venerdì 27 febbraio 2009

Scajola: ''Nucleare contro i cambiamenti climatici''

Ministro Scajola, pensa che la maggioranza degli italiani sia ora favorevole al nucleare? «La percezione è cambiata. La "guerra del gas" tra Russia e Ucraina, che il mese scorso ha rischiato di lasciare al freddo tutta Europa, e l´urgenza di ridurre l´inquinamento per combattere i cambiamenti climatici ci obbligano a diversificare le fonti di energia ricorrendo anche al nucleare. Il mix ottimale di generazione verso il quale dobbiamo tendere è composto dal 50% di fonti fossili (gas, petrolio e carbone pulito), 25% di fonti rinnovabili e 25% di nucleare».Quali sono i prossimi passi? «I prossimi passi sono l´approvazione del disegno di legge "Sviluppo", l´istituzione dell´Agenzia di sicurezza nucleare e la deliberazione Cipe. Penso che l´Agenzia potrebbe entrare in funzione entro la fine dell´anno e diventare operativa già nel 2010».Quando si parlerà dei possibili siti e chi spetterà la scelta?«Abbiamo previsto che sia il governo, con decreti legislativi da adottarsi entro sei mesi dall´approvazione della legge, a definire il regime autorizzatorio e i criteri per la localizzazione delle centrali. Dopodiché, saranno le imprese energetiche che, nell´ambito dei criteri così definiti, individueranno i siti. I decreti disciplineranno anche le modalità di esercizio da parte del governo dei poteri sostitutivi previsti dall´articolo 120 della Costituzione nei casi di mancata intesa con gli enti locali competenti».I luoghi dove già in passato sono sorte centrali nucleari vanno considerate soluzioni valide o si procederà da zero?«Premesso che stiamo accelerando lo smantellamento delle vecchie centrali nucleari, se i siti avranno i requisiti previsti dalle nuove norme potranno essere presi in considerazione. Ma come tutti gli altri: non vi saranno imposizioni dirigistiche da parte dello Stato».Pensa che ci saranno forti opposizioni da parte dei territori coinvolti, come le fronteggerete?«Mi ricordo che nel 1987, quando ci fu lo sciagurato referendum che ci fece uscire dal nucleare, nelle zone dove sorgevano le vecchie centrali i voti favorevoli al nucleare erano superiori ai voti contrari. Questo non significa certo che non ci potranno essere delle opposizioni: ho visto per esempio che un ex sottosegretario dei Verdi ha preannunciato un nuovo referendum contro le norme sul nucleare. Gli auguro più fortuna di quanto i Verdi abbiano avuto alle elezioni politiche. Penso che dovremo far di tutto per spiegare che le nuove centrali sono incomparabilmente più sicure di quelle vecchie e che sono indispensabili per ridurre l´inquinamento e far pagare meno l´energia elettrica, soprattutto alle popolazioni e alle imprese delle zone attorno alle centrali». Lei ha detto nelle scorse settimane che il piano auto della Francia le suscitava qualche dubbio perché troppo protezionista. Ha avuto modo di chiarirsi su questo punto? «Il presidente Sarkozy ha difeso con energia le misure francesi sostenendo che non sono per nulla protezionistiche. Io qualche dubbio residuo ce l´ho. Ne discuteremo più approfonditamente il 5 marzo nel Consiglio competitività dell´Unione europea». (da Repubblica)

Biocarburanti, quando in Italia?

Mentre all’estero si investe e si sperimentano nuovi carburanti sostenibili l’Italia rimane a guardare. Perchè non è ancora arrivato il biocarburante da noi?
I biocarburanti sono prodotti agricoli in grado di sostituire la benzina e il diesel. La loro origine naturale li rende più facilmente riassorbibili dalla natura, e consente di ridurre del 70% le emissioni di gas serra dal trasporto privato e diminuire l’importazione di petrolio dall’estero. I biocarburanti sono quindi un’importante risorsa per il futuro soprattutto per aiutare l’ambiente e sostenere l’agricoltura. Con un potenziale impatto sui prezzi nel loro utilizzo nell’ordine di 1-2 centesimi al litro alla pompa. Come già raccontato in diversi articoli di Yes.life le fonti da cui ricavare biocarburanti sono molteplici. La prima e quella maggiormente utilizzata è costituita dalle colture commestibili (mais, soia, girasole, bietole, patate e così via), con tutti i problemi che ne derivano. L’ultima scoperta in ordine di tempo è la creazione di biofuel dagli scarti di lievito della birra. Una società produttrice di birra di Chico, in California, ha inventato un nuovo sistema di adeguamento della propria fabbrica, che renderà la sua bevanda un combustibile a base di etanolo di alta qualità. (da Yeslife.it)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

giovedì 26 febbraio 2009

A Roma si parla di cambiamenti climatici

Alle ore 18 alla Feltrinelli di viale Libia 186 Andrea Pinchera di Greenpeace parlerà dei cambiamenti climatici insieme a Vincenzo Ferrara. Introduce Gabriele Salari.

Ubi banca lancia il prestito «solare»

Ubi banca lancia ForzaSole, prestito personale pensato per incentivare i clienti privati all’utilizzo dell’energia solare. ForzaSole finanzia, per lo sviluppo di impianti fotovoltaici, importi da 5mila a 30mila euro, con durata variabile da 35 a 120 rate, prima scadenza a 180 giorni e possibilità di differire un pagamento ogni 24. Secondo Ubi banca, grazie alla normativa vigente l’utilizzo di impianti privati consente di accedere a 1.540 euro di incentivi e di ottenere un contributo di 44 centesimi ogni Kwh di energia pulita prodotta. (da Borsa & Finanza)


Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

mercoledì 25 febbraio 2009

Le ricette di Mercalli su ambiente e clima

«Ripartiamo dai valori sacri del non sprecare, del non buttar via le cose ancora buone, dal senso del risparmio che avevano i nostri nonni». Lo scorso inverno, Luca Mercalli esortava così dal palco del Diavolo Rosso, a un ritorno alle «buone cose» del passato. Lui lo ha messo in pratica: vive in Val di Susa, si scalda con legna e pannelli solari, coltiva l’orto e ama le biblioteche.Il meteorologo con il farfallino di «Che tempo che fa» tornerà a parlare agli astigiani, su invito dell’associazione «Gente & Paesi». È atteso domani alle 21 nel salone Alfieri di Portacomaro. Secondo ospite della rassegna di incontri «Uno sguardo dal ponte», dopo il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. A condurre la chiacchierata sarà il giornalista Carlo Cerrato, direttore del Tg3 Piemonte. Il climatologo disserterà di temi a lui cari: i cambiamenti climatici e l’ecologia, i rifiuti e il business degli inceneritori, gli sprechi di energia e la cementificazione del territorio. Oltre alle apparizioni televisive, Mercalli guida la Società meteorologica italiana ed è responsabile dell’Osservatorio meteorologico di Moncalieri. Dal 1993 ha fondato e dirige la rivista di meteorologia Nimbus. Tiene anche lezioni di climatologia e glaciologia nelle Università in Italia e all’estero. (Da La Stampa)

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni

Cambiamenti climatici, nei vaccini una risposta alla salute globale

"Serve un impegno di 50 miliardi di dollari per la salute globale da parte dei paesi ricchi. Il G8 che si tiene a luglio in Italia deve avere tra le priorità questo tema accanto a quelli economici, sulla sicurezza e i cambiamenti climatici": Tachi Yamada, presidente del Global Health Program della Fondazione Gates, è l'uomo del pressing sul governo Berlusconi. Pochi giorni fa, a Roma, ha incontrato i due diplomatici ai vertici dello speciale "Ufficio Sherpa G8", Giampiero Massolo e Pasquale Salzano, le persone che hanno il delicato compito di preparare e negoziare i documenti da proporre al vertice. Era già venuto in Italia per incontrare Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. La Fondazione Gates non è sola in questo pressing: il network europeo Azione per la salute globale (che comprende 16 organizzazioni non governative) ha organizzato un summit sul tema che ha coinvolto paesi in via di sviluppo, esperti, enti internazionali. Bill Gates, parlando delle priorità del 2009 e del prossimo G8, aveva scritto a inizio anno dei tagli del governo italiano agli aiuti (nella cooperazione è del 56%, da 732 a 321 milioni di euro, denuncia Azione per la Salute globale): "Non credo che ciò dipenda da un minore interesse degli italiani, sono fiducioso che il governo troverà il modo di ripristinare i fondi come parte delle sue proposte politiche". (Da Repubblica Salute)

martedì 24 febbraio 2009

Studiare il clima, le Maldive ''danno'' un'isola alla Bicocca

La Repubblica delle Maldive regala un´isola alla Bicocca. Uno dei 1.190 atolli corallini che costituiscono l´arcipelago verrà infatti gestito dall´Università e sarà utilizzato per scopi di ricerca, con l´allestimento di un vero e proprio centro studi. Ad annunciarlo ufficialmente sarà oggi il presidente della piccola repubblica dell´oceano Indiano, Mohamed Nasheed, nell´ambito di un incontro con il sindaco Moratti, il rettore Marcello Fontanesi, la presidente di Assolombarda Diana Bracco e l´assessore al Lavoro Mascaretti. Un dono, quello del presidente Nasheed, che permetterà di sviluppare le ricerche della Bicocca sulla biodiversità dei coralli (autentico patrimonio delle Maldive), sullo sbiancamento dei coralli come indicatore dei cambiamenti climatici e su come le attività dell´uomo e gli eventi naturali possono avere influenza sulla flora dei fondali marini. Al seguito del presidente maldiviano ci sono ventidue tra ministri e uomini di governo, arrivati a Milano con il duplice obiettivo di incontrare imprenditori che investano turisticamente alle Maldive e rendere operativo l´accordo con l´università Bicocca. Grazie all´aiuto dell´ateneo milanese l´attuale High School dell´arcipelago verrà poi trasformata in una vera e propria università, la prima della piccola repubblica asiatica. L´intesa fa parte del progetto di collaborazione per l´Expo 2015, siglato proprio ieri mattina fra il presidente maldiviano (che l´anno scorso aveva votato a favore di Milano contro Smirne) e la Moratti a Palazzo Marino. (Da Repubblica)

Social Watch: cambiamenti climatici e povertà

Crisi finanziaria, aumento del costo delle risorse alimentari e cambiamento climatico creano un'incredibile emergenza globale in cui il rispetto dei diritti umani rischia di passare in secondo piano. Ed è proprio «l'impatto sociale delle crisi globale»" il tema del tredicesimo rapporto di Social Watch, la rete internazionale di organizzazioni della società civile, creata nel 1995 e presente in oltre 60 paesi, che monitora il raggiungimento degli obiettivi che si pone la comunità internazionale in materia di sradicamento della povertà, rispetto dei diritti sociali e parità tra i sessi.Nel suo rapporto il Social Watch confuta le stime della Banca Mondiale, secondo cui la povertà globale sarebbe in rapida diminuzione. Al contrario, con la crisi attuale la situazione rischia di peggiorare: continuando su questa strada non saranno raggiunti per il 2015 gli obiettivi del Millennio stabiliti dalle Nazioni Unite. (Dal Riformista)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Fra spiritualità e scelte concrete la sfida del turismo «verde»

I l turismo è «uno dei vettori degli attuali cambiamenti climatici, in quanto contribuisce al processo di riscaldamento della terra». Perciò è necessaria – da parte dei turisti e degli operatori di settore – un’«etica della responsabilità » per contenere e ridurre sempre più l’impatto ambientale del turismo. Così scrivevano il cardinale Renato Martino e l’arcivescovo Agostino Marchetto, presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, nel messaggio per la 29ª Giornata mondiale del turismo (27 settembre 2008) che faceva proprio il tema scelto dall’Organizzazione mondiale del turismo, i «cambiamenti climatici».Sono oltre 900 milioni le persone che si recano in viaggio turistico all’estero – ricorda il messaggio vaticano – con un impatto ecologico legato tanto ai mezzi di trasporto (aereo, auto, nave etc.) quanto al funzionamento delle strutture per il soggiorno e l’intrattenimento. Per ridurre tale impatto, il turista può fare scelte concrete – riscoprendo l’andare a piedi, scegliendo strutture recettive a basso impatto ambientale, contenendo peso e volume dei bagagli, smaltendo correttamente i rifiuti, privilegiando i prodotti dell’artigianato locale etc.Queste scelte, suggerisce il messaggio, possono trovare maggiore efficacia e diffusione se radicate in una visione del creato – e della responsabilità umana verso il creato – alimentata dalla Parola e dalla sapienza biblica, capace di generare una spiritualità, una cultura e un’etica del turismo a misura d’uomo e di ambiente. Proprio in materia di riscaldamento globale la Santa Sede ha dato il buon esempio – ricordano Martino e Marchetto – creando una zona boschiva in Ungheria, che ha reso il Vaticano il primo Stato sovrano a «emissioni zero », e installando un impianto fotovoltaico a pannelli solari sopra l’aula Paolo VI. (da Avvenire)

Anche i grandi gruppi iniziano a muoversi. Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente

Contrordine degli ambientalisti: "Solo il nucleare salverà la Terra"

Questa è la rivincita di Enrico Fermi e dei ragazzi di via Panisperna. Le centrali nucleari non evocano più l’apocalisse, il freddo siderale di Chernobyl, le atmosfere da day after, con la neve e la polvere atomica, di certi video anni ’80. Le marce del popolo verde a Montalto di Castro sono archeologia storica. Il nucleare, quello che l’Italia ha cancellato con un referendum emotivo, non è più un tabù. Lo dicono gli ambientalisti, di tutto il mondo. Qualcosa è cambiato. Questo è il momento in cui molti ecologisti fanno outing e dicono: ci siamo sbagliati. Le centrali nucleari sono indispensabili per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Il concetto è semplice: per salvare la madre terra l’unica strada è non demonizzare il caro vecchio atomo. È quello che scrivono sull’Independent quattro inglesi «pentiti». Stephen Tindale, fino al 2005, era il direttore di Greenpeace: «È stata come una conversione religiosa. Essere contro il nucleare era il primo comandamento di un ambientalista, ma mi sono reso conto che l’energia atomica è meglio dei cambiamenti climatici». E chi sono gli altri tre? Lord Chris Smith of Finsbury non è un barone qualsiasi, ma il presidente dell’agenzia britannica per l’ambiente. Chris Goodall, uno storico pasdaran verde, e Mark Lynas, giornalista e autore di Six Degrees, i «sei gradi che possono cambiare il mondo», una sorta di cronaca sul come finiremo tutti arrosto. Questi quattro cavalieri dell’apocalisse non hanno rinnegato la propria religione, ma hanno spuntato dalla lista dei peccati mortali il nucleare. Lynas arriva perfino a dire che la moratoria sulla costruzione di nuove centrali, ora revocata dal governo di Londra, è stata un «errore enorme, per il quale ora la terra sta pagando il prezzo». Gli ecologisti si sono resi conto che l’unica alternativa al nucleare sono le vecchie centrali a carbone. Quelle che hanno riempito il cielo di nebbia verde.Gli ecologisti, per più di vent’anni, si sono mossi nel mondo come una masnada di Savonarola. È stato il loro grande errore ideologico. Hanno trasformato la sacrosanta tutela della terra in una guerra santa, da invasati, carichi di verità assolute, di scomuniche. Questo è buono e questo è cattivo. Ma l’atomo non è il demonio e neppure la «particella di Dio». È solo l’energia più pulita e meno costosa che c’è. Ora, adesso. Come al solito è il male minore. È pericoloso se ci giochi male, se non stai attento e si porta dietro il problema delle scorie, che vanno smaltite. E non è facile. Ma questo lo sapeva anche Fermi, quando il 2 dicembre 1942 fece partire, a Chicago, il primo reattore nucleare a fissione.La lista dei crociati pentiti è lunga. Patrick Moore, co-fondatore di Greenpeace, ha scritto un mea culpa. «Ho dovuto cancellare trent’anni della mia vita». James Lovelock, padre spirituale del «principio di Gaia», quella quasi religione olistica che adora la Terra come unico e grande essere vivente, ora sostiene: «L’opposizione al nucleare si basa su una paura irrazionale alimentata da fiction di tipo hollywoodiano, la lobby verde e i media». Stewart Brand, fondatore di The Whole Earth Catalog, assicura che lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi è «un problema sormontabile». (Da Il Giornale)

giovedì 19 febbraio 2009

Stili di vita a impatto zero

Gli svedesi vivono verde. E non si tratta solo di utopie programmatiche o di timidi tentativi nostrani di tenere separati, per quanto possibile, i rifiuti. A Stoccolma il primo quartiere totalmente ecocompatibile, con 10.000 appartamenti e 25.000 residenti (il 10% dei quali di un'età compresa tra i 5 e i 10 anni), è una realtà. Il progetto Hammarby Sjöstad, sulle rive del Baltico nella zona sudest della città, dove prima c'era un'area industriale dismessa, era stato pensato per accogliere il villaggio olimpico nel 2004. Perduta la candidatura ai Giochi, si è trasformato in un progetto urbanistico che durerà fino al 2016: il Comune ha imposto requisiti di ecosviluppo a tutto il quartiere, collegato al centro da nuove fermate della linea blu della metropolitana. Si gira in bicicletta, il car sharing è diffusissimo e le case, con pareti di vetro, hanno tutte una doppia esposizione per favorire la ventilazione e ridurre il consumo di elettricità (comunque rigorosamente fornita da pannelli solari e da lampadine a basso consumo). Hammarby sfrutta il concetto di metabolismo circolare: gli abitanti riescono a produrre il 50% dell'energia di cui hanno bisogno per illuminare, riscaldare e cucinare. L'energia è prodotta da una centrale di biogas derivato dalla combustione dei rifiuti domestici. Il rigoroso senso estetico nazionale non prevede cumuli di spazzatura accatastati agli angoli delle strade in attesa dei camion: i rifiuti, già separati in origine, vengono raccolti da un sistema pneumatico sotterraneo e convogliati nella centrale. L'acqua viene dal lago Mälaren, che è anche la fonte principale di acqua potabile dell'intera città, e lì ritorna, attraverso le turbine dei purificatori. Il Modello Hammarby è già stato esportato in Russia e in Gran Bretagna. E nella città di Stoccolma il quartiere sta organizzandosi per accogliere servizi come asili e scuole. (dal sole24ore.com)

Un progetto di risparmio ed efficienza energetica è stato lanciato dall’Eni di Paolo Scaroni più di un anno fa con l’obiettivo di permettere un risparmio del 30% sull’attuale bolletta energetica di ogni famiglia

Kyoto, Il Sole 24 Ore a impatto zero

Dal 16 febbraio le emissioni di CO2 legate al ciclo di vita del Sole 24 Ore saranno compensate con la creazione e la tutela di nuove foreste.

Il compleanno di kyoto

Ogni famiglia italiana potrebbe ridurre le emissioni di gas serra di circa 2 tonnellate l'anno, risparmiando pure sulle bollette di casa. «Evitare gli sprechi, preferire prodotti locali e di stagione, ridurre gli imballaggi, fare la raccolta differenziata, avere un occhio attento ai consumi energetici: sono queste le best practises sostenibili da adottare ogni giorno», suggerisce Gaetano Zipoli, ricercatore all'Istituto di Biometeorologia del Cnr di Firenze (Ibimet-Cnr). E l'eco-giornata tipo si vede già dal mattino.In casa Prima regola: chiudere il rubinetto mentre ci si rade o ci si lava i denti. Un piccolo gesto che, oltre a ridurre le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera, permette di risparmiare anche 50 litri di acqua e quindi di alleggerire la bolletta. Doppio vantaggio, ecologico ed economico, anche se si utilizzano la lavatrice e la lavastoviglie a pieno carico e si lasciano asciugare i panni in modo naturale anziché ricorrere all'asciugabiancheria. Altra buona idea: sostituire le tradizionali lampadine a incandescenza con quelle fluorescenti, che consumano fino a cinque volte di meno e riducono dell'80% le emissioni di Co2. Quando si cucina è bene abituarsi a coprire le pentole con il coperchio oppure scegliere quelle a pressione e, anziché mettere in frigo i cibi ancora caldi, lasciarli raffreddare a temperatura ambiente. Oltre a questi piccoli accorgimenti domestici, si può anche intervenire in maniera più massiccia sulla propria abitazione, migliorando l'isolamento termico di pavimenti, tetto e pareti, e installando serramenti nuovi e doppi vetri. L'ideale è partire dalla diagnosi energetica della casa, in modo da sottoporla poi a una vera e propria riqualificazione in chiave eco-compatibile. Come quella attuata sull'edificio-prototipo Casakyoto, che verrà aperto oggi a Gavirate (Varese). Grazie alla domotica, alle energie alternative, alla ventilazione meccanica e all'isolamento di pareti, pavimenti, impianti di scarico e finestre vengono azzerate le emissioni causate dalla combustione di gas per usi domestici e di riscaldamento.In ufficio Il bon-ton dell'ecocondotta entra anche nel mondo del lavoro. Basta con l'aria condizionata a manetta che obbliga ad andare in ufficio con il maglione anche in estate e che resta sempre accesa. Meglio spegnere il condizionatore quando non è necessario, fare in modo che non sia esposto al sole e tenere chiuse le porte delle stanze climatizzate. Ma addio anche al riscaldamento così alto da costringere a vestirsi leggeri leggeri pure in pieno inverno: abbassare il termostato di appena un grado, da 21° a 20°, può far risparmiare fino a 300 chili di CO2 l'anno.C'è poi il capitolo computer: bisogna ricordarsi di inserire la funzione stand-by e di spegnerlo sempre a fine giornata. Anche limitarsi a stampare solo i documenti necessari è un piccolo gesto intelligente. Il passo in più? Scegliere l'opzione fronte-retro, inserire più pagine in una sola facciata, optare per la bassa risoluzione e verificare in "anteprima di stampa" che la pagina sia corretta per evitare di doverla ristampare. Infine: mai pensato di andare in ufficio usando i mezzi pubblici anziché l'auto, magari anche un solo giorno a settimana? Ma se proprio non si può rinunciare all'automobile, perché non condividerla con i colleghi? Così si eviteranno fino a 1.200 chili di CO2 l'anno, si divideranno le spese e non si rimarrà più soli al volante. (Da ilsole24ore.com)

L'ecologia delle piccole abitudini

Ogni secondo perso costa 48 euro. Sommati si traducono in un "assegno" da 4 milioni di euro al giorno. È salato il conto che, secondo Kyoto Club, l'Italia paga per il ritardo nell'attuazione del protocollo sul clima. E anche le famiglie hanno la loro parte di responsabilità. Dati statistici alla mano, si scopre infatti che dal 2000 al 2006 le loro emissioni di anidride carbonica si sono ridotte di un misero 1 per cento. La modesta performance ecologica viene alla luce proprio nel giorno del quarto anniversario della ratifica del protocollo di Kyoto, che Il Sole 24 Ore oggi ricorda portando in edicola un numero a Impatto Zero, grazie alla collaborazione con LifeGate e Arval. Dietro i numeri si nasconde però una sorpresa: il "nemico" dell'ambiente non viaggia lungo le nostre strade, ma abita dentro le mura domestiche, se si pensa che le emissioni da riscaldamento sono cresciute dell'8% nei sei anni considerati. Eppure basterebbero tanti piccoli accorgimenti per avere un occhio di riguardo in più verso l'ambiente. La formula vincente del bon ton ecocompatibile proposta da LifeGate, infatti, è molto semplice: utilizzare lampadine a risparmio energetico, preferire la carta riciclata, spegnere gli elettrodomestici quando non si usano, spostarsi con i mezzi pubblici, fare la spesa "giusta". Così è possibile tagliare circa 2 tonnellate all'anno di anidride carbonica. L'eco-giornata tipo si vede già dal mattino. Chiudere il rubinetto mentre ci si lava vuol dire risparmiare anche 50 litri di acqua. In ufficio abbassare il termostato da 21 a 20 gradi può far risparmiare fino a 300 chili di gas serra all'anno. E al supermercato meglio limitare al massimo i sacchetti di plastica puntando sugli «shopper» in cotone o tela. È proprio sulle abitudini di consumo che si gioca la partita del clima. Le auto "verdi" guadagnano timidamente terreno, i frigoriferi ad alta efficienza energetica rappresentano già quasi la metà dei pezzi venduti e una caldaia su tre è ormai a condensazione. (da ilsole24ore.com)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

mercoledì 18 febbraio 2009

Emertgenza pioggia a Palermo

Da Repubblica
Viviamo in pieno cambiamento climatico. Cosa succederebbe se Palermo diventasse una città ad alta piovosità, com´è in questi giorni? Facciamo fantascienza. Si porrebbe un problema: i pali. A quanto si vede, Palermo è la città che ha più pali al mondo: regolari, abusivi, di imprecisata utilità. E tutti sembrano uniti in una funzione principale (oltre quella di deturpare): impedire il passaggio degli ombrelli aperti. Dunque, con la pioggia, primo compito sarebbe di ordinare questa informe selva di pali, allineare, sostituire, pena il blocco del movimento. Con grande impulso, lsu permettendo, all´industria che produce pali. E poiché la metallurgica è stata base della rivoluzione industriale, si potrebbe sperare, con la pioggia, l´arrivo finalmente di una rivoluzione industriale. Cosa non funziona in questa fantascienza? Che la pioggia ogni anno fa anche crollare palazzine, ma questo non è stato mai ad Abbandonopoli impulso a risanare il centro storico.

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni

Una base ecologica per la biodiversità dell’Antartide

La prima base scientifica a emissioni zero ha appena cominciato la sua attività in Antartide. E’ belga e si chiama Princess Elisabeth Station. Accanto ad essa sorge una centrale eolica mentre per la sua costruzione è stato usato solo materiale ecologicamente tollerabile. Inutile dire che il suo funzionamento avviene esclusivamente con il ricorso ad energie rinnovabili. Insomma il continente bianco, ultimo continente ad essere esplorato dall’uomo, torna a far parlare di sé per le attività di ricerca che lo riguardano. Oltre alla base appena inaugurata, infatti, emergono nuovi dati da quello che è considerato uno dei progetti scientifici più articolati e complessi del momento. Si tratta del Censimento della Vita marina, un’opera di catalogazione colossale portata avanti da 500 studiosi in 25 Paesi diversi che stanno scandagliando i fondali del pianeta per capirne le variazioni dovute in parte anche ai cambiamenti climatici. I risultati definitivi si avranno solo nel 2010 ma intanto le due anime bianche del pianeta, ovvero Polo Sud e Polo Nord cominciano già ad aprire i loro scrigni marini. E rivelano dati che hanno sorpreso e non poco gli studiosi. Primo fra tutti il fatto che ad accomunare Artico e Antartide sia l’esistenza di 235 specie identiche, una novità questa perché si riteneva invece che non ci fossero punti in comune nella fauna dei sue poli. Mentre viene confermata la grande ricchezza dei fondali di entrambi, con 5500 specie registrate in Artico e ben 7500 al Polo Sud. Anzi proprio qui è stata monitorata una fauna che non si trova in nessun altro punto del mondo, a dispetto delle temperature glaciali e inaccessibili. Non solo ma appare sempre più chiaro come l’Antartide abbia giocato un ruolo decisivo come “incubatrice”. Nel giro di milioni di anni, cioè, questa parte del pianeta avrebbe permesso lo sviluppo di forme di vita che poi sarebbero migrate verso le zone marine settentrionali. (da Panorama.it)

martedì 17 febbraio 2009

Un´industria su due "corre" per Kyoto

Ci sono una buona notizia e una cattiva notizia. Cominciamo dalla buona notizia: il settore dell´industria italiana impegnato sulla frontiera dell´innovazione tecnologica, dell´efficienza energetica, dell´impegno per abbassare le emissioni serra è in crescita. La cattiva notizia è che questo settore resta, sia pure di poco, minoritario. E´ il risultato del rapporto CDP6 Italy, realizzato con la collaborazione del Monte dei Paschi di Siena, del Kyoto Club e di Erm Italia. CDP sta per Carbon Disclosure Project, cioè un progetto per misurare la consapevolezza dei rischi e delle opportunità legate al processo dei cambiamenti climatici: quindi la determinazione e la capacità con le quali le aziende assumono la variabile climatica all´interno delle loro strategie.Il Carbon Disclosure Project è un´operazione di grande respiro: opera per conto di circa 400 tra i principali investitori internazionali (compresi nomi come Allianz, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Axa Group, Bnp Paribas, Hsbc, Morgan Stanley) che gestiscono più di 57 mila miliardi di dollari. L´idea è stata lanciata nel 2000 dalla Rockfeller Philantropy Advisors di New York. In sostanza i grandi operatori della finanza, preoccupati per le conseguenze del caos climatico, hanno deciso di monitorare la sensibilità delle industrie e la loro capacità di reagire, prevenendo i danni attraverso la riduzione delle emissioni serra e adattandosi alle conseguenze della pressione climatica che già cominciano a delinearsi. (Da Affari & Finanza)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Londra, quanto inquinano i vip ecologisti

Si fa presto a dire verde. C’è chi adotta un albero a rischio d’estinzione a migliaia di chilometri di distanza e sente d’aver salvato la foresta amazzonica. L’impegno ecologista va di moda: rende molto in termini d’immagine e costa poche dichiarazioni altisonanti al momento giusto. A meno che qualcuno non si presenti alla porta a misurare vizi privati e pubbliche virtù, come è capitato alla rock star inglese Chris Martin, pizzicato dal quotidiano «Sunday Times» a predicare bene e non razzolare altrettanto. Martin, frontman dei Coldplay nonché marito dell’attrice Gwyneth Paltrow, è un campione dell’ambientalismo internazionale. Come l’illustre consorte, madrina della campagna americana per il risparmio energetico Act Green e tra le prime star a utilizzare cosmetici naturali, il cantante ha molto a cuore la riduzione di CO2, uno dei gas responsabili del surriscaldamento globale, al punto da compensare le emissioni prodotte per l’uscita dal secondo album del suo gruppo finanziando una piantagione di alberi di mango in India. Peccato che, secondo gli esperti della Irt Survey, la società di rilevazioni ingaggiata dal «Sunday Times», la casa della coppia, un bijou da 2,5 milioni di sterline (circa 2,7 milioni di euro) in Belsize Park, a Londra, disperda 1020 chilowattora di calore l’anno. E con l’energia di rinforzo, necessaria per non morire dal freddo, quell’immobile produca 265 chili di anidride carbonica, quanto un automobile di media cilindrata in un percorso di 1300 chilometri. I Martin in realtà sono in buona compagnia. Altri nove celebri ambientalisti inglesi, dal deputato liberaldemocratico Simon Hughes, responsabile dell’effetto serra, al vescovo della capitale Richard Chertres, non hanno passato la prova coerenza. Non che le loro abitazioni inquinino in maniera drammatica ma, per negligenza di manutenzione, sono più energivore (o al massimo equivalenti) di quelle qualsiasi di cittadini non particolarmente interessati a rendere il mondo un posto migliore. Inoltre, sostiene Steve Howard dell’organizzazione Climate Group, «muri a intercapedine isolanti sono un “lusso" che anche chi non guadagna molto può permettersi». Figurarsi una star. Prendete il sindaco della City, Boris Johnson, ciclista convinto e fedele alla causa ecologista tanto da offrire ai londinesi incentivi per isolare termicamente gli appartamenti. La sua magione vittoriana nel quartiere di Islington, la culla del New Labour, rilascia un extra bonus di 1388 kWh e 360 chili di CO2 l’anno. Un dato che ha mandato su tutte le furie il consigliere verde Janny Jones: «In questi casi bisogna essere credibili, deve mettersi in regola». La causa della perdita, rivela il Sunday Times, sarebbero gli infissi delle finestre troppo vecchi e irreparabili che avrebbero indotto il primo cittadino a cercarsi a breve una nuova sistemazione.Anche mister Hughes, con 471 chili di anidride carbonica sulla coscienza (1812 kWh), progetta di traslocare: «Sono consapevole che la casa deve essere riparata il prima possibile». La settimana scorsa ha annunciato un piano per rendere ogni dimora londinese «energicamente efficiente» nel giro di dieci anni. Dimenticando la sua. «Se non vado altrove provvederò», promette.Ad eccezione di Chris Martin, i cui portavoce hanno preferito non commentare, gli «spreconi» alzano le mani pescate nel sacco. «La proprietà ha duecento anni e possiamo intervenire in modo limitato», ammette sir David Attenborough, volto storico della Bbc e pioniere dei documentari naturalisti. (Da La Stampa)

lunedì 16 febbraio 2009

Le nuove rotte del disgelo

L'estensione dei ghiacci artici è diminuita di un milione di chilometri quadri dal 1978 a oggi. Ciò potrebbe ridurre i tempi di navigazione e rendere sfruttabili petrolio e gas....Quest'anno l'andamento dell'estensione del ghiaccio marino, che in genere raggiunge il suo massimo in marzo, era partita da valori piuttosto bassi. In ottobre era di circa 4,5 milioni di chilometri quadrati, al di sotto del valore registrato nell'inverno 2006-2007 che rappresenta per ora il minimo assoluto. Il ghiaccio è aumentato piuttosto vigorosamente tra novembre e dicembre, ma poi è rimasto pressoché stazionario per due settimane in dicembre e di nuovo tra il 15 e il 26 gennaio. Al momento attuale è praticamente agli stessi valori minimi del 2006-2007.Le cause di questo trend così deciso sono poco chiare. Non è possibile attribuire un singolo evento a una tendenza di lungo periodo, quindi non è possibile additare con sicurezza l'aumento di CO 2 come il responsabile di questa situazione, ma lo scenario di aumento delle temperature polari e quindi di diminuzione del ghiaccio galleggiante, è consistente con le simulazioni dei modelli numerici di cambiamenti climatici che in genere danno aumenti di temperatura più marcati nelle zone polari e il ghiaccio in caduta libera.....L'Artico diventa quindi un crocevia di problemi climatici ed ecologici, economici, commerciali, politici e giuridici. Un esempio del tipo di problema interdisciplinare che i cambiamenti climatici, naturali o meno, ci pongono e ci porranno sempre di più e che avranno effetti ben al di là delle nazioni artiche propriamente dette che si affacciano direttamente su questo oceano. (da "Il Sole 24 Ore)
I cambiamenti climatici, ormai sotto gli occhi di tutti, richiedono che soprattutto le giovani generazioni assumano comportamenti eco sostenibili. Ecco cosa fa l’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni per sensibilizzare i giovani e la scuola.

Terra da salvare

Circumnavigare il mondo con lo sguardo. Dai ghiacciai artici alle distese oceaniche in più di cento clic: è la fotografia del pianeta scattata dalla mostra «Madre Terra», ospitata nelle sale di Palazzo delle Esposizioni (fino al 29 marzo, via Milano 13; info 06.39967500). A cura di Guglielmo Pepe, presidente di National Geographic Italia, la rassegna è un viaggio nei continenti, tra oasi incontaminate e urbanizzazione selvaggia. Dopo il focus dello scorso anno sui quattro elementi, la «magna mater» balza in primo piano negli scatti di circa sessanta reporter, ovvero la crème della rivista.«Abbiamo selezionato più di tremila foto – spiega il curatore – per lo più materiale inedito». La sua preferita? «Il pinguino dell'Antartide: mi colpisce la sua solitudine in un habitat che sta subendo le conseguenze del riscaldamento globale ». Nell'inquadratura di Maria Stenzel, un iceberg campeggia sublime, come in un dipinto di Friedrich: maestosa e fragile al tempo stesso, la piramide di ghiaccio è l'emblema di un ecosistema vicino al collasso. In filigrana, le immagini dicono anche questo: «Salvare il pianeta – ricorda Pepe – non è solo responsabilità dei governi. Ciascuno di noi, nel suo piccolo, può dare un contributo, riducendo il consumo energetico e usando l'automobile quando è davvero necessario ».Così, per l'aspirante globe-trotter, la bussola è proprio la biodiversità: sentirsi a casa a tutte le latitudini, tra canyon rocciosi e pianure sconfinate, acque tropicali e dune desertiche. Con la sola forza dello sguardo, la sequenza rivela il fascino, e la precarietà, di un equilibrio messo a dura prova dai cambiamenti climatici. Bando agli allarmismi, è l'emozione la chiave per riconciliare l'uomo con il suo habitat. Ed ecco che la terra si offre generosa all'obiettivo da infinite angolazioni. Come in un periplo ideale, lo sguardo spazia dalle foreste equatoriali alle Alpi italiane, alla scoperta di ecosistemi rari e paesaggi mozzafiato.Nel variopinto mosaico terrestre, gli animali – grizzly dell'Alaska e panda giganti, elefanti e ippopotami – accentuano il fascino esotico dei luoghi. In pieno ruggito, la tigre immortalata da Michael Nichols, asso dell'obiettivo, intimidisce con la sua regalità. Il ritratto delle gru giapponesi, filiformi e screziate, di Roy Toft ricorda, invece, la raffinatezza delle stampe di Hokusai. Completano l'excursus i gruppi umani che vivono in situazioni di emergenza, come i bambini malnutriti della Nigeria e quelli poverissimi di Gaza, i monaci buddisti e i guerrieri maori. La suggestione, però, non è l'unico ingrediente della rassegna: toccano nel profondo le inquadrature che documentano gli effetti dannosi dello sviluppo indiscriminato e i limiti della tutela ambientale. Tutt'altro che asettico, l'occhio dei reporter racconta personaggi, atmosfere, stati d'animo. «I nostri autori – sottolinea Pepe – sono coinvolti nel loro lavoro. Ogni immagine ha un suo percorso e una sua storia». Il filo che le unisce, ai quattro angoli del globo, è la sofferenza: condizione comune agli esseri viventi, tutti figli della stessa madre terra. Consolatoria e protettiva come la donna inuit con bambino, icona della mostra, che sorride all'obiettivo.
(dal "Corriere della Sera)

venerdì 13 febbraio 2009

Kyoto club: rinnovabili e cambiamenti climatici nel futuro energetico

Investimenti pari a 150 miliardi di dollari nel 2007 e 2,3 milioni di occupati nel mondo. Sono alcune cifre che testimoniano la rapidissima ascesa delle energie rinnovabili. Se ne parla oggi a Roma, presso la sala della Protomoteca del Campidoglio in un convegno promosso da Kyoto Club in occasione del decennale della sua fondazione e per il quarto anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto. “La rivoluzione energetica è partita, anche se con risultati molto diversi nei vari paesi. Primeggia l’Europa: nel 2008 l’eolico, in termini di nuova potenza installata, si è posizionato al primo posto (35 per cento), seguito dalle centrali a gas (29 per cento) e dal fotovoltaico (19 per cento) – anticipa a Panorama.it Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club - La cosa che colpisce di più è il fatto che, considerando le variazioni nette delle potenze elettriche tra il 2000 e il 2008, l’eolico si posiziona al secondo posto (45 per cento), dopo il gas (68 per cento) e il fotovoltaico al terzo posto (7 per cento). Europa e Cina prevedono che rispettivamente il 20 e il 15 per cento dei consumi di energia proverrà da fonti rinnovabili entro il 2020, mentre gli Usa puntano ad un raddoppio di elettricità verde in 3 anni”.

Anche il Comune di Foligno firma convenzione europea

Anche il Comune di Foligno ha firmato a Bruxelles la convenzione dei 400 Comuni europei che hanno aderito alla proposta della Ue in materia di cambiamento climatico, per favorire la riduzione delle emissioni di CO2 nell'atmosfera e incrementare l'uso delle energie rinnovabili. La delegazione del Comune di Foligno era composta dal sindaco Manlio Marini, dall'assessore all'ambiente, Paolo Trenta, e dal direttore generale del Comune, Alfiero Moretti. La cerimonia si e' svolta nella capitale belga nella sede del Parlamento Europeo, alla presenza del presidente della Commissione Europea, Jose' Manuel Barroso e del vicepresidente del Parlamento Europeo, Alejo Vidal-Quadras Roca. "Si e' trattato di un momento emozionante e al tempo stesso di grande valore politico - ha dichiarato il sindaco di Foligno, Manlio Marini - quello di incontrarsi, nella sede prestigiosa del Parlamento Europeo, con centinaia di sindaci in rappresentanza delle Nazioni d'Europa riunite per siglare un patto estremamente impegnativo sull'uso di energie rinnovabili per ridurre del 20 per cento, entro il 2020, le emissioni di CO2 nell'atmosfera e garantire una migliore qualita' di vita per i cittadini". (Agi)

Un progetto di risparmio ed efficienza energetica è stato lanciato dall’Eni di Paolo Scaroni più di un anno fa con l’obiettivo di permettere un risparmio del 30% sull’attuale bolletta energetica di ogni famiglia

giovedì 12 febbraio 2009

Mercoledì prossimo «L'ultimo viaggio di Darwin»

In occasione del bicentenario della nascita di Charles Darwin, lo scienziato che formulò la teoria dell'evoluzione delle specie, National Geographic manderà in onda mercoledì prossimo alle 22.00 il documentario «L'ultimo viaggio di Darwin», che ricostruisce i cinque anni di osservazioni e ricerche che portarono lo studioso alla formulazione della capitale opera «L'origine delle specie». A seguire partirà la miniserie in tre episodi (che si concluderà il 25 febbraio) dedicata all'evoluzione delle specie animali, in cui si seguiranno le tracce dell'incredibile e avventuroso viaggio di dinosauri e mammiferi attraverso le ere, i cambiamenti climatici, le trasformazione degli habitat naturali.

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Qui Terra: punto di non ritorno

Da Il Sole 24 Ore

Il cambiamento climatico è già oltre il punto di non ritorno. Impensabile invertirne l'andamento, almeno per i prossimi secoli, perché ciò che decideremo oggi potrà solo cercare di mitigarne gli effetti. Questo è il quadro, non certo allegro, che ha recentemente disegnato Susan Solomon, "chief scientist" del Noaa, la prestigiosa agenzia Usa per il monitoraggio degli oceani e dell'atmosfera.Un quadro che ribadisce l'importanza delle due aree polari e degli oceani nel regolare la complessa termodinamica della Terra. Questo gigantesco radiatore planetario sembra però ormai irreversibilmente messo in crisi dalle alte concentrazioni di CO 2 nella nostra atmosfera.«Il nostro studio mostra che le scelte che si fanno oggi in termini di emissioni di CO 2 avranno ricadute che cambieranno irreversibilmente la faccia del nostro Pianeta per almeno i prossimi mille anni », sottolinea senza mezzi termini la scienziata statunitense, che è tra l'altro una delle figure di punta dell'Ipcc, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici. Che la CO 2 riversata in atmosfera può rimanervi per migliaia d'anni è un fatto noto da tempo, ma i risultati di Solomon gettano una nuova luce sulle conseguenze a lungo termine. Lasciare che la concentrazione di anidride carbonica, cresciuta dalle 280 parti per milione (ppm) dell'inizio dell'era industriale alle 380 di oggi, arrivi fino a 480 o addirittura 600 ppm. In realtà questo processo è già ben visibile proprio nelle zone polari.Insieme agli oceani i ghiacci si riscaldano rallentando l'innalzamento di temperature, proprio come farebbe l'impianto di raffreddamento di un motore, ma mostrano la corda. Al punto che nei prossimi secoli gli oceani rischiano addirittura di cominciare a lavorare in senso opposto, mantenendo il calore invece di raffreddare. Quanto rapide possano essere queste inversioni lo mostrano anche il continuo restringimento della banchisa artica che ha perso oltre il 30% di massa rispetto al 1979, ma anche gli ultimi dati provenienti dal Polo Sud. In «Nature» Eric Steig ha finalmente chiarito il rompicapo delle temperature più fredde delle zone più interne dell'Antartide in assoluta controtendenza rispetto a quello che sta succedendo nella Penisola antartica che si estende verso il Sudamerica.Il raffreddamento, fino a poco tempo fa inspiegabile, sarebbe dovuto al cosiddetto "buco nell'ozono" che provoca dei venti occidentali circumpolari più forti sulla parte occidentale del continente. Un'ambiguità che era diventata un'argomentazione per gli scettici del cambiamento climatico e una spina nel fianco per i climatologi. L'analisi diSteig ha fatto tesoro dei dati rilevati dai satelliti, i quali stanno offrendo maggiori possibilità di analisi dei fenomeni e ha tagliato il nodo. La sua ricostruzione delle serie di temperature mostra invece che nell'ultimo mezzo secolo vi è stata una tendenza al riscaldamento non solo nella Penisola Antartica, ma anche nella calotta Occidentale e in quella Orientale. «È un riscaldamento in linea con quanto avvenuto nel resto dell'emisfero meridionale – sottolineano gli esperti – difficile da spiegare senza un incremento della forzante solare associato all'aumento di concentrazione dei gas serra».Le tendenze future delle temperature sull'Antartide dipenderanno anche da come le variazioni di composizione dell'atmosfera influenzeranno la quantità di ghiaccio marino dell'emisfero australe e la circolazione atmosferica regionale, ma lo scenario, secondo Solomon, rischia di diventare letteralmente bollente. Lasciare che la CO 2 nell'atmosfera aumenti airitmi attuali fino a livelli tra i 480 e i 600 ppm, sarebbe l'equivalente di infilare un cacciavite nel radiatore della propria auto. In meno di un secolo l'Europa meridionale, e quindi proprio la fascia mediterranea dove si trova anche l'Italia, vedrebbe una riduzione di precipitazioni e inaridimento a livello del Nord Africa, del Sud Ovest americano o dell'Ovest dell'Australia.Uno scenario drammatico, per scongiurare il quale le tecnologie e le soluzioni disponibili oggi non sembrano certamente sufficienti, tantopiù che il taglio delle emissioni continua a incontrare una forte resistenza da parte di molti Paesi in questo momento di crisi. La proposta più radicale, ma anche più innovativa, è arrivata recentemente da James Lovelock, scienziato ambientalista ideatore dell'ipotesi di "Gaia", che propone di puntare sull'energia nucleare per i prossimi 20-30 anni mentre si sviluppano energie pulite di nuova generazione, ma soprattutto sottrarre CO 2 dall'atmosfera su grande scala. Come? Con la tecnologia più vecchia del mondo, l'agricoltura. «La biosfera assorbe 550 gigatonnellate di CO 2 ogni anno, mentre l'uomo è responsabile dell'emissione di circa 30 – ha spiegato lo scienziato – .Basterebbe bruciare in assenza di ossigeno una quota di residui agricoli e forestali trasformandoli in carbone e seppellirli, per ridurre la CO2 in atmosfera senza sussidi e con effetti benefici per il terreno».

mercoledì 11 febbraio 2009

"Premio Polena" a Bjorn Lomborg per «Il clima e il paradosso del safari»

Questa settimana il "Premio Polena" per l'articolo più interessante va a Bjorn Lomborg con «Il clima e il paradosso del safari» pubblicato sul "Sole 24 Ore" di domenica 1 febbraio 2009. Scrive Lomborg (fondatore del Copenhagen Consensus e autore de "L'ambientalista scettico. Non è vero che la terra è in pericolo") che il riscaldamento del pianeta non è contestabile, ma purtroppo l'efficacia delle proposte degli ambientalisti, soprattutto se si considera il rapporto costi/benefici, è molto discutibile.Barack Obama, nel suo libro "I sogni di mio padre", racconta che quando stava in Kenya e voleva andare a un safari, la sorella Auma lo rimproverava di avere un comportamento da colonialista. «Perchè mai - diceva - tutta quella terra dovrebbe essere riservata al turismo quando potrebbe invece essere destinata all'agricoltura», salvando in questo modo molti bambini dalla fame? L'aneddoto di Obama, sostiene Lomborg, trova un corrispettivo nell'attuale preoccupazione per il riscaldamento del pianeta.L'Unione Europea si è infatti impegnata a raggiungere in 12 anni l'ambizioso obiettivo di tagliare le emissioni di Co2 del 20% rispetto ai livelli del 1990, usando le energie rinnovabili. Una misura di questo tipo costerebbe più dell'1% del pil, e se anche tutto il mondo facesse altrettanto, il risultato sarebbe quello di abbassare la temperatura del pianeta di un ventesimo di grado Fahrenheit per la fine del secolo. Il tutto allo strabiliante costo di 10mila miliardi di dollari. Per molti meno soldi potremmo fornire a 2-3 miliardi di persone nel mondo i micronutrienti essenziali evitando forse un milione di morti e rendendo metà della popolazione mondiale più forte nel fisico e nella mente. I modelli economici dicono che il riscaldamento dell'ambiente produrrà di qui alla fine del secolo danni per il 3% del pil. Non è trascurabile ma non è la fine del mondo. Rimane invece il dilemma del safari: perché le nazioni spendono tanto contro i cambiamenti climatici per non ottenere praticamente nulla nell'arco di un secolo, quando spendendo meno soldi si potrebbe fare davvero tanto per il genere umano? (da il riformista)

Così cinguetta l'evoluzione

alla civiltà greca antica, e probabilmente da molto prima, i filosofi della natura hanno tentato di spiegare perché il mondo sia così pieno di organismi. Ma fino al 1859, quando Charles Darwin pubblico il trattato Sull'origine delle specie, non si potè rispondere a questa domanda con una naturale e omnicomprensiva teoria dell'evoluzione.I fringuelli che egli osservò alle Galapagos, quelli che poi presero il suo nome, giocarono un ruolo piccolo ma importante nello sviluppo delle teoria della selezione naturale. Restò cinque settimane sulle isole, prestando attenzione tanto alle rocce e alle formazioni geologiche, quanto agli animali e alle piante. I fringuelli divennero importanti dopo il suo ritorno in Inghilterra, quando John Gould, un tassonomista, gli disse che tutte le specie appartenevano a un singolo gruppo. Questo fatto inatteso lo aiutò a formulare un'idea rivoluzionaria: le specie non sono "fisse", ma possono cambiare e diversificarsi attraverso molte generazioni. «Vedendo la gradazione e diversità di struttura in un piccolo, strettamente imparentato gruppo di uccelli – scrisse Darwin nel 1842 – si potrebbe fantasticare che, da un originario piccolo numero di uccelli in questo arcipelago, una specie è stata presa e modificata per fini diversi».Darwin ci ha così donato una teoria da applicare a tutti gli organismi in ogni situazione. Non possiamo biasimarlo per non avere applicato la sua teoria ai fringuelli, perché dopo la sua breve visita alle Galapagos non vi fece più ritorno. Ora sappiamo che sulle Isole Galapagos ci sono 13 diverse specie, e un'altra abita l'isola Cocos, al largo del Costa Rica. Si sono evolute negli ultimi 2-3 milioni di anni, da una specie antenata che ha attraversato in volo un lungo tratto dell'Oceano Pacifico,dal Sud al Centro America. Ma come si sono evolute e perché ci sono così tante specie? Per rispondere a queste domande, da 36 anni torniamo nell'arcipelago ogni anno, letteralmente sulle orme di Darwin. Ci siamo chiesti: in che modo due specie si sono formate da una sola, e così via?Questo processo, detto speciazione, inizia con la colonizzazione di un'isola da parte di alcuni esemplari provenienti da un'altraisola. Le due popolazioni divergono e poi, quando alcuni membri dell'una volano sull'isola occupata dall'altra, divergono lì ulteriormente: due specie vivono sulla stessa isola senza incrociarsi tra loro, se non raramente. Per approfondire e verificare la teoria abbiamo condotto studi sui fringuelli vivi, la loro alimentazione e il loro accoppiamento, le variazioni da un'isola all'altra e i loro geni. Abbiamo studiato fringuelli su quasi tutte le isole, ma soprattutto a Genovesa e Daphne Major. I nostri studi hanno illuminato due importanti aspetti dell'intero processo: la divergenza e l'ibridazione. La divergenza. Le isole presentano differenze nelle piante e negli insetti, quindi nell'alimentazione dei fringuelli. Quando volano su un'altra isola, trovano alimenti leggermente diversi; o anche sulla stessa isola, quando un cambiamento climatico modifica la disponibilità di cibo. Vi sono annate umide, con abbondanti precipitazioni (El Niño) e annate secche (La Niña). (dal Sole 24 Ore)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

martedì 10 febbraio 2009

Cambiamenti climatici o piromani: c'è l'uomo dietro quei fuochi letali

«Il giorno più nero nella storia australiana in tempi di pace», questo il black saturday nelle parole della vice-premier australiana Julia Gillard, che ha tenuto in parlamento una commossa commemorazione per le vittime dell'incendio dello stato del Victoria. Prima di lei, il premier del Victoria John Brumby aveva parlato di «inferno in terra». È il momento del dolore in Australia, e si cerca con le parole di ricostruire il senso della comunità ferita. Nel suo intervento la vice premier ha raccolto, così come stanno facendo anche i media australiani, alcune delle storie di vita dei cittadini colpiti dalla catastrofe: famiglie scomparse in un colpo, parenti separati dalle fiamme, persone salvate dal caso o dalla fortuna. Intanto i pompieri continuano la lotta contro gli ultimi roghi, e si allestiscono accampamenti per gli sfollati, mentre il conto delle vittime sale, ma tutti, a partire dal premier Kevin Rudd, si preparano a vederlo aumentare ancora. Le temperature vertiginose del week end (47°), il vento e la grave siccità hanno alimentato un incendio senza precedenti, che ha investito un'area di 3000 km quadrati, distrutto 750 abitazioni e messo in fuga più di 1000 persone, molte delle quali sono scappate lasciando tutto tra le fiamme. Ma è anche tempo di indagini, analisi e riflessioni. La polizia ha affermato che almeno alcuni degli incendi sono di origine dolosa, parte delle aree bruciate sono state dichiarate «scene del delitto», ed è scattata la caccia agli incendiari, che in questo caso rischiano l'ergastolo. Ci si chiede anche come mai la tragedia abbia colpito così inesorabilmente quando le previsioni avevano già dato chiari segnali di rischio. All'interno dell'Autorità nazionale per gli incendi (Country fire authority) è in corso il dibattito se sia il caso di modificare la prassi di emergenza («stay or go») finora adottata, e la capa del Cfa, Naomi Brown , ha assicurato che in caso di cambiamento strategico il suo ufficio farà di tutto per comunicare efficacemente con i cittadini prima di una nuova emergenza. Più drasticamente Brumby ha parlato di «fallimento», e ha ordinato una revisione del metodo anti-incendi nel Victoria. Alcuni vedono nelle fiamme del sud est australiano il chiaro segno del cambiamento climatico. La ricercatrice Freya Mathews, dalle colonne del Sidney Morning Herald, dichiara inutile il confronto tra il black saturday e gli incendi del 1939 o del 1983, e invita ad ammettere la crescente e terribile «essiccazione del paesaggio». La catastrofe naturale, per un verso o per l'altro, porta una pesante traccia umana. Il premier Rudd, che ha annunciato ieri un fondo per l'emergenza di 7 milioni di euro dovrà presentare in maggio un nuovo programma di politiche ambientali, e molti sperano che la tragedia del Victoria serva almeno a rendere i futuri provvedimenti più incisivi. (dal manifesto)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

Roghi in Australia, 170 morti

Giornate drammatiche; il fuoco ha divorato ampie zone dello Stato di Victoria, sulla punta sudorientale dell'immenso continente. È il peggior incendio della storia australiana. Le vittime sono almeno 170, concentrate nelle zone attorno alla città di Melbourne, e il bilancio non è definitivo: potrebbe salire anche oltre 230. Dopo il lutto emergono le polemiche: si scatena la caccia ai possibili incendiari. Ci sono dubbi sulle strategie anti incendio e tanti puntano il dito contro i cambiamenti climatici. Questa è la serie di roghi peggiore della storia del paese. In questione c'è proprio la prassi australiana, consolidata da decenni, secondo cui ogni individuo una volta allertato è libero di decidere se restare e difendere la sua proprietà, o abbandonarla alle fiamme. Il premier dello Stato, John Brumby, annunciando una commissione nazionale sulla tragedia parlando dei piromani come di assassini che hanno compiuto un «omicidio di massa». (dal Riformista)

lunedì 9 febbraio 2009

Gli Usa contro il cambiamento climatico

Biden alla conferenza di Monaco che is è chiusa ieri ha voluto confermare l'impegno contro il surriscaldamento climatico. «Siamo pronti - ha detto - a fare ancora una volta da esempio. L'America agirà in modo aggressivo contro il cambiamento climatico e nella ricerca di sicurezza energetica a fianco dei Paesi che la pensano allo stesso modo.

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

Clima, quasi 100 morti in Australia

Quasi cento morti, un fuoco che sta devastando il territorio agricolo e rurale a nord di Melbourne, dove in questi giorni è ancora estate, e il caldo eccezionale amplifica il disastro. Stranno assumendo contorni sempre più drammatici le conseguenze degli incendi che, ormai da quattro giorni, stanno investendo gli Stati sud-orientali dell'Australia, distruggendo tutto ciò che incontrano sul loro cammino con scene d’Apocalisse. I testimoni raccontano: «Ho visto il fuoco venire avanti come un proiettile». «Il mio villaggio assomiglia a Hiroshima». Altri testimoni hanno parlato di fiamme alte come un palazzo di quattro piani e di pioggia di cenere. Secondo l'ultimo bilancio, reso noto dalla polizia, le vittime causate dagli incendi sono già 96. E’ già la più grande tragedia mondiale, per gli incendi, nel nuovo secolo. Il vento che ancora soffia intenso sta rendendo sempre più difficile l'opera di migliaia tra vigili del fuoco e dei volontari, ai quali si è aggiunto nelle ultime ore anche l'esercito.È uno scenario infernale quello che si presenta nella zona rurale a nord di Melbourne, nel sud-est dell'Australia, colpita dai peggiori incendi da più di vent'anni. Gli incendi non sono una novità nelle estati australiane, e il più delle volte sono di origine dolosa. Ma quest'anno il caldo eccezionale, con temperature che sfiorano i 50 gradi, la siccità e i forti venti hanno ingigantito il fenomeno. Gli ambientalisti accusano: il governo renda più incisivi i provvedimenti contro il cambiamento climatico. (Dal Messaggero)

venerdì 6 febbraio 2009

“Capire il clima per il futuro” con gli studenti di Serravalle

La questione mondiale del cambiamento climatico sarà oggetto di attenzione nella scuola secondaria di Serravalle , nell'ambito delle attività del Forum Agenda 21 Giovani della Provincia, ormai riconosciuto sul territorio vercellese come la sede di dialogo e co-progettazione dei giovani. «Forum di Agenda 21 Giovani e cambiamenti climatici», di cui il nostro istituto comprensivo «Padre Baranzano» è da questo anno capofila, in collaborazione con la Provincia di Vercelli, Apevv e ideato dallo Studio Sferalab, prevede di approfondire le cause inerenti le variazioni climatiche. La finalità è quella di definire il contributo che i giovani possono dare alla riduzione delle emissioni di CO2 e allo sviluppo sostenibile del proprio ambiente di vita attraverso una migliore conoscenza dell'argomento e l'adozione di comportamenti più idonei.In questi giorni siamo nella prima fase denominata «Capire il clima, cosa accadrà in futuro, quali soluzioni». Verrà presentato il concorso fotografico «Le immagini per il clima». Gli studenti dovranno fare fotografie che rappresentino situazioni legati al tema del cambiamento climatico (una causa, un effetto, un'emozione o una documentazione storica).Giovedì 26 febbraio, nel nostro teatro, ci sarà la proiezione per le sette classi della scuola media del film «Sei gradi che possono cambiare il mondo». Per le scuole di Vercelli coinvolte nel progetto (media «Lanino», Itc «Cavour» ed Ip «Lanino») la proiezione sarà replicata venerdì 6 marzo al Lux. Al termine della proiezione seguirà un dibattito sulle immagini viste, gestito dagli educatori di Sferalab che conducono nelle scuole progetti ambientali .In aprile a Vercelli si realizzerà poi un Workshop di progettazione partecipata, nel corso del quale gli studenti saranno invitati ad elaborare proposte di azione concrete finalizzate a mitigare il cambiamento climatico. In occasione degli incontri, inoltre, si inserisce l'iniziativa di Apevv (Agenzia provinciale per l'energia del Vercellese e della Valsesia) «La valigia e-check per il risparmio energetico», che affronta l'argomento del risparmio energetico. (Da La Stampa)

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni

Usa, 400 milioni per le ricerche sui cambiamenti climatici

Persistono alcune differenze ideologiche fra repubblicani e democratici su alcune voci di spesa. Per questo si è costituita un'alleanza bipartitica di due senatori per superare alcune delle differenze e per ridurre di molto alcune voci di spesa, come vorrebbero i repubblicani. I due senatori coinvolti nel progetto sono Susan Collins, repubblicana del Maine e Ben Nelson, democratico del Nebraska. Il loro obiettivo è quello di tagliare fra i 50 e i 200 miliardi di dollari dagli attuali stanziamenti di spesa nel pacchetto in discussione al Senato, che supera i 900 miliardi di dollari. I due hanno già identificato alcuni possibili tagli: 50 milioni di dollari per la Fondazione nazionale per le arti, 400 milioni per ricerca aggiuntiva sulle malattie infettive, un miliardo per la Fondazione delle scienze, 850 milioni di dollari per la rete ferroviaria Amtrak, 400 milioni per le ricerche sui cambiamenti climatici.

giovedì 5 febbraio 2009

Bufale climatiche

Da Il Manifesto

Il meccanismo è vecchio, ma funziona sempre. Si lancia la «bufala» sui giornali sapendo che la forza d'urto dell'onda dello scoop sarà sempre maggiore di quella dei rivoli di risacca delle smentite. Poco importa quanto siano grosse le sparate iniziali, l'effetto è garantito. Così è avvenuto anche per i cambiamenti climatici in Italia dove, dopo alcuni articoli in ordine sparso dello scorso autunno, all'inizio del 2009 si è svelato un ampio fronte che nega l'esistenza stessa del riscaldamento del pianeta.Non si trattava in questo caso del classico «al lupo, al lupo» gridato contro le teorie del riscaldamento del pianeta in occasione dei primi freddi invernali, ma di un fatto ben più grave, capace da solo di far tremare le convinzioni di tutti i catastrofisti del pianeta.Molti giornali hanno infatti rilanciato all'unisono la notizia che l'estensione dei ghiacci dell'artico era tornata a crescere notevolmente, riportandoli all'estensione che questi avevano nel 1979. Si minava così alla base la credibilità dell'Ipcc, il panel di scienziati del clima che opera per l'Onu e che nel IV Rapporto (2007), manifestava tutta la sua preoccupazione sul futuro della banchisa artica.C'è solo un piccolo particolare: quella notizia era completamente errata e falsa. Errata perché partiva da un articolo di un giovane climatologo americano messo in discussione poco dopo la sua pubblicazione perché analizzava dati provenienti da due satelliti diversi senza apportarvi alcuna correzione ma, ancora peggio, confrontava solo due dati puntuali e non l'analisi delle tendenze delle temperature nel tempo. Come affermare che il pianeta si sta raffreddando perché oggi è più freddo dello stesso giorno di 30 anni fa.La notizia riportata dai giornali è però anche falsa perché prende spunto dal confronto di dati cumulativi puntuali di copertura dei ghiacci di polo nord e polo sud e viene trasformata nella stampa italiana in un annuncio di riduzione dei soli ghiacci artici.Può sembrare una differenza secondaria, ma nasconde una sottile sfumatura, perché gli scienziati dell'Ipcc differenziano la loro posizione sul destino dei ghiacci nei due poli.Da una parte vi è l'ampia convinzione, supportata anche dall'oggettivo andamento delle misurazioni negli anni, che il riscaldamento del pianeta sta portando alla riduzione dell'estensione del ghiaccio della banchisa artica e che probabilmente nei prossimi anni si arriverà a un suo temporaneo ma totale scioglimento nei mesi più caldi.Per il polo sud la situazione è invece più complessa e allo scioglimento del ghiaccio marino potrebbe corrispondere un aumento di quello continentale per le maggiori precipitazioni nevose legate all'aumento dell'umidità nell'aria e alle temperature sempre rigide di quell'area. I dati reali ci dimostrano per il momento che il polo nord diminuisce in media ogni anno di 47.000 km e il polo sud aumenta di circa 15.000 km, con una riduzione netta globale di 32.000 km, in linea con le posizioni dell'Ipcc.Negare l'esistenza del processo di riduzione dei ghiacci artici significa negare la realtà e mettere in discussione l'ipotesi stessa di cambiamento del clima.Perché allora la stampa italiana dà così spazio a notizie poco attendibili sul clima? È colpa dei giornalisti che non hanno le competenze per affrontare un tema complesso come i cambiamenti climatici? O vi è il dolo di chi cerca sul fronte politico e culturale, anche davanti alle evidenze, di impedire la spinta al necessario cambiamento? Difficile da dirsi. Intanto restiamo in attesa della prossima onda.

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

Tutta l'energia che ci serve, contro i cambiamenti climatici

A Candiolo è nato un impianto di biogas che riesce ad utilizzare gli scarti dell'agricoltura, racconta Il Sole 24 Ore

Ridurre l'uso dei combustibili fossili e ridurre le emissioni di gas serra per far fronte al cambiamento climatico: sono questi gli imperativi delle politiche europee per un'energia sicura, competitiva e sostenibile. Alla luce della grave crisi che si abbattuta sull'economia mondiale una nuova spinta alla crescita ed alla libera concorrenza dev'essere sempre maggiormente ispirata dalla luce nuova siglata “green economy”. Sfruttiamo ciò che è possibile, senza attingere a riserve di greggio, caro e molto inquinante; sembra questa la nuova linea cui i governi puntano.Una leva formidabile, specie in Italia territorio agricolo per eccellenza, è data dal trattamento dei ri*uti organici in impianti di compostaggio integrati a impianti di digestione anaerobica. Tale gestione ha una potenzialità stimata di 8 miliardi di metri cubi di metano/anno pari a un decimo circa della domanda di gas in Italia (83 Gm3 nel 2007). Attualmente questa risorsa energetica viene quasi completamente inutilizzata o sprecata. E' infatti emerso che nel 2020 sarà sostanzialmente impossibile raggiungere l'obiettivo europeo di produrre il 20% di energia da fonti rinnovabili.Nello scenario più rialzista le rinnovabili nuove (biocarburanti, eolico, solare) non andranno oltre 0,6 miliardi tep (tonnellate equivalenti petrolio), a livello globale, nel 2020, contro una domanda di 15 miliardi di tep.Qualcosa, però, si sta muovendo, soprattutto in Europa, che mantiene il primato nel mondo riguardo alla potenza installata da fonti energetiche rinnovabili, davanti alla Cina, agli Stati Uniti e all'India. Per il solo comparto eolico, settore in cui l'Italia sconta un forte ritardo, la Germania detiene il primato nel mondo con oltre 15 mila Mw prodotti.Nei prossimi anni, in base ad un'analisi di Nomisma energia, si prevede, nel nostro Paese, un incremento della produzione di energia elettrica del 45,7%, sommando tutte le fonti: eolico, biomasse, fotovoltaico, idrologico, ri*uti solidi urbani 1,1%. Un buon esempio è l' impianto di produzione di biogas realizzato a Candiolo, in provincia di Torino, dalla Cooperativa Speranza, inaugurato il 28 giugno lungo la strada statale 23. La struttura utilizza, in gran parte, sottoprodotti aziendali quali letame e liquami, e oltre ad essi, verranno impiegati stocchi di mais, erba silos e trinciato.

mercoledì 4 febbraio 2009

La new “Green Economy”

In America, complice la grande crisi che sta mettendo in ginocchio l'intera economia, dopo mesi di rialzi del costo del petrolio e allarmanti notizie sui cambiamenti climatici, la problematica energetica ha guadagnato il privilegio e l'onere di diventare argomento cruciale per l'americano medio che, anche con questi risultati elettorali, ha dimostrato di chiedere un cambiamento di rotta chiaro. Tra le priorità annunciate da Obama c'è invece l'esigenza di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili di paesi instabili attraverso lo sviluppo di fonti di energia alternative, sostenuto da un fondo di 150 miliardi di dollari per il prossimo decennio. Non solo. Il piano è più ambizioso: ridurre le emissioni dell'80% entro il 2050, con costi per le aziende inquinanti ma con innegabili ritorni per le famiglie e per l'economia in generale. C'è la volontà di investire nella rete di trasporto pubblico, di ridurre la bolletta energetica in capo a famiglie ed aziende ma anche di aumentare l'occupazione, grazie alla creazione di nuovi di posti di lavoro nei settori green (bio-carburanti in primis). Una sinergia tanto più promettente perché si può basare sulle quelle che sono da sempre i punti di forza del sistema industriale americano: ricerca, innovazione, imprenditorialità. È un primo passo, un passo nella direzione giusta. Ma attenzione agli entusiasmi troppo facili: per vincere la s*da che abbiamo di fronte, per rallentare il cambiamento climatico rendendolo compatibile con la sopravvivenza della nostra società, bisogna fare di più. Jeremy Rifkin, il presidente della Foundation on Economic Trends, accoglie con prudente soddisfazione l'annuncio della nuova politica energetica di Obama. Sempre secondo Rifkin, oltre alle centrali elettriche bisogna puntare sugli altri due pilastri della terza rivoluzione industriale. Prima di tutto intervenire sugli edi*ci non solo per limitare gli sprechi ma per compiere un salto tecnologico più impegnativo. Case e uf*ci devono produrre energia, non consumarla. Ormai la tecnologia per arrivare a questo risultato è a portata di mano: coibentazione, pannelli solari che avvolgono l'edi*cio, geotermia, energia dai ri*uti e anche il mini-eolico faranno sì che le case si trasformino in micro centrali elettriche. Lovins è convinto che anche nella produzione energetica la rivoluzione sia già a buon punto. Un sesto della produzione mondiale di elettricità e un terzo di quella installata nel 2007 è derivata dalla microproduzione. Un dato che in pochi capiscono. La cogenerazione e le rinnovabili nel 2005 hanno aggiunto alla produzione mondiale quattro volte la quantità di elettricità immessa e undici volte la capacità di generare elettricità del nucleare, ma i fan dell'atomo continuano a dire che sono cifre piccole, limitate, e che ci vorranno decenni perché siano competitive. (Dal Sole 24 Ore)

La borsa delle emissioni

L'Unione Europea e l'America uniscono le forze per raggiungere l'obiettuvo comune, dice Il Sole 24 Ore

È notizia di questi giorni che la Commissione dell'Unione Europea propone agli Stati Uniti di creare un sistema transatlantico di scambio delle emissioni di CO2, sull'esempio della borsa dei diritti ad inquinare già creata in Europa, in un documento sulla lotta al cambiamento climatico, in preparazione della Conferenza di Copenaghen sul clima di *ne 2009. La proposta arriva mentre, con la nuova amministrazione di Barack Obama, gli Usa si preparano a voltare pagina nella politica contro il riscaldamento del pianeta, con una strategia molto più simile a quella molto attiva seguita dagli europei. Per certi versi la linea modernista del neoelette presidente sembra voler infrangere anche alcuni tabù ambientali da noi decisamente consolidati. Il documento raccomanda anche un aumento graduale degli investimenti mondiali per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, con l'obiettivo di portarli a 175 miliardi di euro per anno nel 2020, di cui 30 miliardi destinati ad aiutare i Paesi più poveri. Tra le fonti possibili di *nanziamento previste dalla Commissione, c'è anche l'introduzione di una somma per ogni tonnellata di CO2 emessa dai paesi sviluppati: la ‘tassa' che andrebbe da un euro a tre euro potrebbe generare un reddito di 13 miliardi di euro nel 2013 e di 28 miliardi di euro nel 2020, secondo l'esecutivo europeo. L'Unione europea è responsabile ogni anno dell'emissione di quattro miliardi di tonnellate di CO2, pari al 14% del totale. In testa ci sono gli Stati Uniti con 5,8 miliardi di tonnellate di CO2 e la Cina (5,1 miliardi).

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

martedì 3 febbraio 2009

Yes, we can. L'esempio di una cittadina tedesca

In Germania, un modello di ambientalismo fattibile, c’è. Bisogna recarsi a Dardesheim, una cittadina di appena mille abitanti conficcata nel cuore della Germania, ma nota tra gli ambientalisti per essere interamente autonoma sul piano energetico. Ogni anno, Dardesheim produce una quantità di elettricità quaranta volte superiore rispetto al suo consumo annuale. A pochi chilometri da lì, dal nulla spunta l’eolica più potente del mondo. Il parco di Druiberg ne conta altre 27, attraverso le quali la regione di Harz intende coprire il fabbisogno elettrico di oltre 250.000 abitanti da qui ai prossimi quattro anni. Ma si sa, il vento non basta. E nemmeno il sole, che pure fa la sua parte. A Dardensheim non c’è edificio che non sia coperto da installazioni fotovoltaiche. Di fronte al Comune, c’è addirittura un contatore che indica la quantità di energia solare prodotta in tempo reale e le emissioni di CO2 risparmiate. E c’è pure una centrale al biogas alle porte della città. Per completare il dispositivo, una centrale idraulica è stata “riallacciata” al parco eolico di Druiberg, consentendo ai residenti locali di poter contare su due enormi cisterne pronte a entrare in moto e fornire alla popolazione l’elettricità non appena calano il sole o il vento. Il successo registrato a Dardesheim ha convinto lo Stato federale di espandere questo modello ecologico alla regione di Harz con una sovvenzione pari a 10 milioni di euro. (da panorama.it)


Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

I meteomaniaci

News tv martellanti. Sms sul cellulare. Canali satellitari. E applicazioni da scaricare dal Web, programmi fai-da-te, blog, gadget. Le previsioni del tempo grande passione collettiva. Ma quali risposte cerchiamo con la domanda più banale del mondo? si domanda L'espresso

Un milione e 700 mila i contatti giornalieri sulle news di Sky Meteo 24. Quattro milioni e 800 mila i visitatori dei siti Internet (dati Nielsen) in un mese. Due milioni e mezzo gli utenti su ilmeteo.it. Un milione e mezzo su Meteo.it. Cinquecentomila su 3B Meteo. Il tempo è diventato un'ossessione contemporanea. Si comincia per gioco: sms per sapere che tempo fa quando si è ancora sotto le coperte, siti per seguire gli ultimi fulmini sul pianeta, bollettini sulla neve e sul mare. In qualunque momento, telecomando in mano, il quadro meteo dettagliato all'inverosimile: sullo stabilimento preferito, la baita sperduta, la nuvoletta sopra casa. Ma tra vento, pioggia e sole, mentre applicazioni da geni matematici si fanno semplici per essere comprensibili, l'incantesimo è compiuto: tutti incollati alla tv, a cliccare su siti in continuo aggiornamento, a sbirciare il dashboard del computer o il display dell'iPhone. A digitare su Google la parola più ricercata di tutte, persino più di sesso: meteo. Ossessione tempo. Mai registrata in modo così eclatante, e il trend è in crescita: La Repubblica Meteo a dicembre 2008 ha avuto 640 mila utenti unici, a dicembre 2007 erano 349 mila. In un anno c'è stata una crescita dell'83,4 per cento. Una passione trasversale, e non sempre logica, che coinvolge chi è sul punto di partire e chi è inchiodato alla scrivania; chi vuol sapere se attrezzarsi di catene e chi che scarpe mettersi; chi è in alta quota ma è curioso di mareggiate; chi sta ad Aosta e sogna calori tropicali. I servizi si moltiplicano (l'ultimo è del Corpo forestale dello Stato: invio di sms sul pericolo valanghe), le iniziative aumentano (la scuola di vela Marvèlia ha appena proposto un corso di Meteorologia). Del tempo si parla, ovunque e continuamente: e non è più sinonimo di parlare del nulla. Che freddo o che caldo fa è la nuova koiné, linguaggio comune che inchioda tutti sotto lo stesso cielo.

lunedì 2 febbraio 2009

Alberto Clò: il rebus energetico

Lo scenario della sfida energetica che il mondo intero deve fronteggiare coinvolge fattori come l'uso quasi esclusivo delle risorse fossili e la guerra dei gasdotti, la fame d'energia delle economie asiatiche e gli stili di vita dei paesi ricchi, le emissioni di gas serra e il cambiamento climatico. Questo libro punta innanzitutto a sgombrare il campo dai luoghi comuni, e affronta l'argomento della crisi energetica, giunta al punto di criticità, spiegandone da un lato le cause e dall'altro l'impatto ambientale di questa crescita smisurata.


L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Il clima e il paradosso del safari

Dal Sole 24 Ore

Vale la pena riflettere su un brano del libro di Barack Obama I sogni di mio padre, che la dice lunga sul nostro modo di relazionarci ai problemi del pianeta.Obama sta in Kenya e vuole andarea un safari. Auma, la sua sorella keniana, lo rimbrotta perché si comporta da neocolonialista. «Perché mai tutta quella terra dovrebbe essere riservata ai turisti quando potrebbe invece essere destinata all'agricoltura? Questi wazungu (letteralmente "gente in movimento", termine dispregiativo swahili con cui vengono indicati i turisti) si preoccupano più per un elefante morto che per cento bambini neri». Obama alla fine a quel safari ci andò, ma non ha trovato nulla da replicare all'obiezione della sorella.Quell'aneddoto trova un corrispettivo nell'attuale preoccupazione per il riscaldamento del pianeta. Molta gente incluso il neopresidente americano - è convinta che il riscaldamento globale sia il problema più urgente della nostra epoca, e che tagliare le emissioni di anidride carbonica (CO2) sia una delle cose più meritevoli che possiamo fare.Forzando un pochino la metafora, equivale un po' a costruire parchi safari sempre più grandi invece di creare più aziende agricole per dare da mangiare agli affamati.Intendiamoci: il riscaldamento globale è un fatto reale ed è provocato dalle emissioni di CO2 prodotte dall'uomo. Il problema è che anche riducendo le emissioni a 360 gradi, in modo drastico e con costi enormi, l'impatto sulle temperature di qui alla metà del secolo sarà praticamente nullo. Invece di tagli inutili e costosi, dovremmo incanalare i nostri buoni propositi in materia di clima in direzione di un forte incremento della ricerca per trovare fonti energetiche a zero emissioni, cosa che consentirebbe di stabilizzare il clima entro la metà del secolo a costi contenuti. Ma- e per la maggior parte degli abitanti del pianeta questa è la cosa più importante - il riscaldamento globale non fa che aggravare problemi già esistenti, problemi che al momento non prendiamo sul serio.Per fare un esempio, i danni inflitti a New Orleans dall'uragano Katrina avrebbero potuto essere minimizzati non certo da una riduzione delle emissioni, ma da una corretta manutenzione degli argini e da un miglior servizio di evacuazione. Una lezione istruttiva viene dai due Stati che occupano l'isola di Hispaniola, Haiti e la Repubblica Dominicana: durante la stagione degli uragani, nel 2004, la Repubblica Domenicana, che aveva investito in rifugi antiuragano e sistemi di evacuazione d'emergenza, riuscì a contenere il bilancio delle vittime al di sotto dei dieci morti. Ad Haiti, dove non erano stati fatti questi investimenti, i morti furono duemila.Di fronte a un'identica perturbazione atmosferica, un haitiano aveva cento volte più probabilità di morire di un dominicano.L'elezione di Obama ha fatto crescere le speranze in un massiccio impegno in favore dei tagli alle emissioni e di consistenti investimenti nelle energie rinnovabili, per salvare il mondo, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Come forse confermerebbe la sorella keniana di Obama, indulgere a questa politica potrebbe rivelarsi molto costoso. Secondo alcuni, Obama dovrebbe seguire le orme dell'Unione Europea, che si è impegnata a raggiungere in 12 anni l'ambizioso obbiettivo di tagliare le emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990, usando le energie rinnovabili.Solo questo potrebbe costare più dell'1% del Pil. Anche se tutto il mondo facesse altrettanto, il risultato finale sarebbe quello di ridurre la temperatura del pianeta di un ventesimo di grado Fahrenheit per la fine del secolo, allo strabiliante costo di 10mila miliardi di dollari.La Germania ha sovvenzionato i pannelli solari, come alcuni sperano che faccia Obama. Di conseguenza tutti quanti, inclusi i poveri, pagano le tasse per consentire soprattutto ai più ricchi di sentirsi più ambientalisti. Ma i modelli climatici dimostrano che di qui alla fine del secolo i 156 miliardi di dollari spesi dalla Germania saranno serviti solo a ritardare il riscaldamento globale di un'ora.Per un cinquantesimo di quel costo, potremmo fornire a 2-3 miliardi di persone i micronutrienti essenziali, evitando forse in questo modo un milione di morti e rendendo metà della popolazione mondiale più forte nel fisico e nella mente. Per l'ennesima volta,sembriamo preferire il discutibile lusso dell'ennesimo parco safari ai prosaici benefici offerti da un'azienda agricola in più.La maggior parte dei modelli economici mostra che il riscaldamento globale produrrà, di qui alla fine del secolo, danni complessivamente pari a circa il 3% del Pil. Non è trascurabile, ma non è neanche la fine del mondo. Per la fine del secolo, le Nazioni Unite prevedono che la ricchezza del cittadino medio si sarà incrementata del 1400% rispetto a oggi.Un safari africano una volta mise il nuovo presidente degli Stati Uniti di fronte a un dilemma a cui non seppe dare risposta: perché per il mondo ricco contano più gli elefanti dei bambini africani? La trasposizione odierna di questo dilemma è: perché le nazioni più ricche spendono somme spropositate di denaro contro i cambiamenti climatici per non ottenere praticamente nulla nell'arco di un secolo,quando si potrebbe fare così tanto per il genere umano oggi spendendo molti meno soldi? Il mondo aspetta la risposta di Obama.