, quel che si sta tentando di fare, e che oltretutto non riuscite a fare, rappresenta un granello nel mare. E così facendo anche il semplice controllo della crescita delle emissioni è un obiettivo irrealizzabile. Perché anche se i Paesi industrializzati riuscissero a controllare il fenomeno a casa loro, e non è affatto detto che ci riescano, nel frattempo quelli in via di sviluppo moltiplicheranno comunque le loro emissioni. Diventeranno rapidamente i principali produttori di CO 2 , più che annullando qualunque sforzo dei Paesi più sviluppati.Uno scenario apocalittico. Cosa propone?La sola soluzione realmente praticabile:togliere dall'atmosfera questa quantità crescente di CO 2 che comunque sarà emessae seppellirla in modo sicuro.La corsa alle rinnovabili? Il nuovo sviluppo del nucleare?Obiettivi necessari e condivisibili. Ma nulla di tutto ciò servirà a risolvere il problema senza azioni di ben altra portata. Nella migliore delle ipotesi tutte le energie che non emettono anidride carbonica potranno raggiungere al massimo il 30% del fabbisogno energetico, coprendo solo una parte della crescita tendenziale della richiesta. Nulla potrà a medio termine rimpiazzare davvero i combustibili fossili. Ecco, ripeto, l'unica soluzione: la cattura dell'anidride carbonica....

domenica 7 dicembre 2008

L’Ikea si lancia nelle energie rinnovabili

La lotta contro il cambiamento climatico è un’opportunità, e non un ostacolo, per le aziende. Lo ha capito bene l’Ikea, da sempre azienda regina nel cogliere le occasioni presentate dal mercato. Il grande gruppo svedese sta infatti investendo circa 50 milioni di euro per dare vita a Ikea GreenTech, un ramo dell’azienda specializzato nel mercato delle energie rinnovabili. Come da sempre nella mentalità di Ikea, l’obiettivo è quello di abbassare i costi di produzione in modo da rendere il prodotto disponibile per il mercato di massa. Un prodottochiave sono i pannelli solari: il costo per produrre un Kilowattora di energia potrebbe essere dimezzato. Anna Josefsson, vicedirettore generale di Ikea GreenTech, ricorda come il contributo dell’azienda svedese sia proprio "nello sviluppo del prodotto e nel design. Questa è la nostra forza e questo è quello che porteremo nel mercato". L’obiettivo è produrre, entro quattro anni, un kit di cellule fotovoltaiche in versione flatpack. Così che l’utente possa avere la scelta di assemblarle da solo o di affidarsi ad un aiuto esterno. Il risultato potrebbe essere, così, quello di aumentare, e di molto, la diffusione dei pannelli solari, con ottimi risultati per l’ambiente e per i profitti del gruppo.
(tratto da Affari & Finanza)

Luce ed energia in fiera a Milano

Un appuntamento da non perdere: dal 26 al 30 maggio prossimi , a Fieramilano(Rho), LivinLuce, EnerMotive ed EnerSolar+, con espositori da tutto il mondo. Al centro il tema dello sviluppo sostenibile, con una grande attenzione ai giovani con "Orientagiovani Energia", organizzata da GM Energia di Assolombarda in collaborazione con l'Ufficio Scolastico Regionale, e per il 27 maggio 2009 la giornata dello studente "+Energia dai Giovani". Gli studenti avranno anche la possibilità di dare visibilità a dimostrazioni applicative realizzate in ambito scolastico partecipando al concorso "Energy&Lighting Ideas".
Anche le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Qui il caso Eniscuola dell’Eni guidato dall’ad Paolo Scaroni.

giovedì 4 dicembre 2008

Ambiente, è finito il tempo delle parole e dei rinvii

Non è solo la scienza a dirci che non è più il tempo delle parole. Ce lo dice ormai la vita di ogni giorno, sempre più funestata da quelle che, speculatori e profittatori, si ostinano a chiamare «catastrofi naturali» e che altro non sono che le figlie del loro insostenibile sistema di produzione e consumo. Rinviare ancora sarebbe un dramma: o si agisce ora o alla crisi economica e sociale, che sta sconvolgendo la vita di miliardi di donne e uomini, si aggiungerà sempre più quella ambientale e climatica che, in meno di un secolo, desertificherà gran parte della terra, la priverà dell'acqua sufficiente a dar da bere a tutti, innalzerà mari e oceani, e continuerà a moltiplicare uragani e tempeste. Ecco cosa è giusto aspettarsi dagli oltre ottomila delegati, in rappresentanza di 192 paesi del mondo, riuniti a Poznan: la consapevolezza che è finito il tempo delle parole e dei rinvii. Le speranze che l'esito sia questo sono notevoli. Le alimenta la vittoria di Barack Obama negli Stati uniti, soprattutto la sua ribadita volontà di fare dell'ambiente e in particolare della lotta al cambio di clima la base del green new deal. Le alimenta l'Europa, sebbene Berlusconi, che a Poznan si presenta forte delle sue decisioni unilaterali e vincolanti di procedere da sola nella lotta al riscaldamento globale, se il resto del mondo continuerà a non far nulla. Le alimenta infine la consapevolezza, maturata in paesi decisivi come Cina, Brasile, India, che la riconversione energetica e industriale, che la lotta ai cambiamenti climatici impone, è anche l'unica strada per uscire dalla crisi della globalizzazione liberista. (Da il manifesto)

Anche i grandi gruppi iniziano a muoversi. Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

Dietrofront sul risparmio energetico

Da Repubblica

Il governo fa marcia indietro sulla riduzione delle detrazioni fiscali sul risparmio energetico. Sarà certamente cancellata la retroattività della norma che avrebbe imposto a chi ha già realizzato i lavori, di presentare una nuova domanda a gennaio con il rischio di non vedersi riconosciuto lo sconto nella prossima dichiarazione dei redditi .Novità sembrerebbero annunciarsi anche per l´intero impianto del decretone anticrisi, una sorta di piano-bis: ieri sera il ministro dell´economia Tremonti, incontrando i senatori del Pdl, avrebbe aperto su possibili modifiche alla manovra con «nuovi meccanismi di sostegno all´economia reale» e non avrebbe escluso interventi di incentivo per le auto ecologiche come in Francia. I fondi, secondo quanto riferito dai partecipanti, circa 2-3 miliardi ,sarebbero emersi da una accurata due diligence del fas, il noto fondo per le aree sottoutilizzate.Tornado alle detrazioni fiscali per il risparmio energetico appare più confuso il futuro: per il 2009 in poi il ministero dell´Economia è orientato a mantenere un "tetto" agli sgravi fiscali, quindi per i nuovi lavori da intraprendere chi vuole ottenere lo sconto fiscale del 55% dovrà "prenotarsi" il più presto possibile. Le domande che si riveleranno fuori dal budget stanziato per gli ecoincentivi avranno diritto ad una detrazione solo del 36%. Non è invece certo che rimarrà il meccanismo del "silenzio assenso" in base al quale se non si ottiene entro 30 giorni l´ok dall´Agenzia delle Entrate significa che non si potrà usufruire dell´abbattimento dell´Irpef alla soglia massima.L´incertezza è data anche dal fatto che il ministro dell´Ambiente, Daniela Prestigiacomo, sta lavorando ad un emendamento per sopprimere tutte le norme relative al credito d´imposta contenute nel decreto anti-crisi e non solo la retroattività. Proposta che si scontra con l´orientamento del ministro dell´Economia, Giulio Tremonti, orientato a modifiche minime.

mercoledì 3 dicembre 2008

Clima, d'ora in poi chi rompe paga

Alla quattordicesima edizione della conferenza dell'Onu sui mutamenti climatici, all'ordine del giorno c'è il il tema chiave dell'«eco-tecnologia»:
per uno sviluppo sostenibile, i paesi ricchi inquinanti devono costituire massicci pacchetti di spesa sociale per la ricerca e la produzione di energia pulita.

Anche i grandi gruppi iniziano a muoversi. Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

Clima, la strada del cambiamento parte da Kyoto e arriva a Poznan

Articolo tratto da Il riformista

Undicimila partecipanti da 187 paesi. Capi di stato e di governo, rappresentanti del mondo degli affari e dell'industria, più di 400 tra organizzazioni ambientaliste e istituti di ricerca, 800 media accreditati da tutto il mondo. Se bastassero i numeri a decretare il successo di una conferenza, il meeting delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici - iniziato lunedì a Poznan, in Polonia, e che si chiuderà il prossimo 12 dicembre - sarebbe già un trionfo.
Ci sarà da combattere, invece, per raggiungere quelli che il segretario esecutivo della conferenza, l'incaricato Onu per il clima Ivo de Boer, ha indicato come gli obiettivi «possibili». Il meeting di Poznan è la tappa intermedia della road map partita l'anno scorso da Bali e che si concluderà l'anno prossimo a Copenhagen. Nella capitale danese, alla fine del 2009, si delineeranno le risposte della comunità internazionale per contenere il cambiamento climatico in atto a partire dal 2013, quando si chiuderà la prima fase del Protocollo di Kyoto.
Gran parte delle risposte che verranno dipendono però dai passi avanti che gli attori della conferenza saranno in grado di fare qui e ora, a Poznan. Nel 2007, ha detto de Boer, dalla comunità scientifica ed economica sono arrivati segnali chiari. Come il rapporto dell'Ipcc - il Comitato intergovernativo per i mutamenti climatici dell'Onu, insignito del Nobel per la pace nel 2007 -, che se da una parte ha definito in maniera inequivocabile le catastrofi alle quali andiamo incontro, dall'altra lascia speranze, considerato che oggi ci sarebbero le tecnologie per invertire il corso degli eventi. O come il rapporto di Sir Nicholas Stern, consigliere del governo inglese, secondo cui non intervenire in tempo porterebbe a un crollo economico paragonabile alle conseguenze di due guerre mondiali e della depressione del '29 messe insieme.
Ma si possono mobilitare le risorse finanziarie necessarie in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo? Una domanda critica per de Boer, alla quale c'è però solo una risposta plausibile: sì, perché non farlo sarebbe un suicidio anche economico. «La comunità scientifica concorda sul fatto che un innalzamento della temperatura superiore ai due gradi porterebbe cambiamenti irreversibili», ha ricordato il presidente polacco Donald Tusk nel discorso di apertura del meeting. Se ci sarà un New Deal, allora dovrà essere un Green New Deal. Negli incontri preparatori che si sono tenuti durante il 2008 sono state avanzate proposte per oltre 700 pagine, che oggi sono state ridotte in un unico documento di 82 pagine. Bisognerà condensare ancora, per delineare interventi risolutivi e per non offrire ai paesi più riluttanti la possibilità di affondare l'accordo nel caos.

martedì 2 dicembre 2008

Summit in Polonia per l'ambiente. Nonostante la crisi

Dal manifesto

Si è aperta in Polonia la XIV Conferenza dell'Onu sui mutamenti climatici. A presenziare la cerimonia, il primo ministro polacco Donald Tusk e il premier danese Fogh Rasmussen. Quella di Poznan, città che ospita l'atteso evento, è la seconda tappa di un viaggio iniziato l'anno scorso a Bali e che si concluderà nel dicembre del 2009 a Copenhagen con l'impegno di arrivare ad un nuovo accordo sui mutamenti climatici che sostituisca in maniera più ambiziosa il protocollo di Kyoto: il cosiddetto «Kyoto 2». Nella cittadina polacca sono presenti 192 delegazioni e i rappresentanti di 183 Paesi. Circa 8.000 i partecipanti tra delegazioni governative, giornalisti, rappresentanti dell'industria e del business, organizzazioni ambientaliste, intergovernative e non governative, istituti di ricerca. Capi di stato e ministri sono attesi negli ultimi tre giorni dei negoziati. A Poznan tutti si aspettano che vengano prese decisioni che abbiano peso e che dalle parole si passi, finalmente, ai fatti. «La situazione in cui ci troviamo è tale - aveva detto un mese fa il segretario esecutivo del summit, Yvo de Boer - che diventa urgente per il processo di negoziazione fare a Poznan progressi concreti per arrivare velocemente ad un nuovo accordo, che sia una risposta seria alla sfida del cambiamento climatico».

Anche i grandi gruppi energetici iniziano a muoversi? Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

Clima e tecnologie, la crisi condiziona il vertice dell'Onu

C'è un convitato di pietra, al vertice climatico delle Nazioni Unite, che si è aperto ieri a Poznan, in Polonia. È il prossimo inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, i cui propositi ambientali - dalla campagna elettorale agli allori della vittoria- non sono cambiati: quando si tratterà di negoziare un regime di taglio obbligatorio delle emissioni- serra, assicura il presidente eletto, gli Stati Uniti faranno la loro parte. Tutto il contrario di quel che è successo negli otto anni di amministrazione Bush che, per altri cinquanta giorni, tiene ancora lo scettro del comando al tavolo delle trattative internazionali, chiamate ad architettare qualcosa di meglio del Protocollo di Kyoto.Non è colpa del convitato di pietra, se Poznan servirà a poco o a nulla. Si sapeva già un anno fa quando, nel chiudere le porte del precedente vertice di Bali, le diplomazie ambientali di tutto il mondo davano per scontato questo sconveniente scarto temporale fra i primi di dicembre (il mese designato per i summit climatici, da 14 anni a questa parte) e il 20 di gennaio, data dell'inaugurazione presidenziale. Anzi, è forse per questo, se il vero obiettivo indicato a Bali è stato quello del 2009, quando i 190 Paesi del mondo si incontreranno a Copenhagen- ovviamente a dicembre - per firmare l'omonimo trattato, che dovrebbe sostituire Kyoto dal 2012.Questo non vuol dire che il vertice sarà inutile. È ovvio che, più dettagli verranno concordati - non solo sulla mitigazione dell'effetto-serra, ma anche sull'adattamento ai cambiamenti climatici o sul trasferimento tecnologico ai Paesi in via di sviluppo - e meglio sarà per gli esiti di Copenhagen. Certo è, che la crisi economica non facilita le cose.

lunedì 1 dicembre 2008

Bollette sotto controllo con il contratto giusto

Grandi manovre sulla bolletta energetica a partire dal prossimo anno: dal bonus per i meno abbienti agli sconti sul gas per le famiglie numerose o in condizioni disagiate, dal possibile blocco delle tariffe all'imminente effetto della flessione delle quotazioni petrolifere sui costi finali per l'utente. Se si prevedono cali per i prezzi del chi-lowattora e del metano, è anche vero che non bisogna allentare la tensione nella lotta quotidiana contro gli sprechi: l'energia è una risorsa limitata da utilizzare con attenzione. E con una serie di accorgimenti e comportamenti consapevoli si possono ridurre drasticamente i propri consumi e la relativa spesa....
...Le strategie anti-sprechi si possono suddividere in due grandi categorie: una riguardante la scelta, l'altra relativa all'utilizzo degli elettrodomestici. Per quanto riguarda l'acquisto, conviene evitare di aspettare che il vecchio apparecchio arrivi allo stadio terminale, quando sprecherà più elettricità e si dovrà scegliere nell'emergenza. Inoltre è opportuno guardare l'etichetta energetica, che rappresenta lo strumento per valutare i "costi di esercizio". E ricordarsi (in caso di difetti o vizi di conformità) che tutti questi prodotti godono della garanzia biennale. Quanto all'utilizzo,oltre a quelle specifiche dell'apparecchio e indicate in qualsiasi libretto di istruzioni, ci sono alcune regole generali: ad esempio, la temperatura (lavastoviglie e lavatrici possono assolvere la loro funzione anche a livelli non troppo alti), la manutenzione (da svolgere con regolarità e non solo in caso di guasti), la collocazione. Senza dimenticare, a fine utilizzo, lo spegnimento e la disattivazione, ove possibile, anche dello stand by: secondo recenti stime di Enel ed Eni, le luci che restano accese anche in modalità "attesa" o "spento", arrivano a rappresentare fino al 10% dei consumi totali di energia domestica.
(tratto da Il Sole 24 Ore)

L'impegno degli Usa alla 14ma Conferenza della Parti (COP-14) di Poznam

Il presidente eletto Usa non sarà in Polonia dove andràla delegazione della vecchia amministrazione UsaMa peserà il suo nuovo impegno ambientale
Si apre oggi a Poznan, in Polonia, la 14ma Conferenza della Parti (COP-14) che hanno sottoscritto la Convenzione Quadro della Nazioni Unite sui Cambiamenti del Clima (UNFCCC). Sappiamo già che il 12 dicembre, quando COP-14 chiuderà i battenti, i rappresentanti di 192 paesi di tutto il mondo non avranno preso decisioni rilevanti. Eppure c’è molta attesa. Per due motivi, essenzialmente. Perché è mutato il quadro politico. E perché è mutato il quadro economico. La svolta possibile...A Poznan parteciperà per l’ultima volta la delegazione Usa nominata da Bush. Ma sulla Conferenza aleggeranno le parole del Presidente eletto Barack H. Obama, che intende capovolgere come un guanto la politica di George W.: gli Usa, ha detto, abbatteranno dell’80% le proprie emissioni entro il 2050, diventeranno i leader della lotta ai cambiamenti climatici e cercheranno un accordo sulla base di negoziati multilaterali. La fiducia indotta dalla novità Obama è rafforzata dalla politica dell’Unione Europea (che ha confermato la sua determinazione ad andare "oltre Kyoto") e da segnali indiretti provenienti da Pechino. Insomma, visto da Poznan l’orizzonte della politica sui cambiamenti climatici appare roseo. Tuttavia COP-14 si tiene nel bel mezzo di una crisi finanziaria ed economica globale che, a detta di molti analisti, non ha precedenti negli ultimi ottant’anni...
(tratto da L'Unità)

venerdì 28 novembre 2008

Luca Mercalli: «Guardo i cirri in cielo e penso alla pace mondiale»

Dal Corriere della Sera

«Che cosa sarebbe il classico colloquio in attesa dell'ascensore, se non disponesse del freddo o del caldo come argomenti rituali politicamente corretti?». Nel libro «Filosofia delle nuvole» (Rizzoli), Luca Mercalli, meteorologo del programma tv di Fabio Fazio «Che tempo che fa», parte da osservazioni a prima vista banali per mostrare come la nostra esistenza sia condizionata dal cielo e da ciò che succede «lassù».Con vignette, dati storici, citazioni e aneddoti autobiografici (nei primi anni 80, ancora studente, l'autore si fece installare sul tetto di casa una parabolica in grado di captare le immagini satellitari), il climatologo torinese — che domani presenterà il saggio, scritto con un computer alimentato da energia solare, alla Fnac — costruisce «un racconto con nozioni pratiche» per riflettere sull'importanza della meteorologia per il presente e il futuro dell'umanità.«Volevo scrivere un libro leggero come un cielo attraversato da nubi sottili, i cosiddetti cirri, sul rapporto dell'uomo con il tempo», dice il Mercalli, che è anche presidente della Società Meteorologica Italiana.Molti sostengono di soffrire di meteoropatia. Una credenza fondata? «Non c'è evidenza scientifica. Ma il clima ha effetto su tutti noi, in maniera diversa da individuo a individuo. Condiziona gli abiti che indossiamo, il traffico. Con la loro mutevolezza le nubi sono metafora di un approccio alla vita fondato su curiosità e fantasia».Lei constata che il rapporto uomo- clima si sta allentando. «In certi contesti si sta perdendo del tutto il contatto con la natura e il tempo atmosferico. Se fuori fa freddo ci chiudiamo in casa con i termosifoni accesi, se fa caldo abbiamo i condizionatori. Imprigionati in una goccia di cristallo perdiamo un pezzo di esperienza del mondo che potrebbe arricchirci. E non ci rendiamo conto dei cambiamenti climatici che provochiamo a spese del pianeta».Nel libro scrive che la meteorologia può diventare strumento di pace. In che senso? «Dato che le nuvole non hanno confini, la meteorologia necessita della collaborazione di tutti i Paesi per progredire. Se con la cooperazione internazionale combatteremo gli scenari negativi, sarà un bene per tutti, altrimenti sarà proprio il clima a esacerbare i conflitti tra le nazioni. Purtroppo l'Italia continua a sperare che il riscaldamento globale sia una bufala. Il mio auspicio è che Obama si impegni nella lotta all'inquinamento, in quel caso gli Stati Uniti farebbero da traino».Torinese Luca Mercalli: è presidente dei meteorologi italiani.

Ma cosa fanno i grandi gruppi per l'ecologia? Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

Sole e vento? Un affare Basta sfatare dieci miti

da Repubblica

Tutti ne parlano, tutti la vogliono, ma pochi credono che sia veramente possibile produrla. L´oggetto del desiderio è l´energia pulita, la fonte in grado di risolvere contemporaneamente due problemi: fermare il cambiamento climatico e permettere al mondo di continuare a funzionare ai ritmi attuali, senza tornare all´età delle caverne. Ma sebbene governi, scienziati e media dedichino sempre più attenzione a questo obiettivo, le statistiche indicano che la maggioranza dell´opinione pubblica è scettica sulla possibilità di realizzarlo. Un libro uscito ora in Gran Bretagna si propone di smentire questa impressione, iniettando una dose di ottimismo nel dibattito sul "Green New Deal", il piano per colorare di verde l´economia planetaria.In "Ten technologies to save the planet" Chris Goodall, esperto di energie rinnovabili, illustra i "miti da sfatare" sull´argomento: una sorta di decalogo per capire che la rivoluzione verde si può fare, e come. Il suo libro, di cui il Guardian ha pubblicato un´anticipazione, parte dall´energia solare: non è vero che è troppo costosa per essere usata in modo ampio e diffuso, afferma l´autore. I pannelli solari odierni, grossi e costosi, catturano solo il 10 per cento circa dell´energia del sole, ma rapide innovazioni in corso negli Stati Uniti segnalano che una nuova generazione di pannelli solari assai più sottili ed economici potranno catturare molta più energia. La società First Solar, leader del settore, ritiene che i suoi prodotti potranno generare elettricità nei Paesi più caldi tanto economicamente quanto le centrali elettriche entro il 2012. Altre aziende, in Spagna e in Germania, stanno sperimentando nuovi sistemi per catturare i raggi del sole, con risultati incoraggianti. L´Europa potrebbe un giorno ricavare gran parte del proprio fabbisogno elettrico da stazioni di pannelli solari nel deserto del Sahara.Ma ci sono anche altri miti da sfatare. Come quello che l´energia eolica sia troppo inaffidabile. È falso. Già oggi in certi periodi dell´anno produce il 40 per cento del fabbisogno energetico della Spagna. Non è neppure vero che l´energia tratta dalle correnti marine non porti da nessuna parte: in Irlanda del Nord e in Portogallo hanno cominciato a funzionare i primi generatori a turbina che sfruttano le onde. Falso anche che le centrali nucleari siano più economiche di altre fonti di elettricità a bassa produzione di carbonio: i costi dell´energia nucleare sono incontrollabili, e a meno di ridurli sarebbe più conveniente puntare su centrali a carbone "pulite". È opinione comune che le auto elettriche siano lente e brutte, ma non è vero: ormai sono veloci, belle e avranno presto batterie al litio, in grado di ricaricarle economicamente e rapidamente. Non a caso Danimarca e Israele intendono avere solo auto elettriche, in futuro. C´è la credenza che i biocarburi (come l´etanolo) siano sempre distruttivi per l´ambiente, ma in futuro non sarà così. Se si ritiene che il cambiamento climatico comporti un maggior fabbisogno di agricoltura organica si deve comunque tener presente che occorrerebbe riuscire ad aumentare le dimensioni dei raccolti di questo tipo. Per quel che riguarda le innovative case a "zero emissioni di carbonio", è vero che sono una priorità, ma molto costosa: meglio puntare sulla riduzione delle emissioni delle case esistenti, come si fa in Germania. Si crede poi che le stazioni elettriche debbano essere grandi per essere efficienti: il futuro invece sarà delle microstazioni. È opinione comune, infine, che tutte le soluzioni ai problemi energetici debbano essere ad alta tecnologia, ma spesso costano troppo. Per cui non bisogna disdegnare la bassa tecnologia.

giovedì 27 novembre 2008

Il progetto di Al Gore Croci: noi promossi

Lo sviluppo sostenibile per contrastare il cambiamento climatico non può più attendere (vedi intervista a Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'eni) e anche le amministrazioni locali se ne sono convinte come emerge dall'articolo tratto da da La Repubblica:"«Milano è tra le città più impegnate a livello internazionale per ridurre le emissioni dei gas responsabili dell´effetto serra e per contrastare il cambiamento climatico». Parola dell´assessore alla Mobilità Edoardo Croci che ieri è intervenuto alla presentazione della terza tappa dell´iniziativa "Una mano al pianeta" di Climate Project, l´organizzazione mondiale fondata dal Nobel per la Pace 2007 Al Gore impegnata a far conoscere i problemi del futuro del pianeta e a contrastare i cambiamenti climatici in atto. Al convegno milanese l´assessore ha spiegato le iniziative messe in campo negli ultimi mesi da Palazzo Marino «sia a favore della mobilità sostenibile che della sostenibilità energetica», come l´Ecopass, l´incremento della frequenza dei mezzi pubblici, l´estensione della sosta regolamentata, il raddoppio della rete metropolitana, il potenziamento della rete di teleriscaldamento e l´avvio del bikesharing. «La nostra città intende dare un grande contributo agli obiettivi del Paese per il clima con un impegno volontario superiore a quello nazionale»."

Agricoltura contro la CO2

da Il Sole 24 Ore

«Vogliamo inserire nel prossimo protocollo internazionale sulle emissioni di CO2 un capitolo sull'agricoltura, perché la produzione del cibo è un fattore strettamente correlato alla questione climatica». Inizia così l'incontro con Bernward Geier, membro della Commissione per il futuro dell'alimentazione e dell'agricoltura che ha redatto il «Manifesto sul cambiamento climatico e il futuro della sicurezza alimentare». Il documento è stato presentato da Carlo Petrini e Vandana Schiva a Terra Madre, in una sala gremita dai rappresentanti di centinaia di Paesi. Per capire i motivi di una proposta apparentemente ingenua bisogna osservare i numeri. Pochi sanno che il modello alimentare industriale secondo alcune stime incrementa del 25% le emissioni di CO2.Purtroppo nella conferenza organizzata dalle Nazioni Unite a Bali nel dicembre 2007, si è discusso dei processi di industrializzazione che danneggiano il clima e dei metodi di trasporto per i prodotti alimentari, ma non si è parlato della questione agricola.«Secondo noi –spiega Geier –è doveroso intervenire su questo terreno, sottolineando le differenze tra l'agricoltura industrializzata che emette CO2 e quella biologica che la assorbe. Queste tesi riportate nel «Manifesto» sono avvallate da autorevoli pareri scientifici e sostenute dalla Fao e dall'Oms.

mercoledì 26 novembre 2008

Target lontano per le emissioni

tratto da "Il Sole 24 Ore- Lombardia"

Più di 30 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica. Una quantità inferiore a quanto prodotto l'anno precedente, ma pur sempre al di sopra delle soglie limite fissate dal Piano di allocazione nazionale. Il bilancio dell'inquinamento lombardo chiude in negativo anche nel 2007, ma consegna qualche segnale di miglioramento. È questo il responso che emerge dalle lettura dei primi dati elaborati da EcoWay, società di consulenza nel settore del climate change (cambiamento climatico) con sede a Milano.L'anno scorso le aziende lombarde hanno prodotto una quantità di emissioni pari a 30,142 milioni di tonnellate di CO2, sforando del 9,08% le quote previste dal Protocollo di Kyoto. All'indice finiscono le emissioni inquinanti relative alle attività energetiche (+10,94% rispetto alle quote allocate) e ai cementifici (+6,50 per cento) ma, soprattutto l'attività dell'industria di produzione e trasformazione di materiali ferrosi: il confronto con le quote CO2 previste dal Piano nazionale fa segnare uno sfondamento del 44,35 per cento.Confrontando i dati con la situazione complessiva al 31 dicembre del 2006, però, emerge un miglioramento del deficit pari a circa 1,5 milioni di tonnellate. Merito delle buone performance delle aziende attive nel settore energia che, pur restando sopra i limiti di Kyoto, hanno "limato" di quasi 2 milioni di tonnellate le emissioni negli ultimi dodici mesi di rilevazione.

L’ecodieta per abbattere il CO2

Non resistete alla tentazione di mangiare delle primizie a gennaio che vengono, magari, da un altro continente e hanno quindi un trasporto ad alto carico di CO2? Se proprio non riuscite a farne a meno, potete provvedere a riequilibriare la vostra "dieta" di CO2, proprio come fareste con una normale dieta alimentare.Come? scoprirlo è semplice: su www.ecodieta.it, ognuno di noi può sapere quante emissioni di CO2 sono legate ad ogni sua azione quotidiana e, soprattutto, come ridurle senza eccessivi sforzi o sacrifici. Solo con un po’ di attenzione in più, infatti, ognuno nel suo piccolo può contribuire a risolvere il problema del riscaldamento globale.L’obiettivo dell’ultima iniziativa di Enel nell’ambito del Progetto Ambiente e Innovazione, che dedica importanti risorse allo sviluppo di progetti innovativi per la salvaguardia dell’ambiente e delle energie rinnovabili, è sensibilizzare cittadini e consumatori sulla necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera ormai conosciuta da tutti come CO2 il gas ritenuto il principale responsabile dell’effetto serra e, quindi, dei cambiamenti climatici. Entrando nel sito www.ecodieta.it, si apriranno le porte di un appartamento virtuale: nelle varie stanze della casa si potranno simulare diverse attività come lavarsi, cucinare, accendere o spegnere gli elettrodomestici. All’esterno della casa si potranno invece utilizzare anche i diversi mezzi di trasporto. Al primo ingresso il visitatore sarà invitato a calcolare il livello medio di produzione di CO2 di una sua giornatatipo. E scoprirà, con molta sorpresa, che anche i suoi più piccoli gesti quotidiani sono sufficienti a immettere nell’atmosfera centinaia di chili l’anno di anidride carbonica.Grazie a un pratico "ecocalcolatore", messo a punto con la collaborazione di AzzeroCO2 una "esco" (Energy Service Company) specializzata nel neutralizzare le emissioni di gas serra grazie a progetti che utilizzano fonti rinnovabili, interventi di risparmio energetico e di forestazione in Italia e all’estero l’utente troverà tutta una serie di indicazioni per ridurre del 20% la sua produzione di CO2, lo stesso target già raggiunto da Enel.

da "Affari & Finanza"(La Repubblica)

vedi anche "DIALOGO FRA PAOLO SCARONI E ALAN J. HEEGER SULL’ IMPORTANZA DELL’ INNOVAZIONE E DELLA RICERCA"

martedì 25 novembre 2008

Rynair: la borsa della CO2 per gli aerei è una follia

Da Affari & Finanza

«Sono completamente folli. Volare è già uno dei mezzi di trasporto più pesantemente tassati: se tu aggiungi nuove voci lo fai solo per consentire ai governi di raccogliere altre tasse dalla gente. Non c'è un argomento serio per sostenere questa operazione: è solo l'ennesima bugia ecologica per aumentare gli introiti dei governi». Come sempre, non usa mezzi termini Michael O’Leary, amministratore delegato della Ryanair, compagnia low cost divenuta un colosso dei cieli europei. Incontrato a Roma, per una delle conferenze di lancio di nuove rotte e nuove basi, racconta ad Affari&Finanza cosa pensa delle misure comunitarie in materia di riduzione dell’inquinamento. Il 24 ottobre scorso l’Europa dei Ventisette, riunita a Lussemburgo ha dato il via definitivo libera all'inclusione del trasporto aereo nel sistema delle quote di emissione di gas serra previsto dal Trattato di Kyoto sul clima. L'inclusione partirà dal primo gennaio 2012 e si applicherà a tutti i voli in arrivo o in partenza verso o da un aeroporto dell'Unione Europea. Coinvolte dunque tutte le compagnie aeree, a prescindere dalla nazionalità, che operino sugli scali dell'Ue. Gli stati membri avranno tempo 12 mesi per trasporre la direttiva di Bruxelles nella legislazione nazionale.L’obiettivo è portare entro il 2012, le emissioni prodotte dal comparto al 97% della media del periodo 20042006. Nel 2013 la percentuale scenderà al 95%. L'85% delle quote sarà concesse a titolo gratuiti, mentre il 15% sarà messo all'asta. Starà ad ogni stato membro decidere l'utilizzo dei proventi delle aste, purché però sia destinato al contrasto del cambiamento climatico nell'Ue e nei paesi terzi, e a finanziarie lavori di ricerca nel settore del trasporto a deboli emissioni, in particolare nei settore dell'aeronautica e dell'aviazione.

E le compagnie petrolifere, puntano sullo sviluppo sostenibile? Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

Gran Bretagna, agli dell’80% alle emissioni entro il 2050

La Gran Bretagna, prima al mondo, ha adottato una legge che prevede il taglio delle emissioni dei gas che provocano l’effetto serra dell’80% entro il 2050. Il Parlamento ha aumentato i tagli dopo che il comitato governativo sul riscaldamento globale aveva sottolineato che i cambiamenti climatici sono più rapidi del previsto.

lunedì 24 novembre 2008

Sussidi, il monito della Kroes "Solo a chi investe nell´auto ecologica"

Articolo tratto da La Repubblica

L´unica certezza per il settore automobilistico sempre più in crisi in tutto il mondo è che i sussidi arriveranno. Sia negli Stati Uniti come in Europa. Il problema è che non sa ancora sotto che forma e in che misura. «Non abbiamo nessuna intenzione di vedere il settore auto andare a fondo». Così ieri, il portavoce del Partito Democratico al Congresso Nancy Pelosi, dopo le critiche arrivate sul mancato via libera al piano di sostegno a General Motors, Ford e Chrysler. Ora i tre "grandi" di Detroit hanno tempo fino al 2 dicembre per presentare un piano innovativo per «dire agli americani: dateci i soldi, li useremo bene», sempre per usare le parole della Pelosi. La quale ha specificato che il salvataggio dell´industria dell´auto non va interpretato come un «sostegno a vita».
Lo stesso accade in Europa. Dove il commissario alla Concorrenza Neelie Kroes ha ammonito gli esecutivi che si stanno apprestando a varare provvedimenti a favore del settore: «Chiedo a tutti i governi - ha detto - di evitare la costosa trappola della corsa ai sussidi. Abbiamo tutti forti richieste di sostegno al comparto dell´auto, specialmente in Francia, Germania e negli Stati Uniti, ma i governi devono resistere a queste tentazioni». Per la Kroes, invece, i fondi devono servire per produrre auto più pulite: «Aiuti alla ricerca e lo sviluppo o all´ambiente, per esempio, avrebbero il doppio beneficio di aiutare l´industria e affrontare il problema del cambiamento climatico».
Di sicuro, occorre far presto. Ogni giorno arrivano notizie drammatiche dal settore. L´agenzia Fitch stima una flessione del 12% del mercato dell´auto in Europa nel 2009 dopo il calo di oltre l´8% atteso quest´anno. Se il credito continuerà a peggiorare il calo potrebbe ampliarsi al 15-20%.
E la crisi colpisce anche la grandi case orientali. Toyota ha annunciato che dimezzerà la forza lavoro temporanea in Giappone, lasciando a casa 3mila operai con contratti a termine. La decisione segue i tagli annunciati da Mazda e da Isuzu che hanno deciso di ridurre la forza lavoro rispettivamente di 1.300 e di 1.400 unità. E sempre ieri Honda ha annunciato nuovi tagli alla produzione di ben 79 mila unità, di cui 21 mila in Europa. Questo significa che il colosso giapponese produrrà un terzo dei veicoli in meno (53mila) rispetto alle 175mila vetture assemblate quest´anno nel Vecchio continente. Anche in Giappone, Honda diminuirà la produzione a 1,28 milioni (1,32 milioni un anno prima), come pure in Nordamerica, dove passerà a 1,412 milioni (meno 56mila unità).

(vedi "Lo sviluppo sostenibile" secondo Paolo Scaroni, Presidente della Fondazione Eni Enrico Mattei)

Dopo Kyoto. Buoni propositi ma le emissioni crescono ancora

Il prossimo primo dicembre si apre a Poznan in Polonia la quattordicesima Conferenza della Parti (COP-14) che hanno sottoscritto la Convenzione delle nazioni unite sui cambiamenti climatici. L’incontro durerà due settimane e alla sua conclusione si spera che i ministri dei 192 paesi interessati raggiungano un accordo per avviare il «dopo Kyoto». COP-14 si apre sotto buoni auspici politici, ma sotto cattivi numeri. Le buone nuove riguardano le recenti dichiarazioni di Barack Obama: la politica americana sul clima cambierà radicalmente. Gli Usa intendono abbattere le emissioni di gas serra in modo da raggiungere entro il 2020 il livello di riferimento del 1990 e, poi, tagliare dell’80% le emissioni entro il 2050. È il medesimo programma di Gordon Brown: la Gran Bretagna, come tutti i paesi europei, taglierà del 20% le emissioni entro il 2020 per poi raggiungere l’80% entro il 2050. La Cina sta lanciando una serie di segnali positivi: anche il colosso asiatico farà la sua parte. I numeri, tuttavia, costituiscono una doccia fredda. Già avevamo scoperto che dal 2000 al 2007 le emissioni globali sono aumentate al ritmo del 3,5% annuo e ormai superano del 38% quelle del 1990. Oggi i tecnici dell’UNFCCC, la struttura delle nazioni Unite che segue l’applicazione della Convenzione, specificano che ad aumentare non sono state solo le emissioni dei paesi a economia emergente e neppure quelle dei paesi che, come gli Usa, non hanno ratificato il protocollo di Kyoto. Ad aumentare sono state anche le emissioni dei paesi che sono impegnati dal protocollo di Kyoto. Certo, queste emissioni restano del 5% al di sotto del livello del 1990. Ma solo a causa del crollo, appena dopo il 1990, delle inefficienti economie centralmente pianificate dell’Unione Sovietica e degli altri paesi comunisti. In molti paesi che hanno ratificato il protocollo di Kyoto le emissioni sono aumentate. Primo fra tutti l’Italia che dovrebbe abbattere entro il 2012 le proprie emissioni del 6,5% rispetto al 1990 ma che le ha aumentate di oltre il 10%. (da L'Unità)

venerdì 31 ottobre 2008

L'ecatombe dei fiori di Henry

Tra letteratura e scienza - Una ricerca pubblicata su Pnas lancia l'allarme, dice Il Sole 24 Ore : in soli 150 anni il 27% delle piante erbacee si è estinto e un altro 35% è ad alto rischio

Sono passati 150 anni da quando lo scrittore Henry David Thoreau passeggiava nella campagna del Massachu-setts, lungo il fiume Concord. Oggi però i prati fioriti che hanno ispirato lo scrittore americano non sono più quelli di un tempo: un terzo delle specie di fiori si sono estinti, mentre quasi un quarto delle altre piante erbacee sono a rischio di estinzione. Questo è il risultato di una ricerca condotta da un team di botanici delle Università di Harvard e Boston nei territori prediletti di Thoreau. Secondo loro il colpevole di questa ecatombe è ancora lui: il cambiamento climatico.Thoreau (1817-1862) è originario di Concord, una regione di laghi e colline boscose nel Massachusetts. Tra il 1845 e il 1847 lo scrittore passò due anni in isolamento sulle sponde del lago Walden. Voleva dimostrare come l'uomo moderno potesse sopravvivere con mezzi semplici a contatto con la natura. In seguito Thoreau pubblicò un saggio che è diventato un riferimento per generazioni di ecologisti: "Walden, ovvero vita nei boschi". L'opera celebra infatti l'abbandono dei beni materiali e un intimo contatto con la natura.Per i biologi però Thoreau era più di uno scrittore. Era anche uno scienziato. Thoreau aveva infatti studiato scienze all'Università di Harvard e durante le sue escursioni tra i campi fioriti intorno a Walden aveva iniziato un importante inventario di botanica. L'inventario è stato poi aggiornato in epoche successive, fino a ora. Forse però Thoreau non si sarebbe immaginato che in un secolo e mezzo il 27% delle specie di fiori si sarebbero estinte, mentre il 36% di piante erbacee sono a un passo dall'estinzione. Questo è il risultato di una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica «Proceedings of the National Academy of Science» (Pnas) da un team di biologi guidati da Charles Davis dell'Università di Harvard.Davis presenta i risultati di uno studio condotto su 473 specie di fiori. «Walden è molto cambiata in 150 anni – dice il biologo –. Ma il 60% della regione è sotto tutela e si è mantenuta integra ». E quindi, secondo il team, la causa della scomparsa di queste specie non è l'urbanizzazione ma il cambiamento climatico. A Concord la temperatura media annua è aumentata di ben 2,4ÚC in unsecolo, e la fioritura è anticipata di almeno una settimana dai tempi di Thoreau. Questo spiegherebbe l'estinzione di molte specie erbacee. Secondo Davis, infatti, le piante che hanno adattato la loro fioritura a un anticipo di stagione stanno avendo la meglio rispetto a quelle che non sono in grado di tenere il passo con il rapido riscaldamento del clima. Tra le prime vittime ci sono le orchidee e le campanule.Secondo Davis un nodo del problema sarebbe l'interazione tra piante e insetti impollinatori. Davis spiega infatti che una delle cause principali dell'estinzione di queste piante potrebbe essere la mancanza di insetti che diffondono il polline. Insetti che oggi hanno anticipato la loro attività rispetto a 150 anni fa, e che quindi favoriscono le piante che fioriscono prima. Qualcosa sta cambiando, dunque, nel regno vegetale. Gli studi sul cambiamento climatico e la diffusione globale dei vegetali si moltiplicano di anno in anno, dice Davis. Una di queste per esempio, è stata pubblicata in estate sulla rivista «Science», e mostrava che nelle Alpi diverse specie erbose sono risalite lungo i pendii alla velocità strepitosa (per delle piante) di 30 metri per decade. Mentre, spiega Davis, altri studi mostrano il movimento di specie temperate verso le regioni artiche.Triste destino, dunque, per quei fiori che continuano la loro maturazione con la stessa scadenza che avevano ai tempi di Thoreau. E chissà se il grande scrittoreecologista americano sarebbe ancora oggi ispirato dai boschi di Concord, come lo fu un secolo e mezzo fa.

Clima: Financial Times, 'Berlusconi gioca con politica'

Berlusconi 'gioca con la politica, mentre il pianeta si scalda'. Duro affondo del Financial Times sulla linea italiana in materia d'ambiente. Al nostro paese, secondo il quotidiano inglese, potrebbe essere assegnata la maglia nera nella lotta all'effetto serra, scatenata dall'Unione Europea. Dallo scorso anno, quando il nostro paese era in prima linea nel sottoscrivere l'ambizioso piano del '20-20-20', e' cambiato tutto. Mentre al Ministero dell'Ambiente c'era allora un Verde come Pecoraro Scanio, scrive il quotidiano, l'attuale governo italiano e' legato a filo doppio con le lobby industriali. (Agr)

giovedì 30 ottobre 2008

S.o.s per la Terra: consumiamo troppo

Altro che "credit crunch". Una recessione ben più grave, che non ammette possibilitá di recupero, se non si interviene immediatamente, è alle porte: quella ecologica. E la colpa non è solo dei comportamenti inetti delle istituzioni finanziarie internazionali. Se non smettiamo di consumare ai livelli insostenibili cui siamo abituati, saremo tutti sul banco degli imputati per l'impoverimento del pianeta e del benessere collettivo dell'umanitá. Allarmismo ambientalista? Proprio per niente. Lo dicono dati formulati su base scientifica pubblicati nella settima edizione del "Living Planet Report", il rapporto redatto da Wwf, Società Zoologica di Londra (Zsl) e Global Footprint Network per le Nazioni Unite. Se i consumi di risorse naturali continueranno al ritmo attuale entro il 2030 avremmo bisogno, per mantenere i medesimi stili di vita, di due pianeti. Non bisogna essere scienziati per sapere che di pianeta su cui campare ne abbiamo uno. Per capire la gravitá del danno che noi esseri umani arrechiamo alla terra basti pensare che nell'edizione precedente dello stesso rapporto, pubblicata due anni fa, si parlava di questa stessa prospettiva, prevista peró per il 2050. La sostenibilitá della vita sul pianeta si è dunque accorciata di vent'anni a causa dell'aumento sfrenato dei consumi negli ultimi due. In base ad un maccanismo analogo a quello che ha portato alla la crisi finanziaria globale, la domanda di "capitale naturale" mondiale che soddisfa le attivitá della popolazione mondiale, supera attualmente di circa un terzo la capacitá del pianeta terra di rispondere allo sfruttamento cui è sottoposto. Insomma siamo in debito ecologico con la madre terra. I danni non sono attribuibili alla totalitá della popolazione mondiale, ma ai tre quarti che vivono in paesi in cui i consumi superano, e di gran lunga, la capacità biologica nazionale. Quelli che utilizzano più risorse e producono più rifiuti di quanto il loro territorio potrebbe in teoria sostenere. E lo fanno spalmando idealmente tale eccesso di consumi sul resto della superficie planetaria. Secondo questo schema, paesi come Malawi e Afghanistan, risultano innocenti per i danni e la depauperazione delle risorse del pianeta. Mentre Stati Uniti e Cina sono i primi predatori, in quanto lasciano sul pianeta il maggior numero di "impronte ecologiche nazionali". L'impronta ecologica di ogni paese si ottiene facendo la somma del loro utilizzo delle capacità produttive dei sistemi naturali. Si tratta della domanda dell'umanità sulle risorse naturali a disposizione sul pianeta. L'impronta ecologica complessiva globale è attualmente pari a 2.7 ettari pro-capite. Ma la biocapacità mondiale, ovvero l'area necessaria a produrre le risorse e ad assorbire la quota di emissioni di gas serra è di circa 2.1 ettari pro-capite. Questo significa che esiste un deficit di 0,6 ettari a persona. Siamo debitori del pianeta, alla stegua dei debitori delle banche che si riappropriano delle case per le quali non si riesce più a pagare il mutuo. Solo che in questo caso non ci guadagna nessuno. Diamo un'occhiata alla classifica delle impronte ecologiche. In pole position, senza meraviglia, troviamo gli Stati Uniti, con un'impronta ecologica1,8 volte superiore alla biocapacità nazionale, seguiti dalla Cina, 2,3. Al terzo posto c'è l'India, 2,2. Nei valori pro-capite tuttavia gli statunitensi battono tutti gli altri di molte lunghezze con un bel 9.4. Questo significa che si comportano come se avessero a disposizione quattro pianeti invece di uno. Per quando riguarda il Regno Unito, al quindicesimo posto nella classifica mondiale delle impronte, ci vorrebbero 5,3 ettari di territorio a persona per assorbire tutta la spazzatura prodotta e ottenere tutte le risorse di cui i cittadini britannici hanno bisogno. Questo ammonta a più del doppio dei due ettari a testa disponibili per la popolazione mondiale. Nelle isole britanniche si consume consuma quanto in trentatrè paesi africani messi insieme. Nella classifica dei paesi con la maggiore impronta ecologica l'Italia è al ventiquattresimo posto.Le cifre presentate dal rapporto sono arrotondate per difetto. Nel senso che non tengono conto del rischio di un'accelerazione dei cambiamenti climatici, possibile secondo alcuni pareri scientifici. Oltre alla classifica dei predatori delle risorse del pianeta, il "Living Planet Report", i cui dati sono stati rilevati tre anni fa, ci mette davanti a dati che illustrano la tragedia della scomparsa, per mano nostra, di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci. Dal 1970 al 2005, la biodiversità sul pianeta è diminuita del 30%. Nelle aree tropicali il crollo è addirittura del 50%. Milleseicentoottantasei specie di animali vertebrati non esistono più. Gran parte di questa irreversibile perdita è da attribuire alla deforestazione e alle modifiche nell'uso del territorio. Nel conto, oltre ai cambiamenti climatici, vanno annoverati la costruzione di dighe e la deviazione dei corsi d'acqua. (Da Liberazione)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni