lunedì 2 febbraio 2009

Il clima e il paradosso del safari

Dal Sole 24 Ore

Vale la pena riflettere su un brano del libro di Barack Obama I sogni di mio padre, che la dice lunga sul nostro modo di relazionarci ai problemi del pianeta.Obama sta in Kenya e vuole andarea un safari. Auma, la sua sorella keniana, lo rimbrotta perché si comporta da neocolonialista. «Perché mai tutta quella terra dovrebbe essere riservata ai turisti quando potrebbe invece essere destinata all'agricoltura? Questi wazungu (letteralmente "gente in movimento", termine dispregiativo swahili con cui vengono indicati i turisti) si preoccupano più per un elefante morto che per cento bambini neri». Obama alla fine a quel safari ci andò, ma non ha trovato nulla da replicare all'obiezione della sorella.Quell'aneddoto trova un corrispettivo nell'attuale preoccupazione per il riscaldamento del pianeta. Molta gente incluso il neopresidente americano - è convinta che il riscaldamento globale sia il problema più urgente della nostra epoca, e che tagliare le emissioni di anidride carbonica (CO2) sia una delle cose più meritevoli che possiamo fare.Forzando un pochino la metafora, equivale un po' a costruire parchi safari sempre più grandi invece di creare più aziende agricole per dare da mangiare agli affamati.Intendiamoci: il riscaldamento globale è un fatto reale ed è provocato dalle emissioni di CO2 prodotte dall'uomo. Il problema è che anche riducendo le emissioni a 360 gradi, in modo drastico e con costi enormi, l'impatto sulle temperature di qui alla metà del secolo sarà praticamente nullo. Invece di tagli inutili e costosi, dovremmo incanalare i nostri buoni propositi in materia di clima in direzione di un forte incremento della ricerca per trovare fonti energetiche a zero emissioni, cosa che consentirebbe di stabilizzare il clima entro la metà del secolo a costi contenuti. Ma- e per la maggior parte degli abitanti del pianeta questa è la cosa più importante - il riscaldamento globale non fa che aggravare problemi già esistenti, problemi che al momento non prendiamo sul serio.Per fare un esempio, i danni inflitti a New Orleans dall'uragano Katrina avrebbero potuto essere minimizzati non certo da una riduzione delle emissioni, ma da una corretta manutenzione degli argini e da un miglior servizio di evacuazione. Una lezione istruttiva viene dai due Stati che occupano l'isola di Hispaniola, Haiti e la Repubblica Dominicana: durante la stagione degli uragani, nel 2004, la Repubblica Domenicana, che aveva investito in rifugi antiuragano e sistemi di evacuazione d'emergenza, riuscì a contenere il bilancio delle vittime al di sotto dei dieci morti. Ad Haiti, dove non erano stati fatti questi investimenti, i morti furono duemila.Di fronte a un'identica perturbazione atmosferica, un haitiano aveva cento volte più probabilità di morire di un dominicano.L'elezione di Obama ha fatto crescere le speranze in un massiccio impegno in favore dei tagli alle emissioni e di consistenti investimenti nelle energie rinnovabili, per salvare il mondo, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Come forse confermerebbe la sorella keniana di Obama, indulgere a questa politica potrebbe rivelarsi molto costoso. Secondo alcuni, Obama dovrebbe seguire le orme dell'Unione Europea, che si è impegnata a raggiungere in 12 anni l'ambizioso obbiettivo di tagliare le emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990, usando le energie rinnovabili.Solo questo potrebbe costare più dell'1% del Pil. Anche se tutto il mondo facesse altrettanto, il risultato finale sarebbe quello di ridurre la temperatura del pianeta di un ventesimo di grado Fahrenheit per la fine del secolo, allo strabiliante costo di 10mila miliardi di dollari.La Germania ha sovvenzionato i pannelli solari, come alcuni sperano che faccia Obama. Di conseguenza tutti quanti, inclusi i poveri, pagano le tasse per consentire soprattutto ai più ricchi di sentirsi più ambientalisti. Ma i modelli climatici dimostrano che di qui alla fine del secolo i 156 miliardi di dollari spesi dalla Germania saranno serviti solo a ritardare il riscaldamento globale di un'ora.Per un cinquantesimo di quel costo, potremmo fornire a 2-3 miliardi di persone i micronutrienti essenziali, evitando forse in questo modo un milione di morti e rendendo metà della popolazione mondiale più forte nel fisico e nella mente. Per l'ennesima volta,sembriamo preferire il discutibile lusso dell'ennesimo parco safari ai prosaici benefici offerti da un'azienda agricola in più.La maggior parte dei modelli economici mostra che il riscaldamento globale produrrà, di qui alla fine del secolo, danni complessivamente pari a circa il 3% del Pil. Non è trascurabile, ma non è neanche la fine del mondo. Per la fine del secolo, le Nazioni Unite prevedono che la ricchezza del cittadino medio si sarà incrementata del 1400% rispetto a oggi.Un safari africano una volta mise il nuovo presidente degli Stati Uniti di fronte a un dilemma a cui non seppe dare risposta: perché per il mondo ricco contano più gli elefanti dei bambini africani? La trasposizione odierna di questo dilemma è: perché le nazioni più ricche spendono somme spropositate di denaro contro i cambiamenti climatici per non ottenere praticamente nulla nell'arco di un secolo,quando si potrebbe fare così tanto per il genere umano oggi spendendo molti meno soldi? Il mondo aspetta la risposta di Obama.

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