venerdì 10 aprile 2009

Chi riparte dal verde

I cambiamenti climatici erano da tempo nell'agenda dei capi di stato. Ma con la presidenza di Obama hanno avuto una nuova accellerazione, che porterà a interventi di rilievo, coinvolgendo vari settori, da quelli delle rinnovabili, ai trasporti, ai beni di investimento e alle costruzioni, con un conseguente impatto sui maggiori gruppi che operano in questi business. Ma chi beneficerà di più del programma di 445 miliardi di dollari destinati all'economia verde, che sono stati definiti dal G20? Per rispondere alla domanda, gli esperti di Hsbc hanno analizzato i titoli che nei quattro settori chiave sono meglio posizionati per trarre vantaggio da questa tendenza, in vista dei programmi di investimento futuri e alla luce della solidità dei fondamentali di bilancio. Complessivamente le società segnalate sono 64, ma la rosa delle favorite è molto più ristretta. In particolare il rating overweight (sovrappesare in portafoglio) è stato assegnato dagli specialisti dell'investment bank a Schneider Electric, a cui è stato attribuito un prezzo obiettivo di 63 euro, Abb (con target 20 franchi svizzeri), Siemens (70 euro), China Railway Construction, China Communication Construction, Faiveley (60 euro) e Vossloh (103 euro). Nel settore più direttamente coinvolto, cioè quello deller energie rinnovabili, i titoli segnalati sono l'iberica Iberdrola Renovables (target a 3,65 euro) e la francese Edf (35 euro). Da evitare invece Sma Solar, correttamente valutata a 28 euro, e Centrotherm. La tesi chiave, sostenuta dagli esperti, è che in uno scenario globale, destinato a rimanere instabile ancora per molto tempo, la scelta vincente per l'investitore in azioni, è quella di cercare le migliori occasioni pescando nei vari settori, evitando di resatare ancorato al vecchio tema dei comparti difensivi (come l'alimentare) che hanno dimostrato di non essere esenti da i crolli nelle fasi più acute della crisi. (da Milano Finanza)
Anche i grandi gruppi iniziano a muoversi. Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente

Un piano per salvare il pianeta

l G20 sono state fatte scelte forti in campo finanziario e il piano Obama di investimenti pubblici in campo ambientale è molto promettente. La strada da imboccare è quella, ma bisogna agire in fretta, il tempo è scaduto». Lord Nicholas Stern, l´ex chief economist della Banca Mondiale, nel 2006 aveva spaventato i mercati pubblicando un rapporto di 700 pagine in cui si spiega che, se non si farà nulla per arginare l´emissione di gas serra, i danni climatici potranno arrivare a un quinto del Pil globale, l´equivalente della somma delle due guerre mondiali. Ora, con Un piano per salvare il pianeta (Feltrinelli, pagg. 260, euro 16) passa alla parte propositiva.
Stern afferma:«La crisi attuale ha avuto un´incubazione durata 15-20 anni senza che le istituzioni fossero capaci di reagire in maniera efficace. Con il cambiamento climatico non possiamo ripetere lo stesso errore perché se rimandassimo una risposta adeguata, se perdessimo altri 15 o 20 anni, ci troveremmo in una situazione drammaticamente compromessa». Cosa rischiamo secondo Stern?«Un aumento di 5 gradi centigradi, forse anche più. E per capire cosa significa basta pensare che con 5 gradi in meno, durante l´ultima era glaciale, buona parte dell´Europa del Nord e del Nord America era sotto una coltre di ghiaccio alta centinaia di metri. Mentre con 5 gradi in più, nell´Eocene, 30-50 milioni di anni fa, al Polo Nord c´erano gli alligatori». A che condizioni questa minaccia è ancora evitabile?«A condizione di adottare un sistema energetico a bassa componente di idrocarburi: bisogna cambiare radicalmente il modo di produrre, di abitare, di muoversi». Quanto costerà questo cambiamento?«Negli ultimi due, tre anni la situazione è peggiorata è ho dovuto alzare la stima che avevo inserito nel rapporto che porta il mio nome. Allora avevo parlato dell´1 per cento del Pil, ma il disastro climatico avanza a velocità superiore alle attese e costringe a risposte più nette. Oggi l´ordine di grandezza delle cifre da impegnare si avvicina al 2 per cento del Pil, circa mille miliardi di dollari».Un investimento significativo. In cambio che si otterrebbe?«La situazione attuale è quella di chi si gioca la vita a testa o croce: in assenza di azioni correttive le probabilità di arrivare a un aumento di 5 gradi sono pari al 50 per cento. Adottando il piano per salvare il pianeta le possibilità di un disastro climatico si riducono al 3 per cento. Dunque direi che è un buon investimento». (tratto da La Rebubblica)

giovedì 9 aprile 2009

Temperature più miti favoriscono la nascita delle bambine

Ai Tropici è più facile che nascano delle femmine. È questa la conclusione principale del saggio pubblicato dalla giovane biologa americana Kristen Navara sulla prestigiosa rivista Biology Letter. Il clima tropicale, caratterizzato da temperature più elevate e giornate più lunghe, provoca nel medio-lungo periodo un’alterazione qualitativa dello sperma e una riduzione statisticamente significativa dell’aborto spontaneo che, insieme, facilitano il successo delle gravidanze rosa.
Dopo aver confermato ancora una volta che il feto femminile è meno fragile di quello maschile (e a dimostrarlo basta ricordare che, storicamente, in tutti i periodi che i biologi hanno classificato come di forte “stress ambientale”, conflitti inclusi, il numero di neonate ha superato in maniera significativa quello dei neonati), la studiosa americana ha sostenuto che proprio a causa della sua debolezza il feto maschile subisce più di quello femminile le alterazioni ambientali.
Fino ad oggi gli esperti in materia si erano limitati a ipotizzare che il tasso di natalità maschile e femminile potesse variare a seconda delle latitudini, e nonostante molti studi regionali siano già stati pubblicati, nessun ricercatore aveva mai azzardato un’analisi dei dati statistici relativi all’intero pianeta. Dai laboratori dell'Università della Georgia Navara lo ha fatto, prendendo in esame i numeri relativi ai tassi di natalità di 202 Paesi in un periodo di dieci anni. A livello globale la maggioranza dei neonati continua ad essere di sesso maschile (51,5%), ma in tutte le zone più vicine all’equatore queste percentuali calano al 51,1%, mentre l’unico Paese in cui sono le bambine ad essere sovrarappresentate nelle nascite è la Repubblica Centraficana. Il maggiore equilibrio tra il sesso dei neonati rimane costante dal punto di vista della latitudine, senza essere influenzato dalle differenze socio-economiche e culturali che contraddistinguono l’Africa, l’Asia e l’America Latina. Quanto basta per smentire chiunque volesse giudicare i risultati della ricerca come il frutto di coincidenze. ( da Panorama.it)

L'Ue parla ai ragazzi con Mtv

Gruppi di ragazzi installano nella notte mega-altoparlanti vicino al Colosseo, al Big Ben e alla Torre Eiffel e poi provano un sibilante microfono: «Can you hear me Europe?» (Mi senti Europa?). Sono i primi spot di una campagna, lanciata da Mtv su scala europea per conto della Commissione Ue, per portare più giovani alle urne alle elezioni europee di giugno. La strategia mediatica si articolerà in varie fasi,in simbiosi con siti Internet e con formule interattive, felicemente sperimentate da Barack Obama. Gli spot rientrano in una campagna da 1,9 milioni di euro, assegnata dalla Commissione Ue con gara d'appalto a Mostra e subappaltata a Mtv.«L'Unione deve imparare a utilizzare gli strumenti del 21Ú secolo per comunicare» ha affermato il vicepresidente dell'Esecutivo Ue, Margot Wallstrom,sottolineando l'importanza di raggiungere i giovani: nel 2004 degli elettori tra 18 e 24 anni solo un avente diritto su due aveva votato alle europee, un dato sceso a uno su quattro nei nuovi Stati membri. E i sondaggi indicano ora il rischio di percentuali di affluenza ancora più basse.«La prima reazione della comunità giovanile - ha osservato il vice presidente di Mtv networks international, Antonio Campo Dall'Orto- è reagire alla complessità dell'Europa con la mancanza d'interesse. La campagna cerca di ristabilire un legame con l'identità europea e far capire che si possono "urlare" le proprie istanze anche attraverso il voto».Dall'Orto ha ammesso di fare tesoro delle esperienze americane, dalla campagna "Rock the vote" al capillare utilizzo di internet di Obama, anche se non si può contare sul traino di un protagonista così carismatico. Dall'Orto ha poi annunciato l'intenzione di collaborare con la Commissione Ue per campagne sulla lotta al cambiamento climatico. (da Il Sole 24 Ore)
Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni.

mercoledì 8 aprile 2009

Raddoppiare le produzioni

«Se non si agisce ora per sfamare una popolazione bisognosa in aumento, raddoppiando la produzione agricola, il mondo rischierà una crisi alimentare permanente e un'instabilità globale»: è l'avvertimento lanciato nella bozza iniziale dei ministri dei paesi del G8. Il documento, anticipato ieri dal Financial Times, è stato preparato dal ministro delle politiche agricole, in vista del primo vertice G8 dedicato all'agricoltura, che si terrà dal 18 al 20 aprile in provincia di Treviso. E chiede di raddoppiare la produzione agricola e di agire subito.«La produzione globale agricola va raddoppiata entro il 2050 per far fronte all'aumento demografico» e permettere di avere abbastanza cibo per sfamare nuove bocche e allo stesso tempo «fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici». Altrimenti, si legge nel rapporto, la crisi alimentare degli ultimi due anni in quasi tutto il mondo «diventerà strutturale in pochi decenni». Secondo la bozza, inoltre, ulteriori crisi alimentari «avranno gravi conseguenze, non solo sulle relazioni d'affari, ma anche in quelle sociali e internazionali, che a loro volta avranno impatto diretto sulla sicurezza e la stabilità delle politiche mondiali».L'incontro dei ministri dell'agricoltura del G8, che si terrà nel comune di Cison, nella Marca trevigiana, è stato proposto dopo l'impennata dei prezzi delle commodities, tra cui farina e riso, che hanno scatenato proteste, anche violente, in più di 30 paesi, dal Bangladesh ad Haiti. Il segretario dell'agricoltura statunitense, Tom Vilsack, ha annunciato due giorni fa che Washington intende raddoppiare gli aiuti finanziari per sviluppare il settore nei paesi poveri di almeno un miliardo di dollari l'anno prossimo, spiegando che «il numero della popolazione mondiale aumenta ogni anno di 79 milioni; un tasso che mette alla prova la capacità di conciliare crescita demografica e produzione alimentare». Intanto, secondo la Fao, per la prima volta il numero delle persone affamate in modo cronico ha superato l'inquietante soglia di 1 miliardo. (da Italia Oggi).
Anche i grandi gruppi iniziano a muoversi. Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

Fnom e Isde: progetto «clima e salute»

«Cambiamenti climatici e salute»: è questo il tema del progetto che la FnomCeO e l'Isde Italia (Associazione Medici per l'ambiente) hanno presentato ieri, 7 aprile, Giornata Mondiale della Sanità. L'intento di tale progetto è quello di indirizzare i governi italiano, europei e degli altri Paesi ad un accordo che si fondi sul dialogo tra scienza, etica e politica, sulla cooperazione internazionale, e sui principi di giustizia ed equità nella tutela della salute dei cittadini e del diritto di tutti allo sviluppo e a una soddisfacente qualità della vita. È, infatti, scientificamente provato che le ricadute delle condizioni ambientali sulla salute sono allarmanti. (da Il Sole 24 Ore)

martedì 7 aprile 2009

Gas tossici in Val padana

Due ricerche lanciano l'allarme sul peggioramento dell'aria in tutta la regione: temperatura in aumento, sempre più malattie per CO2 e polveri sottili, un miliardo di danni per il clima impazzito. Ecco gli effetti dei veleni

Vai a capirli, gli svizzeri. Gli italiani di Lombardia invidiano il loro federalismo e, quando possono, depositano nelle banche di Lugano un fiume di quattrini e quelli vogliono multarli per eccesso di inquinamento. Proprio così. L'iniziativa è partita da due deputati ticinesi, Milena Garobbio e Raoul Ghisletta. Il ragionamento è questo. Visto che gli sforzi fatti dal Canton Ticino per combattere l'inquinamento vengono vanificati dallo smog che supera il balcone delle Prealpi, che almeno la Lombardia risarcisca i danni causati dalla sua "manifesta attitudine passiva nell'ambito del risanamento dell'aria". Le autorità svizzere hanno per il momento respinto la richiesta, preferendo invocare maggiore collaborazione. Chissà che cosa direbbero, però, i due puntigliosi deputati ticinesi se potessero leggere un rapporto che i sindaci lombardi e gli altri addetti ai lavori stanno ricevendo proprio in questi giorni. Si intitola 'Progetto Kyoto Lombardia' e arriva a conclusioni così imbarazzanti sul dissesto ambientale in atto da aver indotto la Regione a consigliare l'autore - la Fondazione Lombardia per l'Ambiente - a tenere un basso profilo nel diffonderne i contenuti.Come accade spesso con i libri messi all'indice, la lettura delle 278 pagine del volume si rivela però di estremo interesse. Frutto del lavoro di decine di ricercatori di sei diverse università e di numerosi centri di ricerca, lo studio è molto chiaro nel dipingere una situazione di emergenza e le difficoltà comuni a tutte le amministrazioni italiane nel rispondere alla sfida posta dal cambiamento del clima.Sul fronte dell'inquinamento, a dir la verità, il confronto con il passato non è sempre privo di buone notizie. In Lombardia, ad esempio, i dati ufficiali dicono che la chiusura di molte fabbriche, la trasformazione delle caldaie domestiche da gasolio a metano e la diffusione di motori più moderni ha fatto diminuire rispetto ai primi anni Novanta la quantità delle polveri sottili che avvelenano l'aria. Allo stesso tempo, però, la Pianura Padana, chiusa dalle montagne che frenano il ricambio dell'aria e favoriscono la deleteria alta pressione, resta una delle aree più inquinate d'Europa, stando alle ultime stime diffuse dalla Commissione di Bruxelles. E il calo delle polveri sottili che si era registrato fino a una decina d'anni fa, ora ha perso forza e la tendenza è verso un sostanziale appiattimento. Una situazione che contribuisce a far condividere alla Pianura Padana un record di Belgio e Olanda che nessuno invidia: il più alto livello di mesi di vita che, nella cruda statistica, ogni cittadino brucia per effetto delle malattie mortali legate all'inquinamento (15 a testa, contro gli otto della media italiana).Non bastano però alcuni dati in chiaroscuro per attenuare la durezza dell'analisi del rapporto 'Progetto Kyoto Lombardia'. Come dice il titolo, il lavoro è incentrato sui risultati ottenuti nel controllo delle emissioni dei gas ammazza-clima, a cominciare dall'anidride carbonica. Il protocollo firmato nel 1997 nella città giapponese imponeva all'Italia una riduzione delle emissioni del 6,5 per cento entro il 2012 rispetto ai quantitativi del 1995. Da allora, invece, in Lombardia la situazione è costantemente peggiorata: il rapporto fotografa un incremento complessivo del 15 per cento. Tre punti in più rispetto alla media italiana (dove le emissioni sono cresciute comunque del 12 per cento), che piazzano la Regione presieduta da Roberto Formigoni a una distanza ormai sostanzialmente incolmabile rispetto agli obiettivi fissati a Kyoto. Prima in Italia per popolazione e per rilevanza dell'industria, la Lombardia sputa in atmosfera più di 90 milioni di tonnellate di anidride carbonica l'anno. E se la chiusura o la delocalizzazione all'estero di molte fabbriche ha alleggerito il peso dei fumi industriali, e i loro effetti negativi, il costante aumento del traffico ha dato una mazzata impossibile da assorbire. La sconfitta, è ovvio, non è solo lombarda. Sono rarissime le città che non hanno alzato bandiera bianca nella lotta al traffico. Gli interventi dei sindaci sono spesso poco più che simbolici, come le biciclette comunali in affitto (o 'bike sharing', in inglese) che accomunano Milano a Roma. E non manca chi, come l'assessore all'Ambiente di Treviso, Vittorio Zanini, cerca fantasiose fughe dalle proprie responsabilità: "Chiediamo all'Europa lo stato di calamità naturale", ha proposto di recente dalle pagine del quotidiano 'Libero'. Sta di fatto, però, che la densità della popolazione, unita agli scarsi investimenti nei trasporti pubblici, in Lombardia pesa. E i gas di scarico delle auto contribuiscono ormai alle emissioni di anidride carbonica per il 23 per cento del totale, superando le caldaie condominiali (al 21 per cento) e gli impianti industriali (al 18). (Dall'Espresso)

il clima è diventato oggetto privilegiato della politica

DA QUANDO il clima è diventato oggetto privilegiato della politica invece di sentirci più sicuri, ci sentiamo ancor più preoccupati. Infatti, la battaglia per la tutela dell'ambiente e la lotta contro il mutamento climatico sta creando una sorta di ideologia dei politicamente corretti che, come tutte le fedi laiche, crede di combattere per la "salvezza del pianeta". In realtà dietro questa nuova ideologia ci sono buoni motivi, ma anche tanta demagogia e giganteschi interessi. Qualsiasi azione volta a conservare l'ambiente e a rispettare la natura è, in sé, sicuramente positiva. Un mondo in cui la popolazione è cresciuta di oltre quattro miliardi in un secolo non può non considerare essenziale il rapporto con le risorse naturali e con i rischi derivanti dal riscaldamento del clima. Tuttavia proprio sul clima si è aperta una disputa che sta dividendo non solo le grandi potenze industriali da quelle emergenti, ma apre una spaccatura profonda fra gli scienziati e ancora di più fra scienziati e politici. In verità anche fra gli scienziati i più intolleranti, come altre volte nella storia, sono proprio i più catastrofisti. Il problema vero sta nel fatto se i cambiamenti climatici siano governati da leggi complesse che solo in parte dipendono dall'uomo oppure se proprio dalle attività umane (emissioni di gas serra e di anidride carbonica) derivano i cambiamenti climatici dell'ultimo secolo. La Commissione Internazionale sui Cambiamenti Climatici dell'Onu, un organismo più politico che scientifico, sostiene che il riscaldamento è dovuto alle attività umane, la Commissione Internazionale non Governativa sui cambiamenti climatici, che raccoglie scienziati indipendenti, sostiene che la cause stanno nei cicli naturali. In realtà i modelli scientifici per spiegare il mutamento climatico sono ancora poco affidabili. Molti scienziati dicono che bisognerebbe considerare meglio l'assetto astronomico, l'attività del sole, le variazioni dell'asse terrestre opporre le attività dei vulcani, che secondo alcuni ricercatori sarebbero responsabili del 69% del riscaldamento delle acque oceaniche. Dopo la scesa in campo di Al Gore e il successo di Obama, i catastrofisti sembrano avere la meglio, ma sarebbe grave se su un tema così serio prevalessero gli opposti estremismi. (Da Il Giorno)


Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni

domenica 5 aprile 2009

La mia ricetta per la rivoluzione verde

Invece di giocare di rimessa sul Protocollo di Kyoto, il governo italiano dovrebbe accettare «fino in fondo» la sfida che propone l'Unione europea e puntare anche sul risparmio e sull’efficienza energetica per affrontare crisi economica e crisi climatica. Ne è convinto Roberto Della Seta, 50 anni, capogruppo del Pd nella commissione Ambiente del Senato, fino a fine 2007 presidente di Legambiente, che lanciando le proposte dell’opposizione in tema di energia dice: «Sul nucleare niente pregiudizi, ma analisi costi-benefici. Non serve né a superare la crisi né ad abbattere i costi».Parliamo di energia e clima. Cosa ci si aspetta dai negoziati in ambito Onu in corso fino all'8 aprile a Bonn, in vista della Conferenza di Copenaghen che a dicembre dovrebbe vedere la conclusione di un accordo globale in vigore dal 2013 su energia e riduzione delle emissioni?Da Bonn e dagli appuntamenti internazionali di questi giorni, a cominciare dal G20 che si è riunito a Londra, per continuare con la riunione che precederà il G8 della Maddalena e che si terrà a Washington alla fine di aprile promossa dal presidente Barack Obama, ci si aspetta che emerga la piattaforma del nuovo accordo globale per il rilancio degli obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni. La novità deve essere il coinvolgimento in questi impegni delle grandi economie emergenti di Asia e America latina, quindi di Paesi non solo come Cina e India, ma anche come Brasile, Indonesia e Messico, da principio esclusi dal Protocollo di Kyoto e che invece ora devono assumere delle responsabilità nell’interesse di tutti. Se i mutamenti climatici proseguiranno al ritmo attuale avranno un costo economico che il Rapporto Stern ha quantificato nel 5% del Pil mondiale. C’è da dire che ci sono state due novità decisive negli ultimi 6 mesi che fanno ben sperare. La prima è la svolta nella posizione degli Stati Uniti, che con Barack Obama hanno messo la questione della lotta ai mutamenti climatici al centro del programma della nuova amministrazione. La seconda è che, al contrario di quanto si temeva con l’esplosione della crisi, tutti i grandi Paesi come Francia, Germania, Regno Unito oltre agli Usa hanno capito che puntare sulla green revolution, ovvero sul miglioramento dell’efficienza energetica e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, conviene perché crea posti di lavoro, fa nascere imprese e serve a sostenere la domanda interna grazie ai risparmi delle famiglie sui costi dell’energia. Non le sembrano realistiche le preoccupazioni del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo e di Confindustria relative a un eventuale aumento della disoccupazione a causa di obiettivi ambientali troppo gravosi per l’industria italiana? Sicuramente in un momento di crisi drammatico come quello attuale è necessario che tutte le politiche, su qualunque tema, siano compatibili con la necessità di non stressare il sistema produttivo. È un’analisi costi-benefici che può dire se un intervento è compatibile con le esigenze attuali del sistema produttivo oppure no. Invece il governo ha una posizione che è eufemistico definire timida, sostiene solo che in un momento così le imprese vanno sostenute direttamente, senza peraltro farlo concretamente. In realtà gran parte dell’industria italiana è di gran lunga più avanti. I settori più in difficoltà su sprechi energetici e trend di aumento delle emissioni sono altri: i trasporti, i consumi elettrici civili, la produzione dell’energia. Il vicepresidente di Confindustria Pasquale Pistorio, che da imprenditore è stato protagonista di quel grande caso di successo che è la Stmicroeletronics, multinazionale leader nel campo dei semiconduttori, racconta spesso come la sua azienda abbia nel giro di qualche hanno ammortizzato e alla fine guadagnato dagli investimenti fatti nel risparmio energetico. Direi che il governo e la maggioranza in Italia sono un’anomalia. Si tratta dell’unico caso di Destra europea che, oltre ad aver relegato ai margini i temi ambientali, teorizza che i cambiamenti climatici non esistono. Questa cose sono scritte nere su bianco in una mozione proposta dal Pdl che il Senato ha purtroppo appena approvato. (Da Finanza & Mercati)

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’amministratore delegato Paolo Scaroni

Chi riparte dal verde

I cambiamenti climatici erano da tempo nell'agenda dei capi di stato. Ma con la presidenza di Obama hanno avuto una nuova accellerazione, che porterà a interventi di rilievo, coinvolgendo vari settori, da quelli delle rinnovabili, ai trasporti, ai beni di investimento e alle costruzioni, con un conseguente impatto sui maggiori gruppi che operano in questi business. Ma chi beneficerà di più del programma di 445 miliardi di dollari destinati all'economia verde, che sono stati definiti dal G20? Per rispondere alla domanda, gli esperti di Hsbc hanno analizzato i titoli che nei quattro settori chiave sono meglio posizionati per trarre vantaggio da questa tendenza, in vista dei programmi di investimento futuri e alla luce della solidità dei fondamentali di bilancio. Complessivamente le società segnalate sono 64, ma la rosa delle favorite è molto più ristretta. In particolare il rating overweight (sovrappesare in portafoglio) è stato assegnato dagli specialisti dell'investment bank a Schneider Electric, a cui è stato attribuito un prezzo obiettivo di 63 euro, Abb (con target 20 franchi svizzeri), Siemens (70 euro), China Railway Construction, China Communication Construction, Faiveley (60 euro) e Vossloh (103 euro). Nel settore più direttamente coinvolto, cioè quello deller energie rinnovabili, i titoli segnalati sono l'iberica Iberdrola Renovables (target a 3,65 euro) e la francese Edf (35 euro). Da evitare invece Sma Solar, correttamente valutata a 28 euro, e Centrotherm. La tesi chiave, sostenuta dagli esperti, è che in uno scenario globale, destinato a rimanere instabile ancora per molto tempo, la scelta vincente per l'investitore in azioni, è quella di cercare le migliori occasioni pescando nei vari settori, evitando di resatare ancorato al vecchio tema dei comparti difensivi (come l'alimentare) che hanno dimostrato di non essere esenti da i crolli nelle fasi più acute della crisi. (Milano Finanza)

venerdì 3 aprile 2009

Cina e India, bisogna tagliare i gas serra del 40%

Che gli Usa di Obama rientrino nel «mondo di Kyoto» (cioè quello dei gas serra da limitare) da cui gli Usa di Bush erano usciti, secondo i paesi più poveri è cosa buona ma non abbastanza. Cina e India, capofila delle cosiddette nazioni in via di sviluppo, al vertice Onu sui cambiamenti climatici in corso a Bonn chiedono alle nazioni più ricche - e più inquinanti - un taglio «di almeno il 40%» delle loro emissioni. «Riteniamo che entro il 2020 - ha detto il delegato cinese al vertice in corso a Bonn - le nazioni sviluppate dovrebbero ridurre le loro emissioni di almeno il 40% rispetto al livello del 1990». Sono 175 le nazioni che a Bonn si confrontano su come affrontare i cambiamenti climatici. Al loro interno si è formato un gruppo di pressione particolare, che chiede tagli massicci dei gas serra: si tratta delle nazioni formate da isole o arcipelaghi, come l'Islanda, che più di altre rischiano di ritrovarsi sommerse se il cambio climatico dovesse innalzare il livello dei mari. «Abbiamo un grande appoggio per il taglio del 40%», ha detto il delegato della Norvegia, parte delle cui coste rischia di ritrovarsi sott'acqua. (Da Il manifesto)

«Un taglio ai gas serra». Debutta Obama il verde

Lontano dal G20 londinese, un altro evento multilaterale sta mettendo alla prova la nuova amministrazione degli Stati uniti e le sue relazioni con le nazioni «emergenti», Cina e India in testa. E' la conferenza dei 175 paesi aderenti alla Convenzione delle Nazioni unite clima, riunita a Bonn questa settimana per preparare il terreno al vertice che nel prossimo dicembre, a Copenhagen, dovrebbe definire un accordo per il dopo-Kyoto, ovvero che definisca impegno per ridurre le emissioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas «di serra» da qui al 2020 - ovvero vada oltre l'orizzonte del trattato che prende il nome dalla città giapponese, che chiedeva di tagliare entro il 2010 le emissioni di gas di serra del 5,2% in media rispetto al 1990.La conferenza di Bonn è la prima uscita ufficiale dell'amministrazione di Barack Obama per ciò che riguarda la politica del clima: significativo, dunque, che a guidare la delegazione americana in Germania sia Todd Stern, già capo delegazione Usa ai tempi della stesura del Protocollo di Kyoto (allora alla Casa Bianca c'era Bill Clinton). E Stern non ha perso tempo nell'annunciare la volontà americana di invertire la rotta rispetto al recente passato e di riportare gli Usa alla guida dei negoziati sul clima. Del resto, fin dal suo insediamento Obama ha posto la lotta ai cambiamenti climatici tra le priorità del suo governo, al pari della volontà di uscire dalla crisi economico-finanziaria mondiale o di mettere fine alla guerra in Iraq. Un cambio netto rispetto al predecessore George W. Bush, che aveva inaugurato la sua amministrazione ricusando proprio il Protocollo di Kyoto. (Da Il Manifesto)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

giovedì 2 aprile 2009

Clima, Berlusconi scrive lettera a Obama

Il presidente del Consiglio ha scritto a Obama dicendo di aver apprezzato la sua proposta di tenere un vertice internazionale sulla questione dei cambiamenti climatici, che si svolgerà a margine del G8 a La Maddalena. Lettera del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Secondo quanto viene confermato da fonti di palazzo Chigi, nella missiva il premier spiega di aver accolto con molto favore la sua proposta di tenere un vertice internazionale sulla questione dei cambiamenti climatici, che si svolgerà a margine del G8 a La Maddalena. La lettera segue quella inviata dal presidente americano a Berlusconi la scorsa settimana. (Da il Giornale)

Nasce il partito dei Kyotoscettici

La temperatura sale, ma sarà vero che è tutta colpa delle emissioni di gas nell'ambiente? A sostenere che non è così, che «l'effetto serra è una delle tante creazioni della storia intellettuale, perché la temperatura si è mossa nei secoli con variazioni che prescindono dalle emissioni di gas», è un gruppo di senatori di primo piano del Pdl - D'Alì, Dell'Utri, Nania, Malan e Poli Bortone, primi proponenti- che ieri ha visto approvata dall'aula di Palazzo Madama una raccomandazione con la quale si sconfessano le premesse del protocollo di Kyoto e delle reprimende della Commissione europea in materia. Ed è subito salita la temperatura del Transatlantico, che sulla vicenda del clima ha ritrovato la verve di ben altri provvedimenti. La capogruppo del Pd, Anna Finocchiaro, parla di «eclettismo e pressappocchismo di questa destra, che mentre il premier, nella sua ansia di apparire sempre in prima fila, ha scritto al presidente degli Stati Uniti per dare il proprio assenso al vertice sul clima da tenersi a margine del G8 alla Maddalena, in parlamento nega l'esistenza dei cambiamenti climatici». Mentre Felice Belisario, presidente dei senatori dell'Italia dei valori, attacca il Pdl come «oscurantista», sottolineando «la strumentalità del dibattito, teso a supportare i prossimi impegni internazionali del governo. La mozione del Pdl», dice Belisario, firmatario di un'opposta mozione, «si contrappone ai risultati scientifici e agli impegni assunti a livello internazionale». Altro che oscurantismo, «non neghiamo che ci siano stati cambiamenti climatici, chiediamo solo che sia appurato una volta per tutte se e quanto ci sia di vero nella relazione tra le temperature che salgono e i gas emessi», spiega Lucio Malan (Pdl), tra i più fervidi sostenitori del partito Kyotoscettici. Che spiega, grafici alla mano, come «una parte consistente e sempre più crescente di scienziati studiosi del clima non crede che la causa principale del peraltro modesto riscaldamento dell'atmosfera terrestre al suolo finora osservato (compreso fra 0,7 e 0,8 gradi centigradi) sia da attribuire prioritariamente ed esclusivamente all'anidride carbonica di emissione antropica». E «se pure vi fosse a seguito dell'aumento della concentrazione dell'anidride carbonica nell'atmosfera un aumento della temperatura terrestre al suolo, i conseguentidanni all'ambiente, all'economia e all'incolumità degli abitanti del pianeta sarebbero molto inferiori a quelli previsti». Nel mirino gli accordi di Kyoto e l'impegno dell'Unione europea ad arrivare agli obiettivi di innalzamento dell'efficienza dell'industria europea diminuendo al contempo la dipendenza dai combustibili fossili. A chi accusa il Pdl di voler indebolire il fronte ambientalista a favore degli interessi delle industrie, Malan replica: «Sappiamo che ci siamo assunti come stato degli impegni, che la strada scelta dall'Unione Europea non permette ripensamenti. Proprio per questo chiediamo che, prima di avviarci definitivamente su di essa, con i suoi costi enormi e la perdita di competitività che comporta, si prendano in considerazione non soltanto le decine diScienziati e le centinaia di politici che la sostengono, ma anche le centinaia che la avversano. I cambiamenti climatici non sono un atto di fede. Anche se so che dicendo questo divento automaticamente un eretico, da condannare». (Da Italia Oggi)

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni.

mercoledì 1 aprile 2009

«Il G20 fallirà, non ci sono soluzioni globali»

Dahrendorf: la crisi? Torneremo agli stili di vita degli anni Cinquanta e Sessanta

Ralf Dahrendorf è sicuro che il vertice del G20 di Londra, il prossimo 2 aprile, fallirà. «Fallirà, non raggiungerà gli obiettivi che gli erano stati dati originariamente, cioè essere il momento decisivo per uscire dalla crisi e ridisegnare l'ordine economico internazionale — sostiene —. Per molti motivi, ma soprattutto perché quello che stiamo vivendo non è un Bretton Woods moment ». Il sociologo forse più autorevole d'Europa — ma anche politico, politologo, filosofo, educatore e membro della Camera dei Lord britannica nonostante sia di origine tedesca — non ha praticamente parlato in pubblico della crisi mondiale. Lo fa con questa intervista.Lord Dahrendorf, perché non siamo in un «momento Bretton Woods» ?«Quando Keynes entrò alla conferenza di Bretton Woods, nel 1944, credeva di andare a salvare la sterlina. In breve tempo si accorse che era morta, che il ruolo dominante era passato al dollaro e agli Stati Uniti. Ora, la situazione è diversa, questa è una fase confusa, dove non ci sono vincitori. E non sono nemmeno certo che l'America voglia caricarsi sulle spalle da sola il peso dell'uscita dalla crisi. Ma non è l'unica ragione per cui il vertice non sarà un successo».Quali altre ragioni? «Io stimo Barack Obama e Gordon Brown, ma in questo caso sbagliano. Ritengono che questa sia una crisi globale, mentre la possiamo definire mondiale ma non globale. Globale è il cambiamento climatico, che non può avere risposte nazionali. Ma la crisi riguarda sì tutti, cioè è mondiale, ma ha risposte nazionali, e queste contengono un nazionalismo economico. Io li vedo come globalisti, al contrario di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy che sono mondialisti. Questa è l'origine del conflitto che sta alla radice del G20 del 2 aprile: è sbagliato credere che ci siano soluzioni globali».Cosa intende per fallimento del vertice? «Non ci sarà accordo su un pacchetto di stimolo "globale". Ci saranno dichiarazioni generiche sulle nuove regole da scrivere. Forse verrà un po' rafforzato il Fondo monetario internazionale. E si identificheranno alcuni capri espiatori, in particolare i paradisi fiscali. Niente di davvero importante, tanto che tutti sono impegnati ad abbassare le aspettative, il padrone di casa Brown in testa, dopo che le avevano alzate moltissimo».Quali sono le conseguenze della crisi, nel lungo periodo? «Alla fine tutti avremo ridotto gli standard di vita di almeno un 20%. Torneremo circa ai livelli precedenti a quelli di Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Per alcuni aspetti, a un modo di vivere che somiglierà un po' agli anni Cinquanta e Sessanta, con molta più tecnologia ma senza l'ottimismo di quei decenni».Anche quando inizierà la ripresa? «La ripresa sarà lunga e lenta. E non basterà a servire gli interessi sul debito che nel frattempo gli Stati stanno accumulando. Ragione per cui sarà un periodo di tasse alte e alta inflazione. Niente di bello. Alcuni economisti parlano di "inflazione controllata", sostengono cioè che qualche anno di inflazione tra il 6 e il 10% basterà a ridimensionare i debiti pubblici. Il problema è che un'inflazione del genere sarà pagata soprattutto dai poveri e dai pensionati».Visione nera. «Se vogliamo metterle un po' di belletto, possiamo forse prevedere che la crisi porterà un cambio di attitudine, con più attenzione all'economia reale e un distacco dalla cultura del debito e dal capitalismo del debito. Il ricorso alle carte di credito sarà mitigato, sarà forse un clima più piacevole».Cultura del debito? «Sì, la cultura diffusa, ma molto diffusa, per la quale mettevi lì cinquanta euro e ti pareva normale che ti dessero un'automobile o una casa. Può non piacere a molti, che preferiscono dare ogni responsabilità ai banchieri e ai paradisi fiscali, ma credo che questa sia la ragione principale della crisi».Prima responsabile non è dunque la deregulation degli anni di Reagan e Thatcher? «Ci sono alcuni aspetti di quella deregulation che entrano tra le ragioni della crisi. Ma non andrei troppo avanti su questa strada. Perché alla base della crisi c'è soprattutto la cultura del debito e la bolla conseguente. Un mio conoscente mi raccontava l'altro giorno che ha uno chalet da vendere a Chamonix e che, all'improvviso, si è accorto che a nessuno al mondo serve uno chalet a Chamonix. Non più, perché il mondo sta riducendo di quel 20% le sue esigenze. Ma questo non c'entra niente con la signora Thatcher, la quale, di base vittoriana, aveva anzi orrore del debito ».Pericoli di violenza a causa della crisi? «Non vedo un ritorno del terrorismo domestico. Ma c'è una grande rabbia diffusa, la voglia di trovare colpevoli. Per ora non ha sbocchi politici, è individuale, come abbiamo visto negli attacchi alle case di banchieri, o si incanala in manifestazioni di massa tradizionali come quelle delle tifoserie del calcio ».La democrazia potrebbe correre dei rischi? «La democrazia direttamente no, anche se ci saranno spostamenti politici. Diverso è il discorso per la società aperta, perché la crisi non favorisce le libertà. Le scelte dei governi di nazionalizzare banche e forse anche certe industrie riducono le libertà. Non saranno tempi belli».C'è chi dice che il vero potere non starà nel G20 ma nel G2, cioè Washington più Pechino. «Forse, anche se non vedo fino in fondo come Stati Uniti e Cina, che non si piacciono, possano andare davvero d'accordo. Credo però che quasi certamente l'Europa non ci sarà alla guida del mondo: i leader europei vanno per strade diverse e soprattutto chiedono a Bruxelles di ridurre, allentare il mercato unico ». (Da Il Corriere della Sera)

Città del futuro, apre a Roma la fiera Ecopolis

Apre oggi alla nuova Fiera di Roma la prima edizione di Ecopolis una tre giorni dedicata al tema della città, dell'ambiente urbano e della sostenibilità.Promossa da Camera di commercio di Roma e Fiera Roma con il patronato della presidenza della Repubblica, fino a venerdì il salone inviterà a riflettere e ad approfondire le tematiche legate alla gestione ambientale delle città. In particolare, si farà il punto sullo stato dell'arte in sette settori strategici: energia, rifiuti, mobilità, acqua, natura urbana, urban design, salubrità ambientale. Trasversale sarà poi il tema della governance, imprescindibile se si pensa al ruolo della pianificazione strategica delle grandi aree metropolitane.Si partirà l'1 aprile con la presentazione del V Rapporto annuale sull'ambiente urbano, promosso dal Sistema delle agenzie per l'ambiente Ispra-Arpa-Apopa, cui seguirà nel pomeriggio della prima giornata il convegno «Città del futuro». Con alcune tra le voci più autorevoli del campo, tra cui Alejandro Gutierrez, progettista della prima città sostenibile al mondo, si affronterà il tema della costruzione di comunità a zero emissioni. La seconda giornata prenderà il via con il convegno «L'energia delle città», promosso con il contributo della regione Lazio, per fare il punto sul risparmio energico e l'utilizzo di energie rinnovabili (solare diretta, energia idrica, eolica ed energia derivante dalle biomasse), che oggi coprono solo il 10% del fabbisogno energetico mondiale. Giovedì pomeriggio il ricercatore Richard Pluntz, presenterà lo studio condotto per la Columbia University sul tema dei cambiamenti climatici e avvierà il dibattito sulle nuove emergenze, dal punto di vista sociale, architettonico, sanitario, che devono guidare la pianificazione urbana. Il 3 aprile, infine, l'attenzione si sposterà verso tematiche più strettamente economiche per analizzare quali opportunità e sfide si presentano alle imprese in una fase di transizione verso un'economia più sostenibile e come proprio la green economy possa diventare un motore di ripresa per il sistema industriale. Le grandi trasformazioni cui saranno chiamate le aree urbane nei prossimi anni per far fronte ai cambiamenti climatici vedranno, infatti, un sempre più diretto coinvolgimento di tutti quei soggetti economici e industriali che saranno in grado di assicurare alle amministrazioni metodi, processi e tecnologie innovativi e tra loro integrati. A questi appuntamenti si affiancheranno incontri e conferenze su argomenti più squisitamente tecnici come la bioedilizia, la mobilità sostenibile, il green rating, la gestione dei rifiuti, con esperti che faranno il punto su settori e tematiche specialistiche. «Lo sviluppo sostenibile», ha affermato presentando l'evento Lorenzo Tagliavanti, presidente della Camera di commercio Roma, «rappresenta per le nostre imprese una sfida imprescindibile e, al tempo stesso, una grande opportunità. Quando un'impresa sceglie di coniugare efficienza ed etica investe in valori intangibili in grado di assicurare un formidabile ritorno in termini di competitività. Ecopolis, oltre a contribuire in maniera forte allo sviluppo internazionale del nuovo polo fieristico, rappresenta per le aziende una grande opportunità di incontro-confronto con tutti i soggetti coinvolti nello sviluppo, in particolare con la pubblica amministrazione. E la collaborazione tra la nostra istituzione e Fiera di Roma su questo evento nasce proprio dalla volontà di creare un luogo di dibattito di alto livello su questi temi». «In un momento difficile come quello che l'economia attraversa», ha aggiunto il presidente di Fiera Roma, Roberto Bosi, «crediamo che le aziende abbiano bisogno di nuovi stimoli da cui ripartire e ci auguriamo che lo sviluppo sostenibile possa diventare un motore di ripresa per il sistema industriale». (da Italia Oggi)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

martedì 31 marzo 2009

Obama lancia un summit sul clima

L'Amministrazione di Barack Obama ha convocato un vertice su energia e clima tra le sedici maggiori potenze mondiali, con la partecipazione anche delle Nazioni Unite, per facilitare un futuro accordo internazionale sulla lotta all'effetto serra.E l'Italia avrà un ruolo cruciale nel facilitare il nuovo round negoziale. Il «Major economies forum on energy and climate » è stato convocato per il 27 e 28 aprile al Dipartimento di Stato a Washington, a livello di rappresentanti dei Governi. Il vertice, ha aggiunto la Casa Bianca, servirà però a mettere a fuoco un appuntamento sul clima ai massimi livelli organizzato in Italia alla Maddalena, al margine del G-8 dell'8-10 luglio. Obama ha scritto al primo ministro Silvio Berlusconi una lettera nella quale si chiede l'aiuto dell'Italia per far decollare il Forum. Berlusconi, fanno sapere fonti governative italiane, ha dato il suo via libera all'appuntamento. Il vertice, che vuole sottolineare la rottura di Obama con il predecessore George W. Bush sull'ambiente, è stato esplicitamente definito ieri sera dalla Casa Bianca, in un comunicato, come un appuntamento preparatorio che culminerà fra poco più di tre mesi in un «Forum a livello di leader delle maggiori economie» ospitato dal primo ministro italiano.L'obiettivo,ha aggiunto l'Amministrazione, è quello di facilitare un dialogo «sincero» tra Paesi sviluppati e nazioni in via di sviluppo, «per generare la leadership politica necessaria a raggiungere un risultato di successo ai negoziati di Copenaghen di dicembre, nell'ambito delle Nazioni Unite, sul cambiamento climatico». Non solo: le trattative serviranno anche, ha continuato la Casa Bianca, «a far avanzare l'esplorazione di iniziative concrete e di jointventure che sappiano aumentare le forniture di energia pulita e tagliare le emissioni di gas che provocano l'effetto serra».Gli invitati da Obama al summit, accanto agli Stati Uniti, sono, nell'ordine dato dall'Amministrazione: Australia, Brasile, Canada, Cina, Unione Europea, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea, Messico, Russia, Sudafrica, Regno Unito e Danimarca, quest'ultimo Paese presidente della Conferenza Onu di Copenaghen di dicembre.L'iniziativa americana arriva dopo un'aggressiva offensiva sull'energia e sull'ambiente lanciata da Obama nei suoi primi mesi alla Casa Bianca. Il presidente ha trasformato in priorità un'agenda riformatrice anche durante la crisi economica. Nel suo stesso piano di stimolo economico da 787 miliardi di dollari per superare la recessione sono contenuti numerosi provvedimenti a favore di fonti rinnovabili di energia e di riduzioni delle emissioni. Nella sua proposta di budget al Congresso, inoltre, è previsto un sistema di "cap and trade", di compravendita di permessi di inquinamento, che abbia il traguardo di ridurre gli scarichi di anidride carbonica nell'atmosfera. Anche nel dare aiuti all'auto in crisi Obama ha insistito sulle vetture pulite. E alla guida del Dipartimento dell'Energia ha nominato un noto scienziato e ambientalista, Steven Chu. (Dal Sole 24 Ore)

Scienziati e Nobel smentiscono Obama sull'effetto serra

Mr President, sul clima ha torto». In coincidenza con l’odierno inizio del viaggio europeo di Barack Obama 114 scienziati e premi Nobel di 13 nazioni firmano un manifesto per contestare, documenti alla mano, la posizione dell’Amministrazione sui cambiamenti climatici, che è alla base delle nuove politiche energetiche.«Noi sottoscritti scienziati confermiamo che l’allarme sui cambiamenti climatici è grossolanamente esagerato» si legge nel testo redatto dal Cato Institute di Washington, pubblicato a pagamento su un’intera pagina del New York Times sotto il titolo «Con tutto il rispetto, Mr President, non è vero». Non è vero quanto ha detto Obama dopo l’elezione sul fatto che «poche sfide sono più urgenti della lotta ai cambiamenti climatici e la scienza non ha dubbi in proposito». Il centro studi Cato, di area libertaria, aveva già sfidato Obama il mese scorso pubblicando un manifesto di economisti ostili alle politiche keynesiane dell’amministrazione e ora apre un secondo fronte sul clima schierando il premio Nobel Ivar Giaever assieme a scienziati, accademici, esperti e ricercatori sui temi del clima provenienti da Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada, Germania, Pakistan, Sud Africa, Paraguay, Finlandia, Svezia, Norvegia, Spagna e anche Italia. Il nostro Paese infatti è rappresentato da Antonio Zichichi, presidente della Federazione mondiale degli scienziati, da Umberto Crescenti, ex presidente della Società geologica italiana e da Carlo-Forese Wezel, dell’Università di Urbino. L’affondo che la pattuglia di scienziati del clima lancia contro Obama punta a smantellare l’approccio sull’ambiente del quale il presidente si fa portatore in Europa al fine di promuovere nuove politiche energetiche e di accelerare una solida intesa sul taglio delle emissioni nocive alla Conferenza Onu di Copenhagen che si svolgerà alla fine di dicembre. In concreto le obiezioni raccolte dal Cato Institute sono tre. Ecco di cosa si tratta. Primo: «I cambiamenti delle temperature di superficie nel corso dell’ultimo secolo sono stati episodici, modesti e non vi è stato un netto surriscaldamento del clima negli ultimi dieci anni» come attestato dalla recente pubblicazione della Geophysical Research Letters ed anche da uno studio apparso sul Journal of Geophysical Research nel 2006. Secondo: «Dopo aver controllato l’aumento della popolazione e i valori delle proprietà» si può affermare che «non vi è stato un aumento dei danni causato da eventi dovuti al clima» come attestato da uno studio apparso nel 2005 nel Bullettin of the American Meteorological Society. Terzo: «I modelli computerizzati che prevedono un rapido cambiamento delle temperature non riescono a spiegare i recenti comportamenti climatici» come documentato nel 2007 dall’International Journal of Climatology. Da qui la conclusione: «Mr President, la sua descrizione dei fatti scientifici riguardo i cambiamenti climatici e il livello di informazione del dibattito scientifico è semplicemente non corretta». L’aver fatto riferimento ad una documentazione scientifica risalente ad alcuni anni fa è stata una scelta con la quale gli scienziati hanno voluto sottolineare come i dubbi sui cambiamenti climatici sono consolidati da tempo, smentendo quindi la tesi del premio Nobel Al Gore protagonista, con libri e un film insignito dall’Oscar, di una campagna sull’«assenza di dubbi» sul processo di surriscaldamento del clima le cui conclusioni sono state fatte proprie dalla Casa Bianca. (Da La Stampa)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’ad Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

lunedì 30 marzo 2009

Cambiamenti climatici, vertice a luglio al G8 della Maddalena

Lo ha annunciato la Casa Bianca. Gli Stati Uniti di Barack Obama intendono assumere la guida della lotta ai cambiamenti climatici. Per questo il presidente americano ha inviato i leader dei 16 Paesi più ricchi in questo forum-vertice in programma a Washington il 27 e il 28 aprile. Il forum trarrà le conclusioni al G8 della Maddalena in Italia dall'8 al 10 luglio. Lo ha reso noto la Casa Bianca. L'obiettivo finale e' giungere a un nuovo accordo sui cambiamenti climatici all'Onu. I leader invitati sono quelli di Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, India, Indonesia, Italia, Messico, Russia, Sud Africa. La Danimarca parteciperà come presidente della Conferenza del dicembre 2009 in vista di una convenzione Onu sul clima. Sono state invitate al dialogo anche le Nazioni Unite. Il presidente americano Barack Obama ha scritto una lettera al premier Silvio Berlusconi nella quale si chiede l'aiuto dell'Italia per riattivare il «Major economies Forum» sull'energia ed i cambiamenti climatici. Berlusconi ha dato il suo via libera affinchè la riunione si tenga a margine del G8 della Maddalena. (Da Il Tempo)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, ad dell’Eni

La Norvegia stringe sul clima

A qualcuno parrà singolare, quasi paradossale, che chi vive di petrolio si impegni contro il riscaldamento climatico. Altri plaudiranno alla scelta del fondo pensione norvegese di penalizzare chi vìola i limiti di emissione di Co2, escludendone i titoli dal proprio portafoglio di investimenti. Lo Statens Pensjonsfond – Utland, meglio conosciuto nella traduzione inglese di Government Pension Fund Norway, da anni è impegnato in questo tipo di scelte «etiche », che mettono al bando le società quotate in base ai comportamenti di queste ultime: per quanto riguarda i rapporti con i dipendenti, sanzionando con la vendita dei titoli chi sfrutta il lavoro minorile; o per ciò che concerne comportamenti nocivi per la collettività (tabacco, armamen-ti), oppure per quanto riguarda la tutela dell'ambiente. La Norvegia e il suo fondo pensione vivono di petrolio: una fonte di reddito che fa della Norvegia uno dei Paesi più ricchi al mondo e del fondo pensione il secondo a livello mondiale, dopo quello pubblico giapponese e il secondo fondo «sovrano» dopo l'Abu Dhabi Investment Authority. Un colosso da circa 260 miliardi di euro, cinque volte tanto l'inteso sistema dei fondi pensione italiano, che quando si muove è in grado di determinare le fortune o le sfortune delle società in cui investe.Il Parlamento di Oslo è chiamato ora a integrare il Codice Etico del fondo pensione, in vigore da cinque anni, con alcuni criteri che escludono le società che vìolano i livelli consentiti di emissione di Co2, dai 7mila titoli di cui è composto il portafoglio. Il protocollo invita le società in cui il fondo investe – e che quindi finanzia – a metter in campo entro il 2020 un modello di business sostenibile a livello ambientale, che sostituisca il carbon fossile come fonte di energia con altre più efficienti. «Pollution is a bad business », dicono quelli di Bellona, l'associazione ambientalista tra le più attive nel pressing «etico» sul Governo e sul fondo pensione pubblico.È una mossa sostenibile anche finanziariamente? Nel quartier generale del fondo rispondono orgogliosamente ricordando di essere investitori di lungo termine e responsabili sia per quanto riguarda il reddito futuro degli aderenti che per le condizioni dell'ambiente in cui costoro vivranno in futuro. Secondo stime al 2100, a lunghissimo termine cioè, il 20% del Pil verrebbe impiegato in misure d'emergenza per i danni ambientali. Per questo appare del tutto razionale che la Norvegia versi oggi l'1% del prodotto interno lordo in progetti di tutela ambientale, un miliardo nella salvaguardia dell'Amazzonia.La crisi finanziaria ha colpito duro anche questo fondo pensione: il ribasso per il 2008 è stato del 23,3%, ossia l'equivalente di 72,5 miliardi di euro; l'impennata del petrolio ha però portato circa 44 miliardi di euro nelle sue casse. Ciò non ha frenato gli interventi: pochi giorni fa la società cinese Dongfeng è stata messa al bando (lo 0,22% della capitalizzazione della società) e esclusa dal portafoglio a causa della vendita di camion militari al regime dittatoriale della Birmania. Il Comitato etico del fondo ha consigliato al fondo l'esclusione della tedesca Siemens (ne detiene l'1,34%), per le timide contromisure adottate dopo gli episodi di corruzione di cui sono stati protagonisti i manager. Il fondo ha respinto l'invito: il Governo di Oslo vuole utilizzare questa quota per influire su Siemens perchè rafforzi il suo piano anti-corruzione. (Da Il Sole 24 Ore)

venerdì 27 marzo 2009

La ricetta per il futuro fertile

problemi del sistema agricolo saranno da oggi sotto la lente della Confagricoltura per i tre giorni del Forum futuro fertile, organizzato, per il terzo anno consecutivo, dall'associazione a Taormina, in provincia di Messina. Al tavolo della tre giorni siciliana si alterneranno gli esponenti del mondo economico e agricolo. Alla ricerca di una soluzione per uscire dalla crisi economica che colpisce anche le imprese agricole. Aprirà i lavori nel pomeriggio l'intervento di Federico Vecchioni, presidente della Confagricoltura nazionale, al quale seguirà la relazione del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Quindi la prima sessione di lavori alla quale parteciperanno, tra gli altri il sottosegretario allo sviluppo economico, Adolfo Urso, il presidente della commissione agricoltura della Camera, Paolo Russo, il sottosegretario all'ambiente, Roberto Menia, il vicepresidente dell'Udc, Roberto Vietti, e Giuseppe Castiglione, presidente della provincia di Catania. La seconda giornata, domani, è quella più interessante. Nella prima sessione di lavori si parlerà di politiche europee e delle scelte dei paesi a partire dalla relazione che verrà presentata dall'economista Jacques Attali. Quindi l'intervista di Enrico Cisnetto al consigliere delegato e ceo di Intesa San Paolo, Corrado Passera. A seguire la presentazione della ricerca Astrid-Confagricoltura e gli interventi, tra gli altri, di Franco Bassanini, presidente Astrid e di Pier Ferdinando Casini, segretario dell'Udc. Nella seconda sessione mattutina, invece, si parlerà degli strumenti per le imprese trainanti con Fabio Cerchiai, presidente Ania, Corrado Faissola, presidente dell'Abi, Giorgio Guerrini, presidente della Confartigianato, Giuseppe Guzzetti, presidente delle Acri, Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, Carlo Sangalli, presidente della Confcommercio, e dello stesso Vecchioni. Nella sessione pomeridiana di domani, invece, si parlerà di agrindustria e rapporti tra imprese e università nel corso della quale interverranno, tra gli altri, Giovanni La Via, assessore all'agricoltura della Regione siciliana, Riccardo Riccardi, presidente della Banca della nuova terra, e Anna Maria Martuccelli, direttore generale della associazione nazionale bonifiche e irrigazioni. Sabato la chiusura dei lavori nella quale si discuterà del «pregiudizio della non conoscenza» con l'intervista di Bruno Vespa al premio Nobel Rita Levi di Montalcini. «Bassa crescita, flessione nei consumi, rischio di deflazione (che in Italia in effetti non c'è stata) e recessione dell'economia (che invece è arrivata, in Italia ed in Europa, con le sue dure cifre): in questo scenario sta tutta la prospettiva entro cui dobbiamo rilanciare l'economia», ha sostenuto Vecchioni. E il dibattito a Taormina partirà proprio dalla crisi alimentare mondiale. «Si può ancora parlare di crisi vera e propria?», si domanda il numero uno della Confagricoltura, «se siamo, forse, usciti dall'emergenza, restano le questioni di sempre. Mancano gli strumenti di regolazione dei mercati e, complice anche il cambiamento climatico, si accentuano gli squilibri domanda-offerta». «Confagricoltura», ha aggiunto, «conferma la sua vocazione di “sindacato di progetto” e proporrà la sua visione per investire e migliorare la redditività e l'efficienza dei vari comparti. Perché condizione per produrre è la competitività dei processi produttivi: che significa in poche parole conquistare quote di mercato e saperle mantenere». E la crisi può diventare uno strumento di crescita e di avvio di riforme strutturali «ma non con interventi spot», ha spiegato Vecchioni, «ma riforme che cambino assetto alle politiche del lavoro, che consentano di avere più innovazione e ricerca e meno burocrazia». Ma ci sono anche altre domande alle quale si tenterà di dare una risposta nel corso della tre giorni siciliana: «Come incentivare le energie rinnovabili?, quali filiere privilegiare? Fino a quando saremo costretti ad essere un paese senza Ogm (da coltivare) ma con tanti ogmi da importare (e mangiare)?». «L'agricoltura», ha concluso Vecchioni, «non è più quella di ieri, è forza nuova che garantisce e garantirà ancora sicurezza alimentare e sviluppo sostenibile». (Da MF Sicilia)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

L’Europa si svegli, l’effetto serra è un effetto patacca

Caro Granzotto, le straordinarie eruzioni vulcaniche sottomarine recentemente avvenute nell’arcipelago di Tonga hanno senza dubbio provocato l’immissione di tonnellate di gas serra nell’atmosfera, probabilmente non previste da coloro che sono seriamente impegnati a studiare il riscaldamento globale del nostro pianeta. Ma che fanno codesti vulcani? Non si rendono conto che esistono dei parametri fissati dal protocollo di Kyoto che anch’essi devono rispettare? Ma, visto che non è fino a oggi possibile ridurre l’attività vulcanica, ci dobbiamo forse aspettare che gli scienziati dell’Ipcc, l’organismo dell’Onu che vigila sui cambiamenti climatici, chiedano (in questi tempi di crisi) ai governi del mondo di destinare maggiori stanziamenti per le loro ricerche? (Lettera al Giornale)

giovedì 26 marzo 2009

Le città di domani? Come grossi animali

Parlare tanto di un futuro mentre il presente ci fa soffrire diventa inevitabilmente un rito scaramantico o un atto di fede. Anche se in questo caso non c´è nessuna prospettiva messianica. A meno che non si voglia mettere il pesante fardello di far apparire un messia sulle spalle del governo. Ad ogni modo, mentre per l´edilizia questo è l´anno della crisi, e proprio il governo studia come fare ripartire una delle macchine che fanno da traino a tutta l´economia, per architetti, urbanisti e altri addetti ai lavori il 2009 è il tempo di pensare le città del futuro. Tema principale a febbraio durante la fiera Made, Milano Architetttura Design Edilizia, ora si ripresenta, ma con protagonisti e, ovviamente, suggerimenti diversi, a Ecopolis (dal 1° al 3 aprile alla Fiera di Roma), che mette al centro la questione ambientale. Costruzioni e trasporti: due settori chiave per le città, sono anche tra le prime cause di inquinamento. Ed Ecopolis, anche se cerca risposte con ricchezza di spunti, novità (per esempio Free Duck, quadriciclo elettrico leggero per uso urbano di Ducati energia), curiosità (il più grande impianto fotovoltaico al mondo in thin film: 38 mila metri quadrati di tetti e padiglioni proprio al polo fieristico di Roma), resta imperniata proprio sulle città del futuro. Argomento all´apparenza per filosofi utopisti, futurologi alla Roberto Vacca e sceneggiatori di film onirico-avveniristici (dalla San Angeles di Blade Runner alla New York del 1997 che John Carpenter immagina nel 1981 proprio in 1997: Fuga da New York), sul quale invece si esibiscono con pragmatismo gli architetti. La relazione di apertura del convegno sul tema è di Alejandro Gutierrez, che ha avuto la fortuna di poter davvero progettare da zero un´intera città "verde": Dongtan, sull´isola Chongming alle porte di Shanghai, dove le case saranno tutte ecocompatibili e i trasporti funzioneranno solo con fonti energetiche rinnovabili. Architetto Gutierrez, il futuro delle città è il tema dominante di questo 2009. Non sarà che si costruisce con l´immaginazione nel futuro considerato che nel presente l´edilizia è quasi ferma?«L´importanza delle città adesso e in futuro riguarda motivi diversi dalla crisi. Per la prima volta nella storia più della metà degli abitanti vive nelle città, con un cambiamento radicale rispetto al passato, quando la gente viveva prevalentemente in aree agricole. Siamo diventati una razza urbana, quindi l´impatto di quello che si fa o non si fa nelle città sulla vita delle persone è fondamentale: un concetto apparentemente ovvio, ma non così evidente per quella parte di popolazione che non vive in città. In secondo luogo, le città sono le principali responsabili dei cambiamenti climatici e dei gas a effetto serra. Le persone che vivono nelle città hanno una maggiore disponibilità economica e sono impegnate ogni giorno in molteplici attività, dai viaggi tra casa e lavoro ai consumi di beni alimentari e risorse energetiche, alla produzione di rifiuti. Le città quindi da un lato sono colpevoli, ma dall´altro hanno la grande opportunità di modificare il funzionamento dell´economia e il cambiamento climatico. Innanzi tutto perchè sono entità relativamente semplici da un punto di vista amministrativo: è più semplice incidere su una nazione prendendo le decisioni giuste nelle sue città più importanti, piuttosto che agire a livello centrale e complessivo. Questa appare la strada ideale, ma occorre agire in fretta».Quali sono i problemi delle città che secondo lei vanno risolti per primi?«Il punto di partenza è considerare le città non come sistemi lineari di produzione e richiesta di beni, cultura, risorse, ma come sistemi circolari. Dobbiamo vedere le città come sistemi organici. Finora l´Occidente ha guardato alle città come consumatori di materie prime, che usano massicciamente, producendo grandi quantità di rifiuti. Pensare alle città come sistemi circolari significa pensare a come riutilizzare i grandi flussi di materiali e rifiuti all´interno del sistema urbano stesso, creando valore ed efficienza per l´economia e l´ambiente. Un esempio viene dalla Lombardia, dove in una fabbrica di automobili un imprenditore ha deciso di riciclare tutti gli scarti metallici delle macchine vecchie rivendendoli ad altre imprese per usi diversi. Un modo per dare ai rifiuti nuovo valore. In termini di sviluppo costruttivo, questo modo di pensare coinvolge tutti gli aspetti: le fognature e i rifiuti per generare energia, i materiali edili a basso consumo energetico e basso contenuto di anidride carbonica. Quindi non bisogna progettare per sistemi lineari, da una parte le fognature, dall´altra il sistema di approvvigionamento energetico, qui il progetto paesaggistico e là i trasporti: tutti gli elementi vanno sviluppati come un tutto integrato per generare efficienza». (Da Repubblica)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è ciò che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

A ognuno la sua giusta crescita

Dal libro-conversazione di Tommaso Padoa-Schioppa con Beda Romano, da oggi in libreria, pubblichiamo un ampio estratto del capitolo conclusivo «Ricordare il futuro. La crescita differenziata». Il volume affronta i temi del grande crollo della finanza.di Tommaso Padoa-Schioppa T re domande stanno davanti a noi. Quale può e dev'essere un modello di funzionamento dell'economia mondiale alternativo a quello che è finito nel Grande Crollo?Come dev'essere configurato un soggetto pubblico, un "governo", che possa sospingere il mondo verso quel modello? E infine, che cosa può fare il singolo cittadino consapevole-soprattutto se giovane- per aiutare il mondo a muovere nella direzione voluta? Non ho risposte complete, ma ho alcune convinzioni.Molti, e non da oggi, mettono sotto accusa la crescita, soprattutto i giovani. Pensano che il male della nostra società sia il desiderio sfrenato di maggiore ricchezza individuale e collettiva che ha toccato il suo parossismo negli Stati Uniti; rifiutano il consumismo, condannano lo spreco su cui si fonda buona parte della nostra economia; vedono nella crisi finanziaria la conferma di una critica che esprimevano da tempo. Ebbene, condivido questa critica. L'interpretazione della crisi in chiave di bolla dei consumi e crescita senza risparmio muove lungo le stesse linee. Ritengo però che una condanna indiscriminata della crescita in quanto tale sia semplicistica e molto pericolosa.Perché della crescita economica non si può dire né bene né male se non si specifica " crescita di chi" e se non si approfondiscono le relazioni tra i diversi " chi". La popolazione mondiale, circa sette miliardi di persone, è fatta di ricchi, poveri e affamati. I ricchi sono circa un miliardo, abitano l'Occidente e il Giappone; per essi vale la critica del consumismo; sono obesi, non magri. I poveri sono circa cinque miliardi, spesso non hanno scarpe ai piedi, né acqua corrente in casa, né pensione o sussidio di disoccupazione, sono per lo più analfabeti, mancano di cure mediche, iniziano a lavorare da bambini, ma riescono a sfamarsi e a coprirsi in qualche modo dal freddo e dalla pioggia. Gli affamati sono circa un miliardo, vivono soprattutto in Africa,ma anche in Asia e in America Latina ( quasi nessuno in Occidente o in Giappone), muoiono di fame e di malattie che da noi si curano a poco prezzo. Ebbene, il tema della crescita è difficile perché dobbiamo parlare di tre crescite diverse, non di una sola; e le tre crescite sono legate.Per i poveri e gli affamati la crescita economica dovrebbe continuare, accelerare, diffondersi; in Occidente e in Giappone, dove è fondata sul superfluo, dovrebbe invece fermarsi.Questo è ciò che lei chiamava, nella sua prima domanda,il "modello difunzionamento dell'economia mondiale"?In astratto sì; in realtà proporre quel modello come se immaginarlo e attuarlo fossero la stessa cosa è tanto pericoloso quanto lo è stata, a suo tempo, l'idea dell'economia pianificata. Il fatto è che non sappiamo né come né se quel modello possa funzionare. Sappiamo che l'attuale modus operandi dei mercati, della politica economica e della politica tout court rende quanto mai arduo attuare il tipo di crescita differenziata che ho prima ipotizzato.Perché arduo? Molti trovano del tutto ragionevole che i ricchi si accontentino di quello che hanno, per lasciar crescere i poveri e risparmiare risorse naturali.Guardiamo che cosa potrebbe significare e che difficoltà potrebbe incontrare, in realtà,l'attuazione di quel modello.Cominciamo dai ricchi, una parte preponderante della popolazione americana, europea, giapponese: essi potrebbero, per un anno o due, smettere del tutto di comprare vestiti, elettrodomestici, automezzi, mobili e altri beni durevoli, cessare di andare al ristorante, non fare neppure una vacanza in albergo senza per questo abbassare realmente il loro tenore di vita. Se lo facessero (e forse lo stanno facendo in questo momento), metterebbero in crisi la propria economia e arresterebbero anche il processo d'uscita dalla povertà dei Paesi emergenti, che producono una parte notevole dei beni che, nella nostra ipotesi, i ricchi smetterebbero di acquistare. Veniamo ai poveri: se essi raggiungessero (come più della metà di loro sta facendo) il tenore di vita dei ricchi, la pressione dell'umanità sulle risorse scarse del pianeta, soprattutto d'energia e di cibo, diverrebbe rapidamente insostenibile. Ci sarebbero carenza di cibo, accelerazione del cambiamento climatico, enorme rincaro delle materie prime;molti poveri diverrebbero ricchi, ma molti verrebbero ricacciati nella condizione di affamati, com'è avvenuto nel 2007 in India per effetto del rincaro del riso. Insomma, lo spreco dei ricchi aiuta la crescita dei poveri; la crescita dei poveri aumenta il numero degli affamati. Non posso proprio dire che nel circuito della politica economica internazionale, nel quale sono stato negli ultimi trent'anni, il problema sia stato posto in questi termini.Vuole allora dire che quel suo modello è impossibile e che l'economia di mercato ci porterà al disastro?Non penso neppure questo; penso che ci sia molto lavoro da compiere per gli studiosi, sia in campo economico sia in campo politico. Quella che ho descritto è la grande sfida dei prossimi decenni: non conosciamo il modo per vincerla, ma non la dobbiamo neppure considerare perduta. Ritengo che il modello di crescita che ho tratteggiato - la crescita differenziata sia quello verso cui si deve muovere e che la cosiddetta economia di mercato vada non soppressa, ma indirizzata verso un funzionamento che aiuti a realizzare quel modello. Di una cosa sono certo: l'economia mondiale non muoverà spontaneamente verso quel modello, nessuna mano invisibile ci piloterà in quella direzione, senza un governo gran parte dell'umanità andrà incontro a inenarrabili sofferenze.Veniamo così alla sua seconda domanda. Come dev'essere configurato questo governo,l'attore di politica economica necessario per sospingere il mondo verso un modello alternativo?Sembra quasi inconcepibile che l'economia mondiale possa essere sospinta verso un diverso modello di funzionamento dall'azione concordata di una congerie di duecento Stati sovrani, nessuno dei quali ha tra i suoi compiti istituzionali l'occuparsi dell'interesse dell'intera umanità. Torno quindi a quanto abbiamo detto di un universo kantiano nel quale regole generali abbiano il sopravvento sui poteri nazionali. Detto ciò, mi pare che nella ricerca di una risposta soddisfacente occorra mantenere due punti fermi: il mercato e la democrazia. Sarebbe un grave errore, per esempio, cercare un modello alternativo di funzionamento dell'economia mondiale sopprimendo il mercato o introducendo forme generalizzate di pianificazione. Queste sono false utopie che hanno già dimostrato di essere fallaci e di generare povertà e oppressione quando si cerca di tradurle nella realtà. Le frontiere aperte, con il libero passaggio dei beni, dei servizi, dei capitali, delle persone, sono un traguardo da difendere. Per quanto riguarda poi la democrazia, sarebbe una grave perdita se il bisogno di un governo dell'economia internazionale non contenesse gli elementi di rappresentatività e di responsabilità (in inglese si parla di accountability, il dovere di rendere conto del proprio operato) simili a quelli delle democrazie operanti entro gli Stati.Infine, la terza delle sue domande: che cosa può fare il singolo cittadino consapevole, che cosa possono fare i giovani in questo frangente?Informarsi, ragionare con la propria testa, rifiutare i luoghi comuni, non essere gregge, guardare lontano, sapersi cittadino del mondo, essere intransigente, pensare responsabilmente, sentire la politica come attività nobile. Ognuno può contribuire al buon orientamento dell'opinione pubblica, a cercare soluzioni per i problemi del proprio tempo, a inventare i piccoli passi che avvicinano a una meta grande e lontana. (Dal Sole 24 Ore)

mercoledì 25 marzo 2009

2009, anno del gorilla. Che protegge l'ambiente

Il 2009 è l’«Anno del gorilla». L'iniziativa, lanciata dal Programma dell’Onu per l'Ambiente (Unep) e dalla Convenzione sulle specie migratrici (Cms) vuole mobilitare governi e opinioni pubbliche per difendere le ultime popolazioni di gorilla in Africa.La lotta al riscaldamentoSecondo Robert Hepworth, segretario del Cms, la campagna dovrebbe raccogliere «almeno mezzo milione di euro entro l'anno»: è significativo - sottolinea - che la tutela delle aree dove vivono questi animali così prossimi all’uomo potrebbe diventare anche uno strumento nella lotta ai cambiamenti climatici: secondo l'«Atlante su carbonio e biodiversità» dell’Unep, le aree in Ruanda e Uganda sono uno dei polmoni verdi del Pianeta.«Convivenza tra noi e loro»A fare da madrina del «Year of Gorilla» è Jane Goodall, la primatologa celebre per le sue ricerche e le sue battaglie. «Le popolazioni all'interno o in prossimità delle foreste lottano per sopravvivere - spiega -. Se non le aiuteremo a trovare un modo di vivere che non costringa a distruggere la giungla, falliremo anche nello sforzo di proteggere queste meravigliose scimmie». (Da La Stampa)

I cambiamenti climatici si studiano con le nanotech

C he cosa hanno in comune i ricercatori italiani e quelli svedesi? La risposta, nient'affatto scontata, è affidata a Lars Leijonborg, ministro per l'Istruzione e la Ricerca del Governo di Stoccolma, in visita ufficiale in Italia insieme ai Reali di Svezia.«Italia e Svezia- spiega Leijonborg, 59 anni, da due e mezzo al Governo - intendono investire insieme nella ricerca sui neutroni, nelle nanotecnologie, negli studi e l'esplorazione della regione artica per trarre informazioni utili sul cambiamento climatico ». Aree di studio comuni tra scienziati italiani e svedesi e che oggi saranno oggetto di una dichiarazione congiunta tra Leijonborg e il ministro Mariastella Gelmini, nel corso del Forum Italia-Svezia organizzato da Confindustria.Italia e Svezia svilupperanno programmi congiunti?I due Paesi già collaborano,al di là dell'esistenza di accordi formali. Il progetto più concreto su cui lavoreremo insieme riguarda lo sviluppo di nuovi materiali attraverso la cosiddetta "spallazione" dei neutroni (è il processo che avviene quando particelle ad alta energia impattano nuclei di atomi producendo un flusso di neutroni, poi impiegati per produrre materiali artificiali, ndr). Inoltre esistono scienziati italiani molto competenti nello studio del Polo Nord e dei cambiamenti climatici, con i quali intensificheremo la partnership. Altri campi che rientreranno nell'accordo con il ministro Gelmini sono le nanotecnologie, l'energia sostenibile, l'alimentazione e la pesca.Investimenti ancora scarsi e legami carenti tra aziende e Università: sulla ricerca l'Italia cerca ancora un modello. Qualè l'esperienza svedese?Possiamo dire di essere tra i vertici a livello mondiale per spese dedicate alla ricerca in rapporto al Pil. L'Agenda di Lisbona poneva come obiettivo il 3%, con un punto di derivazione pubblica e un punto dai privati. La Svezia si posiziona sul 4%, con 3 punti di investimento privato. Per un ministro come me, il vantaggio è avere in casa dei giganti come Ericsson nelle telecomunicazioni e AstraZeneca nella farmaceutica, ciascuno dei quali con la sua ricerca copre quasi l'1% del Pil. Un altro punto di Pil arriva da Volvo e da altre grandi aziende private. Per quanto riguarda poi il rapporto tra le imprese e l'università, direi che il punto di vista di un ministro della Ricerca è molto parziale. Il tema decisivo è un altro...A che cosa si riferisce?Al clima e alle condizioni del fare impresa. Se manca questo, la ricerca resta per forza di cose in laboratorio. Se sei un ricercatore e sviluppi un'invenzione che potrebbe costituire un vero breakthrough tecnologico nel campo della medicina, devi essere messo in condizione di commercializzare la tua idea. Il Governo svedese, a questo scopo, attraverso degli Innovation center creati nelle università favorisce la diffusione del capitale di rischio nella fasi di "very early stage" e fornisce assistenza per passare alla commercializzazione.Quali criteri vengono seguiti nella distribuzione delle risorse pubbliche?Innanzitutto quello del merito. La quantità dei fondi che attribuiamo alle singole università è vincolata alla valutazione dei risultati conseguiti nell'anno precedente. Sui contenuti siamo fortemente orientati alla ricerca di base, sostanzialmente libera, guidata dal mercato, ma senza deviare eccessivamente dalle aree che secondo i contribuenti e la politica saranno strategiche nei prossimi anni: medicina, clima e tecnologie al loro servizio. Ci sono alcuni grandi obiettivi scientifici ai quali, non solo la Svezia ma tutta l'Europa, deve puntare: le grandi battaglie della medicina contro il cancro, l'Alzheimer, l'Aids; l'avvento su larga scala dell'auto elettrica; i sistemi per la cattura del carbonio.La Svezia ha appena compiuto una clamorosa retromarcia tornando al nucleare. Per quale motivo?La sospensione decisa nel 1998 non è stata risolutiva e ha lasciato grandi divisioni nel Paese. Adesso siamo arrivati a una sorta di storico compromesso: i reattori esistenti potranno essere sostituiti da nuovi impianti e di pari passo si svilupperanno sia la ricerca sul nucleare di quarta generazione sia quella sulle fonti rinnovabili come l'eolico, le biomasse, il solare.A giugno in Italia si svolgerà il G8 della scienza. Da osservatore esterno, la Svezia ha dei suggerimenti?A mio parere bisogna dare priorità agli obiettivi che ho appena indicato. Ma soprattutto credo che anche in questa fase di crisi internazionale occorra aumentare gli investimenti in ricerca seguendo la strada tracciata negli Stati Uniti da Barack Obama. In Europa solo una cifra intorno al 6% degli investimenti pubblici per la ricerca è finanziata da Bruxelles: troppo poco. Oggi ho incontrato anche il vostro Presidente Giorgio Napolitano, che mi è parso molto sensibile su questo tema. (Dal Sole 24 Ore)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

martedì 24 marzo 2009

Clima, i ghiacciai cambiano i confini con la Svizzera

Per millenni la natura ha imposto la sua legge all'uomo. Poi l'uomo ha iniziato a modificare la natura, a imporre che le sue ragioni contribuissero a modificare il mondo. Spostando il corso dei fiumi, bucando le montagne, rimuovendo o costruendo intere isole. Ogni tanto la natura si vendica, e impone all'uomo di cambiare molte cose. Anche i confini tra gli Stati. Ma siccome per cambiare i confini bisogna modificare i trattati, adesso la natura cambia le Leggi degli Stati, quelle votate dai Parlamenti. Italia e Svizzera si preparano a cambiare i loro confini perché il riscaldamento climatico sta sciogliendo i ghiacciai. E in alta quota, se cambiano i profili dei ghiacciai, cambiano le linee che dividono uno Stato dall'altro. Tutti sanno che i ghiacciai si ritirano, si riducono: l'allarme però deve essere serio se perfino le burocrazie svizzera ed italiana chiedono ai governi di modificare i trattati che fissano i confini. Significa che la commissione tecnica mista dell'Istituto Geografico Militare di Firenze e quella della "Swisstopo", l'agenzia cartografica federale di Berna, hanno accertato che la riduzione dei ghiacciai è talmente cospicua che i confini legali non corrispondono più alla realtà. E per questo il Parlamento italiano, su proposta del ministro degli Esteri Franco Frattini, si prepara ad autorizzare la commissione mista a fare il suo lavoro di rettifica. "Una volta i confini si stabilivano con le armi, oggi con gli esperti", dice all'AdnKronos il relatore del disegno di legge Franco Narducci, deputato del Partito democratico.
Il capo dei tecnici italiani è il generale Carlo Colella, comandante dell'IGM di Firenze. "Negli Anni Settanta io cambiai un altro confine tra Italia e Svizzera, quello di Brogeda", dice l'ufficiale, "ma fu un cambiamento dovuto all'uomo, per costruire l'autostrada Como-Lugano fu deviato il corso di un torrente". Adesso sono i ghiacciai a imporre le modifiche: "Sul Plateau Rosà del Monte Cervino, sul Monte Rosa, sul Pizzo Bernina il ghiaccio è calato molto". Se il confine è sulla displuviale del ghiacciaio, quando il ghiaccio scende la displuviale sul terreno si sposta anche per decine di metri. "Con la Svizzera i confini non erano mai cambiati, praticamente sono quelli riconosciuti dalla Costituzione italiana del 1861", dice il generale Colella: "Adesso sembra tutto in movimento, tutto potrebbe essere diverso". (da repubblica.it)

La Bei contro i cambiamenti climatici

La Banca europea per gli investimenti aumenterà i suoi interventi annuali di circa il 30% nel biennio 2009/2010. Lo ha confermato ieri il vicepresidente dell'istituto Dario Scannapieco. «Tale incremento», ha detto, «sarà realizzato mantenendo ferma la rigorosa analisi tecnica e creditizia dei progetti, tipici dell'operatività della banca, e si sta concentrando su tre filoni principali: i finanziamenti alle regioni, le iniziative finalizzate a combattere il cambiamento climatico e il sostegno alle pmi». Al 31 dicembre scorso, la Bei aveva finanziamenti in essere per circa 355 miliardi, di cui il 90% relativi a progetti nell'Unione europea. Solo in Italia, a fine 2008 erano attivi finanziamenti per 45 miliardi di cui 8,5 attivati nel 2008, quando c'è stato un incremento di attività di Bei nel nostro paese del 50%. (da Italia Oggi)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

lunedì 23 marzo 2009

Al Museo della scienza si parla di cambiamenti climatici

Gli effetti del riscaldamento globale Dopo l'inverno rigido appena trascorso, c'è chi si chiede: dov'è finito il riscaldamento globale? Lunedì 30 marzo, il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano dedicherà un'intera giornata ai cambiamenti climatici: «A mente fredda nel riscaldamento globale». Durante la conferenza, organizzata in collaborazione con Mitsubishi Electric, scienziati ed esperti spiegheranno che non c'è nulla di contraddittorio fra un inverno freddo e il progressivo riscaldamento del pianeta, perché tempo e clima sono due cose diverse, sebbene correlate. La sessione del mattino sarà dedicata al contesto scientifico di riferimento, al dibattito su cause e previsioni e alle implicazioni etiche del tema. Nel pomeriggio interverranno le autorità politiche, per parlare delle linee guida a livello nazionale e internazionale, con uno sguardo alle implicazioni economiche delle strategie di adattamento e al punto di vista dell'industria sullo sviluppo sostenibile. (Dal Corriere Economia)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa del suo ad Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

Addio branzino, resteranno calamari, alghe e meduse

Nel timore che i pesci vengano a mancare, si cercano sostituti altrettanto sani e nutrienti ispirandosi all'Oriente Meduse, alghe, calamari giganti: un giorno li porteremo in tavola al posto delle sogliole e del baccalà ? I biologi marini lanciano l'allarme: se la pesca selvaggia continua come in questi ultimi decenni, entro il 2050, il mare non avrà più pesce. Oggi, nel mondo se ne mangia in media 16,4 kg a testa l'anno (una ventina in Europa). Secondo la Food and Agricolture Organization le proteine del pesce forniscono, in media, un quinto delle proteine necessarie per l'alimentazione della popolazione mondiale. E la domanda cresce soprattutto in Occidente, essenzialmente per motivi dietetici: il pesce è per lo più ipocalorico, ha pochi grassi, poco colesterolo, molte proteine. Ma come faremo domani, se il mare non ci darà più pesce? «Non esistono alimenti del tutto insostituibili — sottolinea Andrea Ghiselli, dell'Inran, Istituto Nazionale di Ricerca per Alimenti e Nutrizione, di Roma —. «Però il pesce non ha in natura sostituti identici. Se dovessimo farne a meno bisognerebbe integrare la dieta con combinazioni di cibi diversi. Per esempio, con alimenti ricchi di grassi vegetali, come oli, frutta secca tipo mandorle, nocciole. Con un po' più di carne per le proteine e per il ferro che contiene. Però il pesce è anche ricco di iodio, elemento non facilmente reperibile altrove».Biologi e chef di cucina creativa si stanno comunque scervellando per trovare nel mare possibili alternative altrettanto abbondanti, nutrienti e appetitose. Secondo un'indagine della rivista anglosassone NewScientist, pubblicata il 7 marzo, le promesse su cui puntare sono quelle creature del mare, che si stanno sviluppando rapidamente a causa di cambiamenti climatici, inquinamento, scomparsa di pesci predatori che finiscono nelle reti. Si inizia con le meduse comparse in grandi quantità in mari depauperati come Mediterraneo, Mar Nero, Golfo del Messico, Mare del Giappone. Ne esistono varietà di 2 metri di diametro. Tipiche della cucina asiatica, essiccate e salate, in Cina finiscono nelle insalate, in Giappone nel sushi, in Tailandia le mangiano ridotte in spaghetti. Vantaggi: hanno pochi grassi, molto rame, ferro, selenio, ma poche proteine (5% contro il 17-20% del pesce). (Dal Corriere della Sera)

venerdì 20 marzo 2009

Usa, arriva l´eco-dazio ed è subito lite con la Cina

Si tinge di verde l´ultima tentazione protezionista. La Cina e il Messico hanno reagito duramente alle nuove barriere agli scambi, già varate o proposte dall´Amministrazione Obama in nome della difesa dell´ambiente. Da Pechino è arrivata una secca messa in guardia contro l´idea in discussione negli Stati Uniti, di introdurre una nuova carbon-tax � o meglio un "dazio carbonico" � sulle importazioni in provenienza da paesi che non adottano tetti alle emissioni di CO2. La proposta potrebbe colpire pesantemente i prodotti made in China sul mercato americano.L´idea di un dazio ambientalista è stata discussa esplicitamente dal nuovo segretario Usa all´Energia Steven Chu (che per un´ironia della sorte è etnicamente cinese-americano) in un´audizione al Congresso questa settimana. La sua genesi è legata alla svolta di Obama sul cambiamento climatico e le politiche ambientali. Capovolgendo la linea di George Bush, il presidente ha deciso che gli Stati Uniti adotteranno quanto prima un tetto alle emissioni di CO2 per l´industria americana, legato alla creazione di un mercato per i diritti di emissioni carboniche, cioè un sistema analogo a quello già in vigore nell´Unione europea. Affinché le imprese americane non si trovino in una situazione di svantaggio competitivo rispetto alla concorrenza estera, Steven Chu ha annunciato che l´Amministrazione Obama sta esaminando una serie di ipotesi: tra queste appunto la possibilità di colpire con un "dazio verde" i prodotti in provenienza da paesi che non applicano tetti alle emissioni di CO2 per le loro imprese. Si tratta in particolare delle potenze emergenti quali Cina e India. La Repubblica Popolare aderì a suo tempo al Trattato di Kyoto per la lotta al cambiamento climatico, ma avvantaggiandosi di una clausola prevista per i paesi emergenti che la esenta dal fissare limiti alle emissioni carboniche.La reazione di Pechino è stata una dura condanna. Xie Zhenhua, capo del comitato governativo sul cambiamento climatico, ha dichiarato: «Ci opponiamo all´uso della questione ambientale come un pretesto per praticare il protezionismo. La lotta al cambiamento climatico è una cosa e la Cina sta facendo la sua parte; introdurre dazi sulle importazioni è un´altra cosa, sono questioni ben separate che vanno affrontate in ambiti diversi». La Repubblica Popolare si sente nel mirino sia per l´alto attivo commerciale verso gli Stati Uniti, sia perché dall´anno scorso ha superato gli Usa per il volume di emissioni carboniche rilasciate nell´atmosfera. Tuttavia il governo di Pechino sottolinea che il balzo cinese nelle emissioni di CO2 è solo recente mentre il cambiamento climatico è stato provocato da decenni di inquinamento nei paesi di vecchia industrializzazione. Inoltre i leader cinesi accusano le multinazionali occidentali di avere delocalizzato le produzioni più inquinanti nei paesi emergenti.Lo scontro tra Pechino e Washington conferma che si è aperto un nuovo fronte nella marea montante del protezionismo, questa volta all´insegna delle politiche ambientali. L´Amministrazione Obama deve affrontare in casa propria le resistenze di una parte del mondo industriale. In piena recessione molte imprese americane lamentano che l´introduzione dei tetti alle emissioni di CO2 e di un mercato per i permessi sul modello europeo non farà che appesantire i costi di produzione e aggravare le difficoltà del tessuto produttivo. Di qui la tentazione di offrire in contropartita una protezione contro la concorrenza cinese. Un gesto analogo � e già entrato in vigore � ha infiammato nei giorni scorsi le relazioni tra Stati Uniti e Messico. Cedendo a un´antica richiesta del potente sindacato dei camionisti Teamsters, nonché di associazioni ambientaliste come il Sierra Club, l´Amministrazione Obama ha sospeso la libertà di accesso ai Tir messicani finché non rispettano le normative ambientali e di sicurezza degli Stati Uniti. La libera circolazione dei Tir in tutto lo spazio nordamericano era stata prevista dal trattato di libero scambio Nafta, firmato da Bill Clinton. (da Repubblica)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

"Ancora tre gradi di temperatura e la calotta antartica collasserà"

Che cosa succederà se le temperature medie del nostro pianeta dovessero aumentare di tre gradi entro la fine di questo secolo, come temuto da molti climatologi alla luce del galoppante aumento delle concentrazioni di gas serra? Questa volta la risposta arriva dalla ricostruzione di eventi del passato, piuttosto che da modelli matematici che dipingono incerti scenari futuri. Succederà che una consistente porzione della calotta glaciale antartica collasserà, inondando di acque gli oceani della Terra. La conferma che è sufficiente un aumento delle temperature apparentemente piccolo, per provocare conseguenze enormi è contenuta in un articolo apparso sull’ultimo numero di Nature a firma di un numeroso gruppo internazionale di geologi del progetto Andrill (ANtarctic geological DRILLing), fra i quali tre italiani dell’Istituto nazionale di geofisica vulcanologia (Ingv): Fabio Florindo (coordinatore del progetto), Massimo Pompilio e Leonardo Sagnotti. La ricerca, partita dall’analisi di sedimenti prelevati al di sotto della piattaforma di ghiaccio galleggiante del mare di Ross (Ross Ice Shelf), è approdata a fondamentali scoperte sull'evoluzione della calotta occidentale dell'Antartide (West Antarctic Ice Sheet) in un intervallo di tempo che va da 5 a 3 milioni di anni fa, quanto la temperatura media del nostro pianeta ed il contenuto di CO2 in atmosfera erano più alte delle condizioni attuali.
ASSE TERRESTRE - Per la prima volta è stata acquisita la certezza che la calotta polare antartica è estremamente dinamica, molto sensibile a piccole variazioni di temperatura e che, sui lunghi periodi del passato, queste fluttuazioni sono correlabili a cicliche variazioni dell'inclinazione dell'asse terrestre. «In coincidenza dei periodi relativamente più caldi, con temperature più elevate di 3 gradi rispetto a oggi, la calotta polare occidentale è periodicamente collassata –spiega il dottor Fabio Florindo dell’Ingv- . Nella regione del Mare di Ross, la piattaforma di ghiaccio galleggiante, oggi estesa come la Francia, e' andata progressivamente ritirandosi fino a dare spazio a condizioni di mare aperto. I dati raccolti da questa ricerca sono estremamente importanti per avere un’idea di quello che potrebbe accadere nei prossimi decenni in conseguenza dell’aumento incontrollato delle emissioni di gas serra in atmosfera». (Da corriere.it)

giovedì 19 marzo 2009

I cambiamenti climatici su Rai Tre

Il programma Media (ore 1,10 - Rai tre), a cura di Rai Educational, sarà dedicato oggi alla voce dei popoli. I cambiamenti climatici saranno raccontati direttamente dai testimoni del clima, un viaggio con la partecipazione del Wwf dove gli effetti del clima che cambia hanno iniziato a modificare gli scenari quotidiani. Artico e Antartico sono i luoghi dove gli effetti del cambiamento sono più evidenti.

«Nucleare e carbone? Indispensabili». Nessun alibi sull'effetto serra

Guai a illudersi. Le fonti fossili, petrolio e gas, manterranno per decenni l'assoluta supremazia nell'energia di cui avrà bisogno il nostro pianeta. Le riserve non mancano. Servono però massicci investimenti per liberare le nuove tecnologie di estrazione, e nuovi patti tra Paesi produttori e consumatori per conciliare i reciproci interessi. Ma nel frattempo l'effetto serra rischia di provocare conseguenze irreversibili. Ecco allora l'analisi e i suggerimenti degli esperti che hanno preparato l'ultimo World Energy Outlook, che sarà presentato oggi a Roma in un convegno promosso dalla sezione italiana del Consiglio mondiale per l'energia.L'analisi ci dice che i trend della domanda e dell'offerta di energia sono insostenibili per l'ambiente, per l'economia e per i difficili equilibri sociali del pianeta. «Ma questo scenario può essere cambiato. La rotta si può modificare». La ricetta? Un'azione su più fronti. Bisogna decarbonizzare le emissioni sequestrando il massimo possibile della CO2 emessa dalle fonti fossili. E bisogna accelerare, anche con incentivi pubblici, il ricorso combinato all'energia nucleare e alle nuove tecnologie capaci di rendere convenienti e diffuse le rinnovabili.Fatih Birol, nato 51 anni fa ad Ankara, è chief economist dell'Agenzia internazionale dell'energia, l'artefice dell'Outlook. Ce ne anticipa i contenuti lanciando un ammonimento: ai trend attuali le emissioni di anidride carbonica causeranno nei prossimi decenni un rialzo della temperatura media del pianeta di 6 gradi. Ben oltre i 2 gradi considerati il tetto massimo sopportabile, corrispondente a una saturazione di 450 parti per milione di CO2 nell'atmosfera, rispetto alle 380 ppm che già abbiamo disgraziatamente superato.È la premessa per la catastrofe planetaria?È evidente che il quadro attuale è insostenibile. La nostra agenzia non elabora direttamente le previsioni sulle conseguenze climatiche, ma tutti i report più autorevoli confermano che basterebbe un aumento di circa 4 gradi per avere gravi conseguenze nel lungo termine su eco-sistemi, acqua, inondazioni e salute umana, con la possibilità di cambiamenti bruschi quando non addirittura irreversibili. Dobbiamo agire subito.Per salvarci, da dove dobbiamo cominciare?Il settore energetico è uno dei primi da cui partire, se consideriamo che da solo è responsabile per più del 75% delle emissioni di CO2 mondiali. Abbiamo al massimo due decenni di tempo per invertire la rotta. E nessun alibi: molte tecnologie a basso contenuto di carbonio sono già disponibili. Devono essere diffuse. Penso ai margini per incrementare l'efficienza energetica nel settore automobilistico, nell'edilizia, nelle apparecchiature elettriche. Penso al potenziale, enorme anche oggi, per la produzione di elettricità con le rinnovabili. E guai a non sviluppare le tecnologie chiave per il futuro delle fonti fossili, dalla nuova generazione di veicoli e di carburanti alla cattura e stoccaggio della CO2.La crisi economica mondiale da una parte frena i consumi, dall'altra frena gli investimenti sulle fonti pulite. C'è chi sostiene che la crisi potrebbe essere un'opportunità per cambiare in meglio le regole del gioco.Che ne pensa?Abbiamo bisogno di una vera rivoluzione energetica. La riduzione delle emissioni nel breve periodo è una magra consolazione se gli investimenti che potrebbero portare a un futuro sostenibile sono rimandati o cancellati, o se il progresso tecnologico viene rallentato a causa della riduzione della spesa in ricerca. È importante che i governi diano slancio a questa azione, con misure di stimolo definite. Sull'efficienza,sulle rinnovabili ma anche, lo ripeto, sul migliore sfruttamnento delle fonti fossili. Anche il nucleare dovrà avere un ruolo importante.L'ultimo Outlook auspica un patto tra Paesi produttori di petrolio di gas e Paesi consumatori per un maggiore sfruttamento dei giacimenti, e suggerisce strumenti alternativi per differenziare le fonti e contenere le emissioni. Non c'è una contraddizione tra i due richiami?No. Da un lato è evidente che per ottenere un quadro energetico più sostenibile, rispettando il limite delle 450 parti per milione, è necessario perseguire tutte le opzioni per abbattere la CO2. Nello scenario che disegnamo per rispettare tale limite, dopo il 2020 tutti ma proprio tutti gli investimenti nel settore elettrico devono essere orientati a nuove centrali elettriche a zero contenuto di carbonio. Una sfida di portata storica. D'altro lato, però, anche in questo scenario il petrolio e il gas continueranno ad avere un ruolo molto importante per soddisfare la domanda mondiale di energia, specialmente nel settore dei trasporti. Per questo è fondamentale che le forniture di petrolio e gas avvengano in maniera sicura ed efficiente.Come giudica il sistema di vincoli e negoziazioni dei diritti di emissione introdotto con il protocollo di Kyoto?Un sistema di questo genere deve far parte delle misure di risposta, almeno per quan-to riguarda i Paesi industrializzati, anche perché offre la possibilità di un commercio delle emissioni capace di finanziare gli investimenti. D'altronde,in vista dell'appuntamento di Copenhagen di fine anno, durante il quale si terranno le negoziazioni per il cambiamento climatico, è chiaro che per garantire risultati tangibili le azioni devono essere concordate a livello mondiale. (Dal Sole 24 Ore)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che Eni, su iniziativa del suo amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

mercoledì 18 marzo 2009

Centrali a biomasse? Non nel mio cortile

"Le centrali a biomasse sono tra gli impianti più innocui sulla Terra. Per produrre elettricità bruciano pezzi di alberi a crescita rapida, come i pioppi, e scarti di potature: tutta roba pulita e rinnovabile. Per i contadini sarebbero un affare, perché trasformano in guadagno il costo dello smaltimento dei residui. Anche per gli abitanti dei comuni interessati potrebbero essere un’opportunità, visto che significano posti di lavoro e spesso sconti sulla bolletta della luce. Eppure, in Italia perfino le piccole e inoffensive centrali a legna sono combattute come il diavolo. Da Atena Lucana, in provincia di Salerno, a Zinasco, nel Pavese, sono 52 gli impianti elettrici di quel tipo contestati. È un fenomeno nuovo e sconcertante perché le centrali a biomasse, così come le altre a energia rinnovabile (idroelettriche, solari, geotermiche ed eoliche), fino a non molto tempo fa erano considerate virtuose e non solo accettabili ma addirittura richieste, quindi fornite di uno speciale lasciapassare ecologistico, una specie di bollino verde.
Da qualche tempo, invece, gruppi di talebani della «difesa del territorio», spesso minuscoli ma bellicosi, hanno cominciato a trattare da nemiche perfino le energie rinnovabili. Riuscendo a bloccarle, spesso trovando alleati tra politici e amministratori locali, sovente agendo anche a dispetto di questi ultimi, oltre che contro gli ambientalisti più ragionevoli e la maggioranza della popolazione, in genere estranea alle proteste o proprio contraria. Il cambiamento di approccio è stato colto e censito dal Nimby Forum (”Not in my backyard” significa: non nel mio cortile), organizzazione che da anni tiene sotto osservazione il delicato rapporto tra le comunità da una parte e dall’altra le istituzioni, le aziende e gli enti che promuovono la costruzione delle infrastrutture. Nel rapporto 2008, che viene presentato ufficialmente giovedì 12 marzo e che Panorama ha letto in anteprima, il Nimby Forum ha individuato 67 impianti a energie rinnovabili contestati in Italia, un grosso numero. E una tendenza preoccupante, proprio nel momento in cui si torna a parlare di energia atomica: “L’Italia si avvia verso il più grande caso Nimby mai osservato, quello sul nucleare” prevede Alessandro Beulcke, presidente del Forum. (Da panorama)