venerdì 31 ottobre 2008

L'ecatombe dei fiori di Henry

Tra letteratura e scienza - Una ricerca pubblicata su Pnas lancia l'allarme, dice Il Sole 24 Ore : in soli 150 anni il 27% delle piante erbacee si è estinto e un altro 35% è ad alto rischio

Sono passati 150 anni da quando lo scrittore Henry David Thoreau passeggiava nella campagna del Massachu-setts, lungo il fiume Concord. Oggi però i prati fioriti che hanno ispirato lo scrittore americano non sono più quelli di un tempo: un terzo delle specie di fiori si sono estinti, mentre quasi un quarto delle altre piante erbacee sono a rischio di estinzione. Questo è il risultato di una ricerca condotta da un team di botanici delle Università di Harvard e Boston nei territori prediletti di Thoreau. Secondo loro il colpevole di questa ecatombe è ancora lui: il cambiamento climatico.Thoreau (1817-1862) è originario di Concord, una regione di laghi e colline boscose nel Massachusetts. Tra il 1845 e il 1847 lo scrittore passò due anni in isolamento sulle sponde del lago Walden. Voleva dimostrare come l'uomo moderno potesse sopravvivere con mezzi semplici a contatto con la natura. In seguito Thoreau pubblicò un saggio che è diventato un riferimento per generazioni di ecologisti: "Walden, ovvero vita nei boschi". L'opera celebra infatti l'abbandono dei beni materiali e un intimo contatto con la natura.Per i biologi però Thoreau era più di uno scrittore. Era anche uno scienziato. Thoreau aveva infatti studiato scienze all'Università di Harvard e durante le sue escursioni tra i campi fioriti intorno a Walden aveva iniziato un importante inventario di botanica. L'inventario è stato poi aggiornato in epoche successive, fino a ora. Forse però Thoreau non si sarebbe immaginato che in un secolo e mezzo il 27% delle specie di fiori si sarebbero estinte, mentre il 36% di piante erbacee sono a un passo dall'estinzione. Questo è il risultato di una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica «Proceedings of the National Academy of Science» (Pnas) da un team di biologi guidati da Charles Davis dell'Università di Harvard.Davis presenta i risultati di uno studio condotto su 473 specie di fiori. «Walden è molto cambiata in 150 anni – dice il biologo –. Ma il 60% della regione è sotto tutela e si è mantenuta integra ». E quindi, secondo il team, la causa della scomparsa di queste specie non è l'urbanizzazione ma il cambiamento climatico. A Concord la temperatura media annua è aumentata di ben 2,4ÚC in unsecolo, e la fioritura è anticipata di almeno una settimana dai tempi di Thoreau. Questo spiegherebbe l'estinzione di molte specie erbacee. Secondo Davis, infatti, le piante che hanno adattato la loro fioritura a un anticipo di stagione stanno avendo la meglio rispetto a quelle che non sono in grado di tenere il passo con il rapido riscaldamento del clima. Tra le prime vittime ci sono le orchidee e le campanule.Secondo Davis un nodo del problema sarebbe l'interazione tra piante e insetti impollinatori. Davis spiega infatti che una delle cause principali dell'estinzione di queste piante potrebbe essere la mancanza di insetti che diffondono il polline. Insetti che oggi hanno anticipato la loro attività rispetto a 150 anni fa, e che quindi favoriscono le piante che fioriscono prima. Qualcosa sta cambiando, dunque, nel regno vegetale. Gli studi sul cambiamento climatico e la diffusione globale dei vegetali si moltiplicano di anno in anno, dice Davis. Una di queste per esempio, è stata pubblicata in estate sulla rivista «Science», e mostrava che nelle Alpi diverse specie erbose sono risalite lungo i pendii alla velocità strepitosa (per delle piante) di 30 metri per decade. Mentre, spiega Davis, altri studi mostrano il movimento di specie temperate verso le regioni artiche.Triste destino, dunque, per quei fiori che continuano la loro maturazione con la stessa scadenza che avevano ai tempi di Thoreau. E chissà se il grande scrittoreecologista americano sarebbe ancora oggi ispirato dai boschi di Concord, come lo fu un secolo e mezzo fa.

Clima: Financial Times, 'Berlusconi gioca con politica'

Berlusconi 'gioca con la politica, mentre il pianeta si scalda'. Duro affondo del Financial Times sulla linea italiana in materia d'ambiente. Al nostro paese, secondo il quotidiano inglese, potrebbe essere assegnata la maglia nera nella lotta all'effetto serra, scatenata dall'Unione Europea. Dallo scorso anno, quando il nostro paese era in prima linea nel sottoscrivere l'ambizioso piano del '20-20-20', e' cambiato tutto. Mentre al Ministero dell'Ambiente c'era allora un Verde come Pecoraro Scanio, scrive il quotidiano, l'attuale governo italiano e' legato a filo doppio con le lobby industriali. (Agr)

giovedì 30 ottobre 2008

S.o.s per la Terra: consumiamo troppo

Altro che "credit crunch". Una recessione ben più grave, che non ammette possibilitá di recupero, se non si interviene immediatamente, è alle porte: quella ecologica. E la colpa non è solo dei comportamenti inetti delle istituzioni finanziarie internazionali. Se non smettiamo di consumare ai livelli insostenibili cui siamo abituati, saremo tutti sul banco degli imputati per l'impoverimento del pianeta e del benessere collettivo dell'umanitá. Allarmismo ambientalista? Proprio per niente. Lo dicono dati formulati su base scientifica pubblicati nella settima edizione del "Living Planet Report", il rapporto redatto da Wwf, Società Zoologica di Londra (Zsl) e Global Footprint Network per le Nazioni Unite. Se i consumi di risorse naturali continueranno al ritmo attuale entro il 2030 avremmo bisogno, per mantenere i medesimi stili di vita, di due pianeti. Non bisogna essere scienziati per sapere che di pianeta su cui campare ne abbiamo uno. Per capire la gravitá del danno che noi esseri umani arrechiamo alla terra basti pensare che nell'edizione precedente dello stesso rapporto, pubblicata due anni fa, si parlava di questa stessa prospettiva, prevista peró per il 2050. La sostenibilitá della vita sul pianeta si è dunque accorciata di vent'anni a causa dell'aumento sfrenato dei consumi negli ultimi due. In base ad un maccanismo analogo a quello che ha portato alla la crisi finanziaria globale, la domanda di "capitale naturale" mondiale che soddisfa le attivitá della popolazione mondiale, supera attualmente di circa un terzo la capacitá del pianeta terra di rispondere allo sfruttamento cui è sottoposto. Insomma siamo in debito ecologico con la madre terra. I danni non sono attribuibili alla totalitá della popolazione mondiale, ma ai tre quarti che vivono in paesi in cui i consumi superano, e di gran lunga, la capacità biologica nazionale. Quelli che utilizzano più risorse e producono più rifiuti di quanto il loro territorio potrebbe in teoria sostenere. E lo fanno spalmando idealmente tale eccesso di consumi sul resto della superficie planetaria. Secondo questo schema, paesi come Malawi e Afghanistan, risultano innocenti per i danni e la depauperazione delle risorse del pianeta. Mentre Stati Uniti e Cina sono i primi predatori, in quanto lasciano sul pianeta il maggior numero di "impronte ecologiche nazionali". L'impronta ecologica di ogni paese si ottiene facendo la somma del loro utilizzo delle capacità produttive dei sistemi naturali. Si tratta della domanda dell'umanità sulle risorse naturali a disposizione sul pianeta. L'impronta ecologica complessiva globale è attualmente pari a 2.7 ettari pro-capite. Ma la biocapacità mondiale, ovvero l'area necessaria a produrre le risorse e ad assorbire la quota di emissioni di gas serra è di circa 2.1 ettari pro-capite. Questo significa che esiste un deficit di 0,6 ettari a persona. Siamo debitori del pianeta, alla stegua dei debitori delle banche che si riappropriano delle case per le quali non si riesce più a pagare il mutuo. Solo che in questo caso non ci guadagna nessuno. Diamo un'occhiata alla classifica delle impronte ecologiche. In pole position, senza meraviglia, troviamo gli Stati Uniti, con un'impronta ecologica1,8 volte superiore alla biocapacità nazionale, seguiti dalla Cina, 2,3. Al terzo posto c'è l'India, 2,2. Nei valori pro-capite tuttavia gli statunitensi battono tutti gli altri di molte lunghezze con un bel 9.4. Questo significa che si comportano come se avessero a disposizione quattro pianeti invece di uno. Per quando riguarda il Regno Unito, al quindicesimo posto nella classifica mondiale delle impronte, ci vorrebbero 5,3 ettari di territorio a persona per assorbire tutta la spazzatura prodotta e ottenere tutte le risorse di cui i cittadini britannici hanno bisogno. Questo ammonta a più del doppio dei due ettari a testa disponibili per la popolazione mondiale. Nelle isole britanniche si consume consuma quanto in trentatrè paesi africani messi insieme. Nella classifica dei paesi con la maggiore impronta ecologica l'Italia è al ventiquattresimo posto.Le cifre presentate dal rapporto sono arrotondate per difetto. Nel senso che non tengono conto del rischio di un'accelerazione dei cambiamenti climatici, possibile secondo alcuni pareri scientifici. Oltre alla classifica dei predatori delle risorse del pianeta, il "Living Planet Report", i cui dati sono stati rilevati tre anni fa, ci mette davanti a dati che illustrano la tragedia della scomparsa, per mano nostra, di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci. Dal 1970 al 2005, la biodiversità sul pianeta è diminuita del 30%. Nelle aree tropicali il crollo è addirittura del 50%. Milleseicentoottantasei specie di animali vertebrati non esistono più. Gran parte di questa irreversibile perdita è da attribuire alla deforestazione e alle modifiche nell'uso del territorio. Nel conto, oltre ai cambiamenti climatici, vanno annoverati la costruzione di dighe e la deviazione dei corsi d'acqua. (Da Liberazione)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Auto, piano Ue da 40 miliardi

Aprire uno sportello Bei di crediti a tasso agevolato dal valore di 40 miliardi di euro per lo sviluppo di tecnologie meno inquinanti e sollecitare gli Stati europei a piani nazionali di incentivi per la rottamazione, che permettano il ritiro dal mercato dei veicoli più inquinanti.Sono questi i due perni della strategia che si sta predisponendo a livelloeuropeo con un doppio obiettivo: sostenere il settore dell'auto in un un momento congiunturale difficile e cercare di alleggerire il costo del contributo che il comparto dovrà dare alla lotta al cambiamento climatico. (dal Sole 24 Orte)

mercoledì 29 ottobre 2008

Farmers Market, riscopriamo gusti e tradizioni

Dal sito yeslife.it

In piena crisi economica in atto, con i costi di trasporto che non accennano a scendere, e con l’incessante speculazione dei distributori, si aprono nuovi scenari per chi in Italia vuole fare una spesa responsabile, spendendo poco: la novità si chiama Farmer Market, e consiste nella “spesa dal contadino” a Km 0. Quella dei farmers market è una tendenza già affermata all’estero, in particolare in Gran Bretagna e Stati Uniti, e in forte espansione in Italia: un numero sempre maggiore di consumatori italiani si sta rendendo conto dell’importanza e della differenza dell’acquistare i prodotti nazionali, meglio ancora se regionali. Il successo dei mercati degli agricoltori è dovuto soprattutto al prezzo più ridotto, quando la filiera è corta, perché senza intermediari che fanno alzare il prezzo per via dei vari passaggi e dei costi di trasporto. Dario Gelo, agronomo, ci spiega cosa ha reso possibile questo boom dei mercati del contadino: “dal 1 gennaio 2008, quando il Ministro dell’Agricoltura del governo Prodi ha regolamentato tutte le attività sia dal punto di vista temporale sia dal punto di vista dei fondi, gli enti locali hanno finalmente potuto guardare con interesse a questa nuova realtà. Adesso infatti i comuni si stanno attrezzando per istituire i farmers market, consapevoli che numerosi cittadini che faticano economicamente ad arrivare a fine mese si rivolgeranno sempre più spesso ai mercati dei contadini i quali, grazie alla filiera corta, permettono un grosso risparmio. Quello che spinge il consumatore a scegliere il farmers market – prosegue il Dottor Gelo - sono innanzitutto i prezzi più bassi rispetto a quelli praticati dalla grande distribuzione, poi la possibilità di verificare la qualità e la genuinità grazie al contatto diretto con il produttore, al quale si possono chiedere informazioni relative al prodotto. L’etica del consumo responsabile come parametro per effettuare la scelta dei farmers market rispetto alla grande distribuzione viene sicuramente dopo la motivazione economica; solitamente sceglie in base all’etica del consumo responsabile chi non ha problemi economici”. Il settore è quindi in espansione e si sta sviluppando in tutte le principali città italiane: solamente negli ultimi sei mesi ha visto nascere ben 80 mercati del contadini lungo tutta la penisola. Di prossima apertura saranno i farmers market di Lecce e Milano mentre, al momento, le regioni più rappresentative di questa nuova realtà sono la Lombardia, l’Emilia Romagna, la Toscana e il Veneto. Ma quali sono i motivi per cui scegliere i farmers market? 1) scegliere i farmers market significa dare la priorità ai piccoli produttori accorciando la filiera e avendo la possibilità di un incontro diretto con il produttore 2) i farmers market sono spesso un luogo di convivialità, dove all’alienazione del fare la spesa nei grandi supermercati o centri commerciali si sostituisce la socialità e il piacere di discutere e confrontarsi. 3) le tecniche utilizzate per la coltivazione dei prodotti sono biologiche, e il produttore potrà spiegarvene ogni singolo passaggio 4) nei farmers market rispettiamo le stagionalità, avendo a disposizione prodotti sempre di ottima qualità e molto più gustosi. Insomma... i pomodori a dicembre saranno anche intriganti, ma che sapore hanno?!?

Uk, energia eolica dai fiumi

Da Finanza & Mercati

I fiumi britannici diventeranno presto aree di produzione per energia rinnovabile. L’ente pubblico British Waterways, che dal 1962 gestisce le tratte navigabili nell’entroterra, ha in programma infatti di sfruttare i canali e le sedi fluviali di tutto il Paese, secondo un piano di generazione energetica distribuito in maniera omogenea sul territorio. Il progetto prevede l’installazione di 50 turbine eoliche lungo i corsi d’acqua del Regno Unito e di un numero non ancora stabilito di impianti idroelettrici in piccola scala, costruiti nei prossimi cinque anni. Una volta realizzato, il sistema garantirà una capacità complessiva di oltre 100 Mw, sufficienti a coprire il fabbisogno di circa 45.000 abitazioni. Grazie a questa iniziativa si eviterà l’immissione in atmosfera di ben 100.000 tonnellate di anidride carbonica e i proventi dell’energia distribuita dall’ente saranno reinvestiti in operazioni di tutela e mantenimento dei corsi d’acqua. Secondo Robin Evans, chief executive della British Waterways, «questo è un vero e proprio esempio di come un organismo pubblico possa utilizzare la sua terra in modi innovativi per la generazione di reddito supplementare e lavorare verso un futuro più sostenibile. Noi ci occupiamo di 2.200 miglia di corsi d’acqua in tutto il Regno Unito e, mentre tuteliamo il loro patrimonio, stiamo cercando in modo proattivo di utilizzare questa risorsa per dare un contributo alla lotta contro il cambiamento climatico». Il progetto è stato messo a punto con la collaborazione di Partnership for Renewables, una compagnia istituita nel 2006 da Carbon Trust (l’organizzazione fondata dal governo britannico per la riduzione delle emissioni di Co2). I costi di sviluppo saranno coperti proprio da questa società, che metterà a disposizione i propri esperti per assicurare una scelta ottimale dei siti di installazione. «Quando la Partnership for Renewables è stata istituita - afferma il suo amministratore delegato Stephen Ainger - era assodato che il settore pubblico possedesse più del 10% del territorio del Regno Unito, ma che avesse concrete difficoltà a tradurre questa risorsa in termini di produzione di energie rinnovabili. Noi crediamo che questo annuncio segni l'inizio di una tendenza nel settore pubblico a considerare le potenzialità della generazione di energie rinnovabili ed è importante constatare che British Waterways vuole diventare un esempio per altri che seguiranno».

martedì 28 ottobre 2008

Anno 2100, sette metri e mezzo sotto i mari

Giunge da Potsdam (Germania) una nuova stima sul futuro innalzamento del livello delle acque terrestri, condotto dall’Istituto per la Ricerca sull’Impatto Climatico (Pik). I dati sino ad ora pubblicati nel rapporto del Panel Intergovernativo sul Mutamento Climatico (Ipcc) delle Nazioni Unite - presentato nel febbraio 2007 - sono inesatti, poiché non tengono minimamente conto di alcune variabili sino ad ora sottovalutate - rivelano i ricercatori tedeschi. “Dovremmo prepararci per un innalzamento dei livelli dei mari di un metro durante questo secolo” ha chiarito alla stampa internazionale il direttore del Pik, c; il centro di ricerche ha difatti rilevato un raddoppiamento e addirittura un triplicamento del tasso di scioglimento dei ghiacciai himalayani e della calotta della Groenlandia. Due terzi dei ghiacciai dell’Himalaya, secondo questo studio, hanno subito e stanno subendo pesantemente gli effetti del riscaldamento globale, fenomeno aggravato dalla “nube marrone” che avvolge l’Asia Orientale. Questa nuova, terribile minaccia consiste in una nuvola tossica composta da inquinanti spesso incombusti che provocano - mediante il deposito di particelle carboniose sui ghiacciai - un’innaturale deficienza di riflessione, che induce un assorbimento maggiore dei raggi solari con conseguente rapidità di scioglimento delle riserve acquifere gelate custodite sulla più grande e imponente catena montuosa del pianeta.La liquefazione di questi antichissimi ghiacciai innescherà un effetto a catena che andrà ad alimentare la portata di grandi fiumi asiatici come Gange, Brahmaputra, Indo, Salween e Mekong, sulle cui rive vive oltre un miliardo di persone. L’Ipcc non ha tenuto conto di queste emissioni di gas a effetto serra provocate del grande sviluppo dell’economia cinese, prevedendo – erroneamente - un innalzamento del livello dei mari solo tra i 18 e i 59 centimetri entro il 2100. Schellnhuber avverte, inoltre, che limitare le emissioni in metropoli come Pechino per cercare di pulirne l’aria, paradossalmente, potrebbe aumentare le temperature globali invece di ridurle, a causa del calo del volume di particelle ’sporche’ nell’aria, che contribuiscono a proteggere la Terra dal Sole. L’Istituto d’economia mondiale rileva, in aggiunta, un aumento del 3,5% annuo – triplicato nell’ultimo ventennio - del tasso di emissione di Co2, principale responsabile del surriscaldamento globale, causato dal boom economico, come si è detto, di paesi emergenti quali Cina e India. “Nonostante sia sempre difficile fornire cifre certe da queste stime, continuano a uscire numeri importanti che rafforzano la serietà del problema al di là del numero preciso” - chiarisce il direttore del Centro Euro-Mediterraneo per i cambiamenti climatici, Antonio Navarra. “Nel caso tutta la calotta della Groenlandia si sciogliesse - ha aggiunto il portavoce dell’Istituto di Potsdam - l’innalzamento dei mari, è stato calcolato, sarebbe di 7,5 metri”.Gli scienziati del Pik ritengono, infine, che l’uomo abbia, allo stato attuale, solo il 50% di probabilità di limitare a soli 2°C l’aumento globale delle temperature prima del 2100; questo - a patto che i piani messi sul tavolo dai Paesi del G8 per ridurre le emissioni di gas serra vengano realizzati - risparmierebbe alla Terra seri danni. (Da L'Opinione)

L’incubo clima

Il surriscaldamento globale e il cambiamento climatico sono diventati una spina nel fianco per gli europei: tre quarti della popolazione del Vecchio continente, infatti, lo considera come un problema molto serio. Questo è quanto emerge dalle ricerche condotte da Tns Infratest Political&Social per Eurobarometro. Secondo solo alla mancanza di beni alimentari, di acqua e più in generale alla povertà, il clima viene percepito come un problema fondamentale insieme al terrorismo, alla minaccia di conflitti armati e al riarmo nucleare. Hanno dimostrato maggior sensibilità rispetto a questa tematica gli uomini, le generazioni più giovani e tutti coloro che hanno un livello di istruzione più alto. (Da Affari & Finanza)

lunedì 27 ottobre 2008

Il ministero dell'Ambiente nel 2009 perderà quasi il 18% del proprio budget

Dal Sole 24 Ore

Il ministero dell'Ambiente nel 2009 perderà quasi il 18% del proprio budget: da 1,5 miliardi passerà, infatti, a 1,2. Il dicastero, insomma, dovrà funzionare con 276 milioni in meno: uno dei tagli più consistenti. Colpite soprattutto le risorse della tutela della fauna e della flora e quelle riservate allo sviluppo sostenibile.Da 1,5 a 1,2 miliardi: per il 2009 il bilancio del ministero dell'Ambiente dovrà fare a meno di 276 milioni, 250 frutto del taglio secco operato dalla manovra estiva (Dl 112) e 26 conseguenza degli accantonamenti previsti dalla Finanziaria per il 2007 e ora trasformati in riduzioni di spesa. Il budget del ministro Stefania Prestigiacomo si assottiglia, pertanto, di quasi il 18%, uno dei tagli più consistenti.Il capitolo più colpito è quello dello sviluppo sostenibile e della tutela, che dispone delle maggiori risorse: nel 2009 lascerà sul terreno 255 milioni, passando da quasi 1,4 miliardi di dotazione a 1,1. Il ridimensionamento, però, diventa ancora più drastico se si considerano gli effetti delle rimodulazioni volute dall'articolo 60,comma 3,della manovra estiva e se si tiene conto delle conseguenze prodotte dalle ultime normative: il taglio, infatti, arriva a 271 milioni.All'interno di tale capitolo,a soffrire delle riduzioni sono, in particolare, gli interventi per la tutela e la conservazione della fauna e della flora e la salvaguardia della biodiversità, che perde 37 milioni. Le rimodulazioni, poi, rendono ancora più pesante la cura dimagrante per le risorse destinate alla gestione delle aree marine protette, che devono rinunciare a ulteriori 2,4 milioni.E per rimanere in tema di aree protette (ma questa volta quelle naturali), anche gli interventi di demolizione di opere abusive in tali realtà dovranno essere riconsiderati, perché perdono 2,1 milioni. Quei soldi hanno, però, rimpinguato le risorse riservate all'acquisto di mezzi navali e aerei da utilizzare nella difesa dell'ambiente:il budget del settore, infatti, aumenta di 3,3 milioni (da 27 a 30), ma nel 2010 e 2011 crescerà ancora, rispettivamente di 4,2 e 3,2 milioni.Altro capitolo ridimensionatoè quello dello sviluppo sostenibile, costretto a farea meno di 30 milioni. Ma il taglio diventa ancora più rilevante per le spese relative alle convenzioni sui cambiamenti climatici: l'effetto delle rimodulazioni toglie, infatti, al settore4 milioni.Saranno meno anche i soldi per la ricerca e l'innovazione,che perdono 8,4 milioni

Ambiente, l'allarmismo non paga

Bjorn Lomborg, FONDATORE DEL COPENHAGEN CONSENSUS

A vete notato che i militanti ambientalisti quasi immancabilmente non si limitano a dire che c'è il riscaldamento globale e che è un male, ma anche che quello a cui stiamo assistendo è perfino peggio di quanto ci aspettassimo?È strano, perché qualunque approccio sensato ai procedimenti scientifici indurrebbe a pensare che, man mano che affiniamo le nostre conoscenze, scopriamo che le cose a volte vanno peggio e a volte meglio di quello che ci aspettavamo, con una distribuzione fra cattive e buone notizie che verosimilmente dovrebbe essere di 50 e 50. Per i militanti ambientalisti, invece, è quasi immancabilmente di 100 a 0.Se le sorprese sono regolarmente nella stessa direzione, se i nostri modelli vengono smentiti da una realtà che va peggiorando sempre più, vuol dire che il nostro approccio scientifico non è granché solido. Si potrebbe dire che se i modelli si sbagliano costantemente, probabilmente la ragione è che sono sbagliati. E se non possiamo fidarci dei nostri modelli, non possiamo sapere quali provvedimenti assumere per cambiare le cose.Ma se fatti nuovi ci dimostrano costantemente che le conseguenze dei cambiamenti climatici si stanno aggravando sempre di più, forse le nobili argomentazioni sul metodo scientifico non sono tanto convincenti. Sembra che questa sia la scommessa imperante nel vortice del riscaldamento globale: è sempre peggio di quello che pensavamo e quindi i nostri modelli si sono rivelati inadeguati, ma nonostante questo scommettiamo di sapere che cosa bisogna fare: tagliare drasticamente le emissioni di anidride carbonica (CO2).Ma che i dati sul clima siano sistematicamente peggiori di quanto previsto è semplicemente falso; in molti casi rispettano le previsioni o addirittura sono migliori del previsto. Il fatto che si senta dire il contrario è una dimostrazione del fatto che i media sono sempre a caccia della notizia allarmante, ma una politica intelligente non può basarsi su questo.Il punto più ovvio riguardo al riscaldamento globale è che il Pianeta si sta riscaldando. Nell'ultimo secolo si è riscaldato di circa un grado centigrado e l'Ipcc,il gruppo diesperti sul clima delle Nazioni Unite, prevede che si riscalderà ulteriormente in questo secolo per un livello compreso tra 1,6 e 3,8 gradi, per colpa principalmente dell'aumento della CO2. Facendo la media di tutte le 38 elaborazioni standard messe a disposizione dall'Ipcc emerge che i modelli prevedono un incremento della temperatura per questo decennio di circa 0,2 gradi.Ma non è quello che si è verificato. E ciò vale per tutte le misurazioni della temperatura sulla superficie terrestre, e ancora di più per le misurazioni effettuate dal satellite. In questo decennio, le temperature non sono aumentate più del previsto: anzi, non sono aumentate affatto. In realtà sono diminuite tra 0,01 e 0,1 gradi per decennio. Nel caso di quello che è l'indicatore più importante del riscaldamento globale, cioè l'evoluzione delle temperature, dovremmo sentirci dire in realtà che i dati sono molto meglio del previsto.Un caso analogo, e direi molto più importante, è quello dell'entalpia (il calore totale) degli oceani negli ultimi quattro anni, che, laddove si dispone di misurazioni, risulta diminuita. Premesso che l'energia prodotta dalla temperatura può scomparire con relativa facilità attraverso l'atmosfera, non è chiaro dove sarebbe dovuto finire il calore del riscaldamento globale: e sicuramente anche questo è un dato migliore del previsto.Sentiamo continuamente dire che il Mar Glaciale Artico sta scomparendo più in fretta del previsto, e questo è vero. Ma gli scienziati più seri dicono anche che il riscaldamento globale è solo uno dei fattori all'origine di questo fenomeno. Pesa anche la cosiddetta Oscillazione Artica, cioè le variazioni dei venti che soffiano sull'Oceano Artico, e che attualmente si trova in uno stato che non consente l'accumulo di ghiaccio vecchio, che per la maggior parte viene scaricato nell'Atlantico Settentrionale.Una cosa ancora più importante è che quasi mai sentiamo dire che il ghiaccio marino nell'Antartico non solo non diminuisce, ma l'ultimo anno è stato al di sopra della media. I modelli dell'Ipcc prevedono una diminuzione del ghiaccio marino in entrambi gli emi-sferi, ma mentre nell'emisfero boreale le cose vanno peggio del previsto, in quello australe vanno meglio.L'ironia è che l'Associated Press, insieme a molti altri organi di stampa, ci ha raccontato nel 2007 che «l'Artico grida aiuto» e che il Passaggio a Nordovest era aperto «per la prima volta nella storia conosciuta». Eppure la Bbc già nel 2000 aveva comunicato che il leggendario Passaggio a Nordovest era sgombro dai ghiacci.Siamo costantemente inondati di articoli che ci dicono che i mari si alzeranno, che è uscito un nuovo studio che ha scoperto che le cose andranno molto peggio delle previsioni dell'Ipcc. Ma la maggior parte dei modelli hanno fornito risultati compresi nel range dell'Ipcc, che pronostica un incremento del livello dei mari tra i 18 e i 59 centimetri per questo secolo. È per questo ovviamente che le migliaia di scienziati dell'Ipcc avevano lasciato quella forbice. Ma uno studio che proclama che i mari saliranno di un metro o più è una notizia più ghiotta per i media.Dal 1992, abbiamo satelliti che misurano l'innalzamento del livello dei mari e questi satelliti hanno rivelato un incremento stabile di 3,2 millimetri all'anno, esattamente in linea con la proiezione dell'Ipcc. E per di più negli ultimi due anni il livello del mare è rimasto fermo (anzi, è leggermente calato). Non dovremmo sentirci dire che le cose vanno molto meglio del previsto?Gli uragani erano l'immagine dominante del famoso film di Al Gore sui cambiamenti climatici, e indubbiamente gli Stati Uniti sono stati colpiti pesantemente nel 2004 e nel 2005, scatenando previsioni di un futuro fatto di tempeste sempre più forti e costose. Ma nei due anni trascorsi da allora, i costi sono rimasti molto al di sotto della media, praticamente a zero nel 2006. Le cose vanno decisamente meglio del previsto.Gore ha citato Kerry Emmanuel, il ricercatore del Mit esperto in uragani, a sostegno di un presunto consenso scientifico sulla tesi che il riscaldamentoglobale starebbe rendendo gli uragani molto più devastanti. Ma Emmanuel ora ha pubblicato un nuovo studio che dimostra che anche in un pianeta con un riscaldamento accentuato, la frequenza e l'intensità degli uragani potrebbe rimanere sostanzialmente invariata per i prossimi due secoli. Queste conclusioni non hanno trovato grande attenzione sui media.Naturalmente, non tutto va meglio di quello che credevamo. Ma le esagerazioni a senso unico non servono a nulla. C'è urgente bisogno di equilibrio se vogliamo fare scelte sensate. (Dal Sole 24 Ore)

venerdì 24 ottobre 2008

Etica e clima, Padova si interroga

Da Avvenire

Compie 20 anni la Fondazione Lanza di Padova, voluta dal vescovo Filippo Franceschi per aprire uno spazio di studio, riflessione e dialogo tra fede e cultura in una prospettiva etica.Per celebrare l’anniversario la scelta è ricaduta su eventi culturali di alto livello. Due in particolare gli appuntamenti che si svolgono nei prossimi giorni a Padova. L’intera giornata di oggi sarà dedicata al Primo forum nazionale di etica applicata e in serata si aprirà, con una tavola rotonda pubblica, la VI Conferenza internazionale di etica e politiche ambientali sul tema: “Etica e cambiamenti climatici. Scenari di giustizia e sostenibilità”, realizzata in collaborazione con il Centro Euro Mediterraneo per i cambiamenti climatici. L’incontro vedrà impegnati, fino al 25 ottobre, un centinaio di studiosi, ma anche amministratori e funzionari di enti locali, rappresentanti di associazioni e delle chiese europee, giornalisti e imprenditori provenienti da tutto il mondo.I due appuntamenti si aprono a tematiche di stringente e provocatoria attualità. Da un lato la dimensione etica che ormai si incrocia con molti ambiti della vita: scienza, ambiente, economia, comunicazione, educazione, come commenta Simone Morandini, coordinatore del Forum: «Quando ci si trova a scegliere tra la vita e la morte di un paziente; quando le scelte dell’economia o della finanza toccano le vite di intere popolazioni; quando il degrado ambientale mette a repentaglio la qualità dell’esistenza delle future generazioni… Che fare? Cosa e come scegliere responsabilmente, in quelle situazioni in cui vite e valori sono in gioco?». L’etica applicata cerca di dare risposte porgendo attenzione alla concretezza di situazioni «che richiedono percorsi di riflessione articolati, in cui i saperi specialistici si confrontino in orizzonti più ampi. L’indicazione di tale prospettiva apre, però, problemi altrettanto complessi: come realizzare tale confronto, chi può e deve parteciparvi, come far dialogare le diverse posizioni? Si ha l’impressione che l’etica applicata sia ancora in cerca di una propria identità definita in una società complessa e pluralista» . E su questo cerca di fare il punto il primo Forum nazionale.Il secondo appuntamento, più internazionale, si apre questa sera con la tavola rotonda “Scienza, etica e politica di fronte al mutamento climatico” al Centro San Gaetano di Padova. Si confronteranno, Antonio Autiero, Antonio Navarra, Wolfgang Sachs e Carlo Carraro. L’obiettivo della tregiorni sul mutamento climatico è di evidenziare possibili scenari di evoluzione e soluzioni, senza dimenticare la dimensione etica che richiama a principi di giustizia ed equità, specie in riferimento ai Paesi in via di sviluppo. Al termine sarà adottato un documento che proponga una mediazione eticamente significativa delle diverse posizioni in gioco nel negoziato internazionale, da presentare alla conferenza internazionale degli Stati parte alla Convenzione sul clima che si terrà in dicembre in Polonia. I cambiamenti atmosferici al centro dei tre giorni di lavori Sarà adottato un documento da presentare alla conferenza internazionale degli Stati fissata a dicembre in Polonia

Scontro sui gas serra in Lombardia

La regione al primo posto tra chi ha superato i livelli previsti dall'accordo di Kyoto, spiega il Corriere della Sera

Lo chiede l'Europa e lo impone il protocollo di Kyoto. Ridurre l'emissione dei gas serra. L'impegno è per gli Stati e per le Regioni. Quegli stessi gas invece, in Lombardia, sono aumentati del 20 per cento rispetto al 1990. E non si riesce a invertire la crescita. È la denuncia dei Verdi e di Legambiente. Per capire cosa produce la forte emissione di anidride carbonica, si possono elencare alcune conseguenze sul clima: la temperatura media è aumentata di 1,4 gradi negli ultimi 50 anni; quello appena trascorso è stato il decennio più torrido degli ultimi due secoli; in una sola settimana, sia nel 2000 sia nel 2002, è caduta metà della pioggia che in media si riversa su Milano in un intero anno.I consiglieri regionali Carlo Monguzzi (Verdi) e Giuseppe Civati (Pd) hanno portato ieri la loro denuncia in piazza San Babila, con un presidio, dopo aver consegnato una lettera allarmata al prefetto Gian Valerio Lombardi. Dicono i consiglieri: «Mentre il protocollo di Kyoto e la Ue hanno l'obiettivo di ridurre l'emissione di anidride carbonica del 20 per cento rispetto al 1990, in Lombardia i gas serra sono aumentati del 20 per cento, cioè l'equivalente di quanto dovrebbero diminuire ».Il quadro critico sulle emissioni di gas serra in Italia è descritto nell'ultimo rapporto «Energia e ambiente» dell'Enea. Le Regioni che più hanno contribuito all'aumento dell'anidride carbonica sono sei: in testa c'è la Lombardia (70 milioni di tonnellate di Co2 in più), seguita da Puglia, Veneto, Lazio, Emilia Romagna e Sicilia). Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, da sole, sono responsabili del 30 per cento delle emissioni totali italiane. L'Enea ha tratto da questo quadro una conclusione: per riuscire a tagliare le emissioni di anidride carbonica e rispettare gli obblighi di Kyoto «non si può fare a meno di coinvolgere le Regioni in una sorta di federalismo climatico». «Seppur allineato alla situazione nazionale, il quadro locale è piuttosto allarmante», ha spiegato la Fondazione Lombardia per l'ambiente, che da oltre due anni ha avviato un grande progetto di ricerca sui cambiamenti climatici (www.kyotolombardia. org).Gli esperti della Fondazione hanno stimato che nella sola area metropolitana di Milano il danno economico legato ai gas serra e alle alterazioni del clima arriva a 500 milioni di euro l'anno (sommando aumento di mortalità e malattie, ricoveri, visite mediche, giorni di lavoro persi). Le fonti responsabili della produzione di anidride carbonica a Milano sono il riscaldamento domestico (51%), il traffico (31%) e le industrie (9%). A rispondere alle critiche è il capogruppo di Forza Italia in Regione, Paolo Valentini: «La nostra azione mette in campo politiche integrate che offrono sia un quadro di regole, sia strumenti per i reali interventi ». Il riferimento è alla legge sulla qualità dell'aria (la prima del genere prodotta da una Regione italiana) e alle misure per combattere lo smog, dai divieti per le auto più inquinanti, agli incentivi per nuovi mezzi e nuove caldaie.

giovedì 23 ottobre 2008

Clima arroventato, governo mercatista

Il Governo tiene duro nel confronto con l’Unione Europea sul paccetto clima ed energia. L’obiettivo del 20-20-20 (ridurre le emissioni di Co2 del 20% entro il 2020) e soprattutto i metodi per conseguirlo sono troppo costosi per l’Italia e per buona parte dei Paesi dell’Est. “Il progetto è una tassa occulta sulle imprese”, spiegava ieri il ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo in un’intervista a Il Sole 24 Ore, perché: “...i costi sono certi, mentre i vantaggi dipendono da molti fattori che non siamo in grado di prevedere perché derivano dall’andamento dell’economia e della competitività. Quando si pensa di far pagare i permessi di emissione a tutte le aziende, ciò si traduce in una tassa che di vantaggi, in termini ambientali, ne dà molto pochi. E in un momento come questo non mi pare proprio il caso di caricare le aziende manifatturiere di nuovi pesi”. Un “tavolo” tecnico sarà aperto la settimana prossima. Se non verrà raggiunto un consenso unanime, l’Italia è determinata a far saltare l’accordo. Ed è per questo che ieri si sono levate parole grosse da Nicolas Sarkozy (“Sarebbe drammatico e irresponsabile abbandonare il pacchetto energia e clima”) e da José Manuel Barroso (“Sarebbe davvero drammatico se l’Europa abbandonasse la lotta al cambiamento climatico”). Ma la presa di posizione del Governo è ragionevole o ideologica? “Più che ragionevole”: ne è convinto Carlo Stagnaro, direttore del dipartimento Ecologia di Mercato dell’Istituto Bruno Leoni. “Quando gli obiettivi del 20-20-20 sono stati fissati, nessuno si è chiesto come e se sarebbe stato possibile raggiungerli. C’è poi un problema di equità nella distribuzione dei costi. Una quota è uguale per tutti, poi vengono assegnati obiettivi nazionali ad ogni Paese. Come? In rapporto al Pil nazionale, cioé: i più ricchi devono darsi più da fare. Che è un criterio molto arbitrario e non conviene all’Italia: il nostro Paese spreca poco (non perché siamo più virtuosi, ma perché da noi l’energia costa tanto) e per noi è ancora più difficile ridurre gli sprechi in base alle quote fissate a priori”. Stagnaro usa una metafora molto semplice per spiegare il concetto: è come se a Stanlio e Ollio fosse imposto di perdere la stessa quantità di peso. Noi siamo il sistema-Stanlio e rischiamo l’anoressia. E c’è anche un terzo problema: “Quando questi obiettivi sono stati fissati era la primavera del 2007, ma adesso è in corso una crisi che nessuno si aspettava”. Certo, Sarkozy dice: “Il pacchetto è fondato sulla convinzione che il mondo va incontro alla catastrofe se continua a produrre nelle stesse condizioni. Non vedo alcuna argomentazione che mi dica che il mondo va meglio dal punto di vista ambientale solo perché c’è la crisi economica”. Ma la battaglia di Italia, Polonia e altri Paesi dell’Est sta riaprendo gli occhi dell’Europa proprio su questo catastrofismo, troppe volte dato per scontato. “E’ una grande battaglia culturale” - ci spiega Antonio Gaspari, giornalista e direttore dell’agenzia Greenwatch News - “Fino ad ora, in Europa, è passata la tesi, tipica dell’ideologia ecologista, secondo cui il riscaldamento globale è causato dall’uomo e perciò dobbiamo ridurre l’attività produttiva se vogliamo salvarci. Sinora si è speculato su prodotti come i carbon credits o i vari certificati verdi e bianchi. Questo sistema sta fallendo. E’ fallito chi ha investito molto sui carbon credits, come Enron e la Lehman Brothers. Sono falliti tutti gli scenari catastrofici sul cambiamento climatico che non si sono verificati: il 2008 avrebbe dovuto essere l’anno più caldo del millennio. Le aziende non sono disposte a tirare la cinghia per tenere in piedi un’ideologia”. Il Governo italiano, attualmente, sta battagliando in difesa della libertà delle imprese e dei consumatori contro nuovi vincoli imposti dall’Ue. Quindi in difesa del “mercatismo”? Sì, secondo Stagnaro: “Se non altro per una questione di conti in tasca, si è costretti a scendere dal cielo delle ideologie per adottare soluzioni pratiche. E, nella pratica, è il ‘mercatismo’ che funziona”. (Da L'Opinione)


Un progetto di risparmio ed efficienza energetica è stato lanciato dall’Eni di Paolo Scaroni più di un anno fa con l’obiettivo di permettere un risparmio del 30% sull’attuale bolletta energetica di ogni famiglia

L'Italia sull'orlo di una crisi idrica

Da Il tempo

«Il razionamento idrico, che sta colpendo i territori di Puglia nelle province di Taranto, Lecce e Brindisi e Basilicata serviti dall'acquedotto del Sinni - ha spiegato il presidente dell'Anbi, Massimo Gargano - testimonia un'atavica siccità, accentuata dai cambiamenti climatici. Dopo le penalizzazioni all'agricoltura, la crisi colpisce ora anche gli usi umani». Ogni bacino è in emergenza, osserva l'Associazione, in particolare in Puglia, Campania e Basilicata: il volume del Sinni, ad esempio, è solo il 12% di quello dello stesso periodo dell'anno scorso. Situazioni preoccupanti anche in Sicilia e in alcune aree della Sardegna, dove la quantità d'acqua presente è inferiore alla metà dell'anno scorso. Verso Nord, analoghe situazioni si registrano in Abruzzo, Marche ed Emilia Romagna. «Va avviato un Piano Nazionale degli Invasi e vanno incentivati gli usi plurimi delle acque ed il riutilizzo della acque reflue. La desalinizzazione delle acque marine - sostiene Gargano - solo ad uso potabile, è altresì difficilmente praticabile per i costi tuttora alti». E in Abruzzio l'emergenza cresce. L'Aca ha programmato anche per oggi le chiusure notturne, dalle ore 22 alle 6, dei serbatoi dei comuni di Ripa Teatina e Francavilla al Mare. Tale manovra permetterà il riempimento degli stessi serbatoi durante la notte e la normale erogazione idrica nelle ore diurne. «A causa delle scarse precipitazioni piovose e della riduzione della portata della sorgente Val di Foro, del tutto fisiologica in questo periodo dell'anno - ha affermato il presidente dell'Aca Bruno Catena - è stato necessario programmare le chiusure dei serbatoi di Francavilla al Mare e Ripa Teatina. Ovviamente, come di consueto, le chiusure sono state appositamente pianificate nelle ore notturne in modo che i cittadini non subiranno alcun disagio né risentiranno di carenze idriche». E sempre oggi prenderà il via l'intervento programmato dall'Azienda Comprensoriale Acquedottistica di Pescara (Aca) per potenziare l'impianto idrico della Centrale di Chieti Scalo. Per l'esecuzione dell'intervento sarà necessario interrompere la normale erogazione idrica dalle 7 fino alle 16. «I lavori che inizieranno nella mattinata e si protrarranno per circa nove ore - ha spiegato ancora Bruno Catena -. Essi prevedono l'installazione di tre nuove elettropompe per il sollevamento dell'acqua verso Chieti alta e l'allaccio della nuova turbina, una sorta di turbo-generatore che andrà a sostituire la vecchia apparecchiatura. Alla fine verrà compensata la quantità di circa cinquemila metri cubi di acqua potabile che non sarà erogata durante l'intervento di potenziamento della Centrale di Chieti Scalo».

mercoledì 22 ottobre 2008

Asem, si discuterà di clima e crisi finanziaria

Saranno 38 i capi di stato e di governo, incluso il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che confluiranno a Pechino venerdì e sabato prossimi per l’Asia-Europe Meeting (Asem): temi chiave crisi finanziaria e cambiamenti climatici. I capi di Stato e di governo dell’Unione europea e dell’Asia cercheranno innanzitutto di trovare un accordo sull'impegno nella lotta al cambiamento climatico, per arrivare con una posizione comune alla conferenza sul clima di Copenaghen nel dicembre 2009. Fonti dell’Ue confermano le divergenze di approccio fra Stati europei e asiatici, ma sottolineano che si farà il possibile per sottoscrivere un impegno comune sul problema. In materia di riscaldamento globale, si terranno anche negoziati bilaterali fra Ue, Cina, India e Indonesia, tutti attori chiave. (Dal Mattino)

Berlusconi: «Clima, misure irragionevoli»

Non è vero che l'industria è contro la tutela dell'ambiente, dice Emma Marcegaglia sul Sole 24 Ore

Irragionevole: così il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha definito il piano sul clima in discussione a livello europeo durante l'assemblea dell'Unione industriali a Napoli, mentre il premier francese Nicolas Sarkozy ribadiva, a Bruxelles, che abbandonare gli obiettivi fissati «sarebbe drammatico e irresponsabile ». «L'Italia – ha affermato Berlusconi – è un Paese manifatturiero e i costi di adattamento richiesti dal pacchetto-clima deprimerebbero la nostra economia, soprattutto in un momento di crisi come questo. La Ue pensa di poter abbattere le emissioni di anidride carbonica nonostante i rifiuti scontati di Russia, India, Cina, Africa e Usa. Vogliamo fare i Don Chisciotte? Benissimo: attacchiamo, ma con razionalità. Se l'Europa vuole dare l'esempio a tutto il mondo, pagando un prezzo elevato, che questo prezzo sia pagato da tutti in parti uguali. Il modo di affrontare la questione ambientale dell'Europa è assolutamente irragionevole ». Da Napoli anche il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha detto no al pacchetto clima- ambiente della Ue e ha ringraziato il premier Berlusconi «per aver portato avanti, con determinazione, sui tavoli europei la posizione di chi non accetta regole irrealistiche e pericolose ». La Marcegaglia ha anche sottolineato l'attenzione e la disponibilità, da parte di Confindustria, nei confronti delle tematiche ambientali. «Non è affatto vero –ha assicurato – che siamo insensibili alla difesa dell'ambiente. Vogliamo avere un ruolo importante e cogliere la sfida tecnologica. Non è con regole rigide, con un accordo unilaterale che Cina e Usa non sottoscriveranno, che risolveremo il problema». Il leader di viale dell'Astronomia ha poi sottolineato l'importanza degli incentivi per il risparmio energetico per tutti i settori industriali. «Li abbiamo messi nel piano per il risparmio energetico generalizzato, quindi –ha detto –riguardano auto, elettrodomestici, rifiuti, motori elettrici, edilizia. Tutto ciò che contribuisce al risparmio energetico e alla riduzione di emissioni di C02, va supportato non solo in un settore, ma in generale».

martedì 21 ottobre 2008

Dimas: ''Nessun rinvio su pacchetto Ue

Il commissario europeo all'Ambiente, Stavros Dimas, ha assicurato che non vi sara' alcun rinvio sull'approvazione del Pacchetto Clima-Energia e che l'Europa dara' l'esempio nello sforzo per stabilizzare gli effetti dei cambiamenti climatici. "Il Pacchetto conferma la leadership dell'Europa nell'affrontare i cambiamenti climatici perche' si propone come esempio", ha detto il commissario a margine del Consiglio Ue dell'Ambiente a Lussemburgo, "L'approvazione del pacchetto rafforzera' il nostro potere di trattativa nei negoziati internazionali. (Agi)

Cambiamenti climatici oltre le previsioni

Da Corriere.it

Nel 2007 il Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC), vincitore del premio Nobel per la pace, ha pubblicato il suo quarto rapporto, un autorevole studio sulla conoscenza del riscaldamento globale che ha coinvolto circa 4.000 scienziati da più di 150 Paesi. Ma da allora la scienza del clima ha cominciato a produrre nuove ricerche. Il nuovo rapporto Wwf "Climate change: faster, stronger, sooner” (Cambiamento climatico: più veloce, più forte, più vicino) riassume questi nuovi dati scientifici e rivela che il riscaldamento globale sta avanzando ben oltre le previsioni dell’Ipcc.
«IMPATTI MAGGIORI DEL PREVISTO» - Lo studio è stato redatto con il supporto di esperti internazionali di climatologia tra cui il prof. Jean-Pascal van Ypersele, professore di climatologia e scienze ambientali all’Università cattolica di Lovanio (Belgio) e neo-eletto vice presidente dell’Ipcc, che ha dichiarato: «E’ ormai chiaro che il cambiamento climatico sta già avendo un impatto maggiore di quanto la maggior parte di noi scienziati avesse anticipato. Per questo è vitale che la risposta internazionale per il taglio delle emissioni (mitigazione) e l’adattamento sia più rapida e più ambiziosa. L’ultimo rapporto Ipcc ha mostrato che i motivi di preoccupazione ora sono più forti e questo dovrebbe indurre l’Europa a impegnarsi perché l’aumento della temperatura globale sia ben al di sotto dei 2°C rispetto all’era pre-industriale. Ma anche mantenendo il limite di 2°C, secondo l’IPCC è necessario comunque che i paesi sviluppati riducano le emissioni dal 25 al 40% entro il 2020 rispetto ai valori del 1990, mentre una riduzione del 20% risulterebbe insufficiente.”

lunedì 20 ottobre 2008

L’Inghilterra rilancia: «80% di emissioni in meno»

Da Il Giorno

La Gran Bretagna diventerà il primo paese al mondo ad introdurre autonomamente impegni legalmente vincolanti per tagliare dell’80% entro il 2050 le proprie emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. Lo ha annunciato giovedì il segretario all’energia e ai cambiamenti climatici Ed Miliband, che introdurrà un emendamento alla legge che già oggi, oltre a confermare l’impegno Ue, prevede un taglio del 60% al 2050.

Clima: l'Italia chiede tempo. Insieme ad altri Paesi

L'Italia non è il solo Paese a chiedere più tempo per l'applicazione del pacchetto sul clima. Ieri il premier Berlusconi ha difeso la posizione italiana, condivisa, sottolinea, «da altri nove Stati». Secondo Alberto Clò (Eni, azienda guidata dall'ad Paolo Scaroni) «le aziende sono già in crisi e non si può costringerle a spendere adesso per l'inquinamento».

giovedì 16 ottobre 2008

Scontro sul clima, Italia pronta al veto

Per il "no" al piano di riduzione dei gas serra si schiera anche la Polonia, dice La repubblica

Un drammatico confronto sui cambiamenti climatici ha segnato la prima giornata del vertice europeo di Bruxelles, chiamato a dotare l´Ue degli strumenti per rispondere all´innalzamento delle temperature globali. Ad esasperare lo scontro sul pacchetto approvato faticosamente un anno e mezzo fa è stato il veto messo sul tavolo da Italia e Polonia, seguite con maggior prudenza da altri sette Paesi dell´Europa orientale. Più defilata la Germania, oggi dubbiosa sull´adozione definitiva di quelle regole la cui ideazione nel 2007 aveva rappresentato il fiore all´occhiello della presidenza di turno Ue della Cancelliera Angela Merkel.La posta in gioco è altissima. Da un lato la necessità di mettere l´Europa all´avanguardia nella lotta al cambiamento climatico con le regole per il post-Kyoto, i cui effetti scadono nel 2020: un´esigenza non rinviabile dal punto di vista scientifico e un´opportunità di crescita, visto che la leadership nell´economia pulita rappresenta una delle poche carte vincenti per l´Europa.D´altro lato la consapevolezza che oggi, all´alba di una dura crisi economica, impegnarsi su obiettivi ambiziosi potrebbe costare troppo a governi e industria, che nel breve periodo potrebbe perdere competitività rispetto alle economie emergenti che dell´ambiente se ne infischiano. Nel concreto il pacchetto Ue prevede di tagliare le emissioni industriali di Co2 del 20% entro il 2020, di accrescere l´incidenza delle fonti rinnovabili e di aumentare l´efficienza energetica. Ma lo scontro tocca anche il taglio dei gas di scarico delle automobili. Il tutto - è la speranza della Francia, presidente di turno dell´Ue - da approvare defnitivamente entro dicembre, in modo da portare l´Europa in una posizione di leadership al 2009, quando si apriranno le trattative internazionali sull´era post-Kyoto.La posizione italiana, già anticipata nelle scorse settimane, ieri è stata ribadita con veemenza dal premier Silvio Berlusconi. «Gli impegni che l´Unione europea si era data sotto presidenza tedesca - ha dichiarato - oggi si confrontano con la crisi. Non crediamo che questo sia il momento per andare avanti da soli e fare i Don Chisciotte». Il punto, ha sottolineato, è che «i maggiori produttori di Co2, Stati Uniti e Cina, sono assolutamente negativi sul fatto di aderire alla nostra azione e l´economia italiana dovrebbe pagare 25 miliardi all´anno». Di fatto ad essere in discussione non sono gli obiettivi, ma le modalità del loro raggiungimento, con quattro punti «irrinunciabili» sottolineati a margine del summit dal ministro degli Esteri, Franco Frattini: abolizione dei target annuali intermedi, in modo da tirare le somme solo nel 2020 e dare tempo alla nuovo corso del nucleare italiano di abbattere le emissioni; annullare l´impegno a portare il taglio di Co2 al 30% in caso di accordo internazionale in seno all´Onu; ammorbidire gli impegni per le industrie atumobilistiche italiane; esentare i settori industriali che mangiano più energia dal sistema dai tetti delle emissioni (Ets).E a scoperchiare il vaso di Pandora ci si sono messi anche i polacchi, seguiti da sette paesi dell´ex blocco sovietico. Chiedono modifiche e più tempo per chiudere il pacchetto nella speranza di arrivare a gennaio, quando la presidenza di turno passerà alla Repubblica Ceca: per quanto ieri Praga si sia dimostrata neutrale per delicatezza istituzionale, sarebbe più propensa ad accettare le richieste dei vicini. Una prospettiva, quella del ritardo, che all´Italia non dispiacerebbe, anche se le nostre istanze sono diverse, e in alcuni passaggi contrastanti, da quelle del blocco dell´Est. Sul fronte opposto, schierate a fianco di Francia, Commissione e Parlamento Ue, spiccano Spagna e Gran Bretagna. Proprio ieri il premier Gordon Brown ha sottolineato che «non è assolutamente tempo di abbandonare l´agenda sui cambiamenti climatici». E oggi, dopo una lunga notte, si vedrà quanto avrà ottenuto il fronte del no.

La Maddalena, arriva la eco-rivoluzione sulla ex base Usa

Dopo 35 anni bisogna ripensare l’isola, i suoi nuovi spazi, progettare una nuova economia, per anni addomesticata e frustrata dalla servitù militare. Dodici studenti dell’Università del Massachussetts sono stati affiancati da 15 studenti del 5° anno di architettura dell’Università di Cagliari nel progetto back to Maddalena, messo insieme da Stefano Boeri, architetto e docente al Politecnico di Milano e quest’anno professore a Boston. Gli studenti hanno lavorato divisi in cinque gruppi, e su diverse angolazioni: la riva, le strutture ricettive, la marineria…entro 100 giorni ad Harvard si comporrà il mosaico per presentare una proposta completa, corredata da studi di fattibilità, a disposizione delle istituzioni locali.«Siamo amici degli americani - disse il governatore Renato Soru all’inizio del mandato - ma vorremmo ospitarli come turisti e non come soldati». Fu il giro di boa e questi ragazzi sono la fine e l’inizio della stessa storia, un anno dopo la partenza tutt’altro che struggente della Emory Land, la nave appoggio dei sottomarini da caccia dotati di armamento nucleare, capaci di sferrare attacchi contro obiettivi lontani tremila chilometri. E poi siluri, mine, missili. Questo ha covato sotto la Maddalena, per 35 anni, dal 2 agosto 1972, quando la Uss Fulton ormeggiò, onorando accordi segreti, rimasti nella sostanza sconosciuti ai cittadini italiani. Altre cose non si sono mai sapute: le gallerie di Santo Stefano, che s’addentrano segrete come caverne, hanno incuriosito gli studenti: munizioni? Armi? Adesso sono arrivate le autorizzazioni per vederci dentro, e si potrà sapere.Gli studenti sono stati in Gallura e in Costa Smeralda per conoscere l’architettura locale e fornire idee armoniche e pratiche. Cosa ci farebbero alla Maddalena? «Mi ci farei la casa», scherza Giame Meloni, infradito alla moda. «Il progresso è solo un mito» per Simon Bussiere, cravatta sfoderata per la foto di fine corso, candidate for the Master in Landscape Architecture (è scritto nel biglietto da visita che diffonde con personalità: aspirante architetto paesaggista): «Bisogna far poco e non certo un campo di golf: non diventi Porto Cervo». «Non lo saremo mai - risponde il sindaco Angelo Comiti, che ha ospitato i ragazzi con entusiasmo e spirito critico - perché questo è un paese vero, di 11 mila abitanti, una comunità e non un via vai di turisti. Avevamo 3 mila soldati, i loro familiari, i loro soldi. Costretti alla monocultura economica, abbiamo accumulato un ritardo infrastrutturale enorme: in questo paradiso sono appena 1036 posti letto per turisti». Partiti i soldati, liberato l’arcipelago da quella servitù, l’amministrazione è imbrigliata dalla Marina militare (Ministero della Difesa), che gravita sul 40% del territorio isolano, «e tutto il demanio marittimo. Per le concessioni dobbiamo trattare col ministero...e poi vogliono usare i depositi nel sottosuolo affrancato dagli americani per stoccare i nuovi sistemi d’armi», lamenta Comiti, che vorrebbe mettere un punto e andare a capo, anche perché il calendario offre l’occasione: se la Maddalena d’ottobre è posto di belle speranze a luglio invece sarà scena per potenti. Il G8 si farà qua, è ormai certo, ieri sull’isola madre si sono visti esponenti del ministero della Difesa, anche se Berlusconi non voleva, perché il G8 all’arcipelago fu deciso dal governo Prodi (per superare l'isola “di guerra” con un appuntamento di “pace”). Preferiva Napoli, il premier, per confezionare uno spot mondiale: tutti sotto il Vesuvio ripulito. Bertolaso era alleato dei sardi per motivi logistici: la Maddalena si presta a un “naturale” filtro di sicurezza. Per l’arcipelago è un evento chiave: arriveranno 320 milioni di euro, andranno trasformati in opere per intercettare turisti “solidi”. «Sono fondi per le aree sottosviluppate - spiega Comiti - e ci giochiamo il futuro». Al posto dell’ex ospedale militare verrà l’Hotel a 5 stelle per i capi di Stato. Dove insiste l’arsenale -150 mila metri quadri di terreno - ci sarà posto per turismo, nautica, cantieristica. Magari qualcosa si concretizzerà dalle osservazioni degli studenti. Intanto, si va avanti spinti dal ponentino: i cantieri hanno assorbito gli operai appiedati dalla dismissione della base, in tutto sono ottocento già al lavoro, divisi in tre turni per tenere i cantieri aperti 24 ore su 24. Operosità che ha sovrastato le voglie propagandiste del premier. (Da L'Unità)

mercoledì 15 ottobre 2008

La battaglia sui gas. L'Italia: ora più flessibilità

Difficile vertice europeo, oggi e domani, sulla lotta al cambiamento climatico. L'Italia ha chiesto più flessibilità nell'approvazione del «pacchetto» che prevede la riduzione delle emissioni inquinanti del 20% entro il 2020. Barroso: «Dobbiamo mantenere gli obiettivi» .

Cambiamenti climatici, milioni di persone a rischio

Fame, malattie e cambiamenti climatici: un legame sempre piu' stretto e che porta con se' drammatiche incognite, cui gli esperti del panel sul clima in seno alle Nazioni Unite (Ipcc) hanno cercato di dare una prima risposta. Ma le loro proiezioni lo hanno confermato: malnutrizione ed epidemie aumenteranno con l'acuirsi degli effetti del surriscaldamento del pianeta e avranno ripercussioni negative su milioni di persone. Partono da qui le riflessioni del seminario 'Cambiamento climatico e impatti sanitari su cibo, acqua e nutrizione', che apre la settimana di iniziative alla Fao per la 'Giornata mondiale dell'Alimentazione', dedicata quest'anno proprio al tema del cambiamento climatico e della bioenergia. L'incontro e' organizzato da Organizzazione mondiale della sanita' ufficio Europeo (Oms Europa), Autorita' europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e dalla Fao, in collaborazione con il ministero del Lavoro, Salute e Affari sociali. Anche se in Europa tutti saranno colpiti, non lo saranno nello stesso modo. Il cambiamento climatico puo' peggiorare significativamente le disuguaglianze nello stato di salute tra Paesi e all'interno degli stessi, e creare ulteriore pressione sui piu' poveri (secondo l'Oms gia' oggi oltre 60 milioni di persone in Europa dell'est vivono in assoluta poverta'). Non solo. Gli esperti hanno stimato che entro la fine di questo secolo il costo globale del cambiamento climatico potrebbe arrivare al 5 per cento del Pil. Una minaccia "reale", hanno sottolineato dal seminario, che rischia di annullare i progressi ottenuti verso il raggiungimento degli Obiettivi Onu del millennio: la poverta' non puo' essere eliminata, mentre il degrado ambientale inasprisce la malnutrizione e le malattie trasmesse da acqua e cibo. Per questo, hanno ammonito dalla Fao Marc Danzon, direttore regionale Oms per l'Europa, "di fronte a quello che sappiamo sulle serie minacce poste dal cambiamento climatico alla salute, la questione oggi non e' se un'azione di sanita' pubblica sia necessaria ma quale azione intraprendere e come". Occorre al piu' presto, ha aggiunto, "garantire acqua pulita e igiene, alimenti sicuri e in quantita' adeguate, sorveglianza delle malattie e risposta, preparazione alle emergenze". E inoltre serve "sensibilizzare gli operatori sanitari sulle malattie legate al cambiamento climatico -ha continuato- fornire un'informazione accurata e tempestiva ai cittadini; stimolare all'azione i settori in cui la riduzione delle emissioni puo' produrre effetti benefici per la salute. Prima agiremo, maggiori saranno i benefici e minori i costi".Per contribuire a proteggere la salute dei consumatori, ha spiegato il direttore esecutivo Efsa, signora Catherine Geslain-Laneelle, "l'agenzia europea e' pronta a valutare i rischi futuri nella catena alimentare e ha gia' fatto numerosi passi in avanti in questo senso, creando ad esempio un dipartimento dedicato ai rischi emergenti". (fonte: Agi)

martedì 14 ottobre 2008

Cambiamenti climatici: le specie tropicali emigrano

Salire sempre più in alto, finchè si può: sembra questa l'unica via di scampo per le specie che vivono nelle zone tropicali e che, secondo la ricerca pubblicata su Science, sono seriamente minacciate dal riscaldamento globale. Lo studio, coordinato dall'università americana del Connecticut e condotto in Costa Rica, si basa sull'analisi di 1.902 specie di piante, insetti e funghi che vivono in zone tropicali e per la prima volta dimostra che la posta in gioco per il riscaldamento ulteriore delle zone tropicali è un drastico impoverimento della biodiversità.Alcune specie non riuscirebbero a trovare luoghi con una temperatura adatta per la loro sopravvivenza. Di conseguenza l'unica via di scampo sarebbe trasferirsi ad altitudini più elevate. Ma circa la metà delle specie studiate ha un habitat che non si spinge oltre i 600 metri, spostarsi ad altitudini maggiori significherebbe spingersi in territori completamente nuovi. (Da L'Unità)

Frattini: il pacchetto sul clima va rinegoziato a Bruxelles

Quanto costerà alle industrie e alle economie nazionali il piano europeo contro le emissioni di CO2, il biossido di carbonio? Forse troppo, soprattutto con la crisi finanziaria che ora sconvolge i mercati, e con la recessione che picchia alle porte un po' dovunque: e forse per questo, nella lotta al cambiamento climatico, bisognerà pensare a tempi più lunghi, pur non cambiando gli obiettivi di fondo.Questo dubbio esprime l'Italia, anzi chiede all'Unione Europea una «valutazione di impatto». E la Francia, presidente di turno della Ue, sembra stare al suo fianco, con il ministro degli esteri Bernard Kouchner che — al vertice appena tenuto nel granducato del Lussemburgo — loda il piano anti-CO2 parlando con il suo omologo italiano Franco Frattini, ma si augura anche che sia un progetto «sostenibile», nel senso economico della parola. Traduzione: se le industrie già colpite dalla crisi dovranno pagare in soldoni troppi «permessi di emissioni inquinanti», o dovranno imbavagliare troppi tipi di produzione, il piano anti- CO2 potrà fare più male che bene. Timore confermato dalle industrie automobilistiche, che chiedono lo stesso tipo di aiuto pubblico già offerto alle banche. «Non sarà facile per i politici — parole del commissario europeo all'Industria, Guenter Verheugen — spiegare ai lavoratori perché centinaia di miliardi siano a disposizione del sistema bancario, ma non avviene lo stesso quando un intero settore industriale è in difficoltà». Risposta degli ambientalisti: la vera emergenza è in ogni caso quella climatica, e la salute umana è più importante dei bilanci aziendali.Il perno dello scontro è l'ormai celebre «modello 20-20-20», messo nero su bianco nello scorso gennaio: 20% in meno di emissioni inquinanti, 20% in più di efficienza energetica, 20% in più di energia tratta da fonti rinnovabili. Su questo crinale, si dipana la schermaglia che sta dividendo tutta la Ue. E «la situazione è fluida», come dice Frattini. Il luogo dove molto si decide, è probabilmente Berlino: la Germania — patria, come Italia e Francia, di colossi dell'automobile — per ora fa l'osservatore silenzioso. Ma prima o poi, dovrà parlare. Spagna, Polonia, Repubblica Ceca e Romania sembrano invece fiancheggiare l'Italia e la Francia.A gennaio, anche l'Italia aveva approvato il piano presentato dalla Commissione Europea. Ma oggi, come ha spiegato Frattini, «il mondo è cambiato». Sono saliti i prezzi petroliferi e alimentari; e c'è stata la «tempesta perfetta», negli Usa e in Europa.I governi corrono al salvataggio delle banche, ma tutto ciò ha un costo: «Abbiamo appena deciso di drenare centinaia di miliardi di liquidità — ha detto ancora il capo della Farnesina — non possiamo dare con una mano e con l'altra bastonare ». Di qui, l'asserita necessità di una valutazione d'impatto: «non per fermare» il piano anti-CO2, ma per capire, ad esempio, «che cosa accade se queste misure saranno attuate solo dall'Europa e non dagli altri grandi attori mondiali, Usa, Cina, Brasile, India». (Dal Corriere della Sera)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

lunedì 13 ottobre 2008

«Ambiente, i conti non tornano»

L’ALLARME LANCIATO DA MOHAN MUNASINGHE, ESPERTO ONU DI CLIMA. Dal Giorno

«Si deve cominciare oggi. Occorre partire subito per avere politiche più equilibrate fra il 2020 e il 2040». Mohan Munasinghe, professore dello Sri Lanka titolare di una cattedra a Manchester, vice presidente della Commissione intergovernativa delle Nazioni Unite per il cambiamento del clima (in sigla Ipcc), covincitore del premio Nobel per la pace del 2007, non ammette distinguo. I dati sono clamorosi. Secondo il segretario generale del «Club di Roma» Martin Lees negli ultimi due anni la terra ha perso il 22 per cento dei ghiacciai. Due miliardi di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno, mentre si profila all’orizzonte un pari numero di appartenenti alla ‘borghesia’ che consuma intensamente. Mikhail Gorbaciov aggiunge di suo che l’inquinamento cinese è approdato nella Siberia russa. Stiamo consumando, sempre secondo il «Club di Roma», il 125 per cento delle risorse biologiche del pianeta. Che fare quindi professore? «Occorre partire, cominciare, non basta più parlarne. Sono necessari una nuova forza morale e più leader che pensino al bene comune. Assistiamo al fallimento dei neoconservatori. Erano convinti che dall’inseguimento dell’interesse personale scaturisse qualcosa di positivo per tutta la società. Così siamo arrivati ai mutui subprime». Il primo passo quale dovrebbe essere? «Costruire il consenso. Si debbono abbattere le paratie che dividono gli esperti. Esistono soluzioni multiple con benefici per tutti». Per esempio? «Il caso più tipico è la conservazione di energia. E’ un bene per tutti. Oppure la riforestazione. Giova all’ambiente e crea posti di lavoro. Per le soluzioni più conflittuali si possono cercare compromessi. Senza contare che nel giro di dieci – quindici anni possono maturare nuove soluzioni tecniche». Non c’è più tempo? «Prenda il caso del Darfur, dove sono morte migliaia di persone (per la repressione del governo di Khartum a danno delle minoranze nere e cristiane ndr). Il cambiamento climatico ha esacerbato la carenza d’acqua e di terra. Le Maldive sono solo pochi centimetri sopra il livello dell’oceano che è cresciuto di sedici centimetri nell’ultimo secolo...». Munasinghe lancia il suo appello dopo essere intervenuto al convegno su ambiente e mass media organizzato dal «World political forum» di Gorbaciov. L’ex presidente dell’Urss è impegnato nella sua sfida più recente, la glasnost planetaria sull’ecologia. «Attorno a Mosca — si infervora — c’è una battaglia su ogni metro quadrato di terra. La gente difende il posto nel quale vive. La Duma, il Parlamento, si occupa del problema quasi tutti i giorni».

Per salvare l’ambiente a Bergamo Scienza si celebra il processo alla carta

Da Panorama

Che la terra sia in pericolo è ormai chiaro a tutti. E tutti siamo convinti che la salvaguardia del nostro pianeta passa per un cambiamento radicale dei nostri modelli consumistici. Ce lo ha ‘chiesto’ Al Gore con il suo documentario “Una scomoda verità” (vincitore dei un premio Oscar nel 2007) e non c’è giorno che passa senza che gli esperti di cambiamento climatico ce lo ripetono fino alla nausea. Se è vero quindi che gli allarmi quotidiani sul degrado ambientale hanno finito per provocare (almeno in Occidente) una presa di coscienza collettiva dei rischi che stiamo correndo, appare altrettanto legittimo ricentrare il problema sul piano individuale.
Educare allo sviluppo sostenibile per riflettere su quanto le nostre scelte quotidiane abbiano ripercussioni sull’ambiente è l’obiettivo fissato dall’ong italiana Cesvi e Slow Food Lombardia attraverso un’iniziativa alquanto singolare: mettere la carta sul banco degli imputati. Sulla falsa riga del film denuncia Bamako che vide il Fondo monetario internazionale processato in un piccolo villaggio del Mali, la carta sarà sottoposto alle arringhe di abili difensori e accusatori impietosi in un processo fissato il 13 ottobre (ore 17) presso l’Aula di Corte d’Assise del Tribunale Penale di Bergamo. L’imputato è accusato di distruzione selvaggia delle foreste e danni irreparabili all’equilibrio ambientale. Tanto per rassicurarci, la FAO sostiene che le 300 milioni di tonnellate di carta consumate ogni anno diventeranno 390 milioni nel 2010, un aumento del 31% in gran parte dovuto al consumo esplosivo che si sta verificando in Asia. Per capire se la carta è davvero un nemico dell’ambiente oppure una preziosa risorsa riciclabile, il pubblico sarà chiamato ad assistere agli interrogatori e contro-interrogatori di testimoni e periti che animeranno il processo fino alla sentenza definitiva di colpevolezza o innocenza.
Una cosa è certa: il dibattito processuale prevede un casting di tutto rispetto. A presiedere il Tribunale sarà Carlo Casti, Governatore di Slow Food Italia, mentre il ruolo di cancelliere sarà affidato al comico [8] Max Pisu. Nell’aula, l’imputato dovrà fare i conti con Daniela Rubino, socio Slow Food Italia: “Per produrre la carta” assicura il Pm, “si abbattono foreste, si deviano fiumi e si provocano smottamenti. Per ogni chilo di materiale si sperperano da 10 a 15 litri d’acqua. E ogni bosco cancellato si traduce in un aumento di anidride carbonica”. Ma le accuse non convincono l’avvocato difensore, Ettore Tacchini, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Bergamo, che a pochi giorni del processo fa sapere che “un testo non è un testo se non può essere annotato e sottolineato. E poi libri e mappe antiche sono oggetti di piacere. Soddisfano tatto, vista e odorato”.
Scherzi a parte, “il processo” ricorda il presidente del Cesvi, Giangi Milesi, “è uno strumento educativo per valutare l’impatto ecologico e sociale dell’utilizzo di un prodotto molto discusso come la carta”. Da anni l’ong italiana è impegnata nell’Amazzonia peruviana con un progetto destinato a proteggere l’ecosistema forestale e promuovere lo sviluppo socio-economico delle popolazioni locali.

venerdì 10 ottobre 2008

Le malattie nell’era dei cambiamenti climatici

La diffusione di alcune malattie negli animali può essere l’indicatore dei cambiamenti climatici e svelare quali effetti attendersi, a cascata, sulla salute dell’uomo. In pratica, sostiene Steven Sanderson, presidente della WCS, “monitorare la salute degli animali ci aiuterà a prevedere quali saranno le zone critiche e a organizzarci per farci trovare pronti”.

Cambiamenti del clima e impatto sulle valli piemontesi

La sempre maggior concentrazione di anidride carbonica e dei cosiddetti «gas serra» nell'atmosfera sta portando a repentini sconvolgimenti del clima, alla durata delle stagioni, all'intensità delle piogge e delle precipitazioni in generale. La Regione nei mesi scorsi ha commissionato uno studio alla Società meteorologica subalpina per conoscere e comprendere meglio «L'impatto dei cambiamenti climatici sulla montagna piemontese».Il lavoro sarà presentato oggi pomeriggio, alle 15, nella Sala consiliare all'interno del municipio di Sampeyre, in piazza della Vittoria. Interverranno l'assessore regionale allo Sviluppo della montagna e alle Foreste Bruna Sibille, il meteorologo Luca Mercalli, componente della Società meteorologica subalpina e noto al grande pubblico per la sua partecipazione alla trasmissione televisiva di Raitre «Che tempo che fa» con Fabio Fazio, e il «padrone di casa», il sindaco di Sampeyre Renato Baralis. Da oggi sarà anche possibile consultare e scaricare lo studio sul sito www.regione.piemonte.it.

giovedì 9 ottobre 2008

I tempi stanno cambiando

La bellezza del pianeta si affianca a quella della sua immagine tecnologica, Per smuovere le coscienze delle persone, dice Il Sole 24 Ore.

Mentre, ancora una volta, le tv di tutto il mondo sono intente a occuparsi di nuovi e sempre più potenti – per non dire frequenti – uragani che sconvolgono le coste atlantiche dell'America, nel meridione del nostro Paese la scia degli incendi estivi si protrae fino a settembre, e, infine, veniamo a sapere che ora, per la prima volta, il Circolo Polare Artico è un'isola, cioè è circumnavigabile a causa dell'arretramento dei ghiacci. Tutti questi fenomeni rispondono a un unico nome: cambiamenti climatici. Di questo si occupa Mark Lynas nel suo «Sei gradi. La sconvolgente verità sul riscaldamento globale». Un testo inquietante in cui ogni capitolo corrisponde a un grado di aumento del nostro clima e le conseguenze probabili o possibili che esso comporterebbe: un terrificante viaggio intorno a un pianeta malato a causa dell'uomo.Lo spettacolo dell'apocalisse: qualcosa che si può facilmente capire andando a vedere la mostra «I tempi stanno cambiando. Come varia il clima: conoscenze attuali e scenari futuri», curata da Daniele Cat Berro e Luca Mercalli e ospitata al Museo regionale di Scienze Naturali di Torino (fino al 30 ottobre). Il percorso della mostra risponde appieno al carattere divulgativo e nello stesso tempo dispiega un imponente apparato tecnologico con proiezioni, computer con i siti dei più importanti centri di ricerca in cui navigare, un potente documentario della Bbc proiettato su tre schermi giganti, e poi video, porzioni di interviste o dichiarazioni. E ancora: fotografie satellitari, modelli proiettivi realizzati al computer...Insomma,a emergere è l'immagine della climatologia come scienza complessa, sempre più tecnologica, una scienza che vede e cerca di prevedere con sistemi scopici in grado di animare proiezioni virtuali di eventi. Uno spettacolo complesso, terribile e affascinante: alla bellezza del pianeta si affianca questa bellezza dell'immagine tecnologica del mondo che caratterizza il nostro stato di uomini contemporanei che vivono in una fase di cambiamenti epocali, dopo aver spezzato alcuni equilibri naturali. L'apocalisse è ormai vicina? Ma forse la nostra salvezza sta nella coscienza di quanto sta avvenendo, allora lo spettacolo di una scienza cosciente è davvero un segno dei nostri tempi: spettacolari sono le immagini di «L'undicesima ora», documentario voluto e commentato da Leonardo Di Caprio o di «Una scomoda verità», il documentario di Al Gore, o il documentario "fantascientifico" «Life after People» sugli scenari futuri del nostro pianeta una volta che il genere umano sarà estinto.Ma in questo senso potremmo citare «The Day after Tomorrow» di Roland Emmerich, film catastrofico che si basa sulle proiezioni svilluppate in ambito scientifico, «E venne il giorno» di M. Night Shyamalan, mentre lo stesso Emmerich, campione del cinema catastrofico contemporaneo, sta lavorando al nuovo film di apocalisse della Natura, «2012», a sottolineare una costante culturale del nostro tempo: lo spettacolare senso della fine. Ma si può dire che lo spettacolo dell'apocalisse, del nostro mondo che cambia e della Natura che reagisce al nostro sconsiderato atteggiamento nei confronti del pianeta, può anche essere l'arma vincente per smuovere finalmente le coscienze di tutti.

L’uso dell'energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni.

L'inverno anomalo? Sarà mite

Dal Corriere della Sera

Una spalmata di rosa pastello sull’Italia e su gran parte dell’Europa Centro-Occidentale: è il colore convenzionale, usato sulla carta della «Previsione probabilistica delle temperature per il periodo dicembre-gennaio-febbraio 2008-2009», per indicare che stiamo andando incontro a una stagione invernale mite. Tali previsioni stagionali, con le relative mappe, sono da tempo elaborate da un istituto di ricerca americano, l’Iri (International research institute for climate and society) che ha fama di serietà; e tuttavia i suoi stessi esperti sottolineano che si tratta pur sempre di esercizi probabilistici, da non prendere come una verità assoluta. Come si suol dire: qualche volta ci azzeccano e qualche altra no.
SONO TORNATE LE MEZZE STAGIONI? - Dunque, dopo un autunno quasi normale, tranne qualche picco alternato di caldo e di freddo, un autunno in cui stiamo festeggiando la rinascita della «mezza stagione», ci dovremmo aspettare un inverno anomalo, caratterizzato da temperature sopra la media. Che ne pensano i climatologi italiani di questa previsione: azzardo o ipotesi scientifica basata su solidi indizi?
L'INVERNO DOVREBBE ESSERE MITE - «Anche i nostri modelli previsionali indicano un segnale prevalente di inverno mite –commenta il professor Giampiero Maracchi, climatologo e direttore dell’Istituto di Biometeorologia del CNR-. Ma il limite di queste previsioni stagionali sta nel fatto che non possiamo scendere nei dettagli. E io personalmente ho un timore, che l’inverno possa avere un inizio rigido, un po’ anticipato, per poi evolvere in una stagione mite». Come mai questa doppia anomalia? Il sospetto nasce dal fatto che l’autunno sta mostrando un’insolita frequenza di irruzioni di aria relativamente più fresca da Nord Est», spiega Maracchi, «che interrompono spesso la circolazione di masse d’aria più calde dall’Atlantico (Ovest) o dall’Africa (Sud). A queste alternanze è dovuta la successione di giornate con temperature sotto, ovvero sopra la media stagionale». «Se la tendenza alla circolazione da Nord-Est si dovesse consolidare, allora avremmo una fase finale dell’autunno e un inizio dell’inverno più rigidi. Salvo poi a un avverarsi della previsione di inverno mite con l’instaurasi delle altre modalità di circolazione atmosferica apportatrici di temperature più elevate».

mercoledì 8 ottobre 2008

Un mammifero su quattro è a rischio

Un mammifero su quattro nel mondo è a rischio estinzione. Questo il nuovo allarme che viene dalla Lista rossa della natura sotto minaccia resa nota a Barcellona in occasione del IV Congresso mondiale dell'Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn). In particolare, su 5.487 specie di mammiferi conosciute sulla Terra, 1.141 è sotto minaccia di estinzione, precisa l'Iucn. Ma la realtà potrebbe essere molto peggiore visto che mancano informazioni su circa 836 mammiferi. Perdita di habitat, sfruttamento delle risorse marine e terrestri, inquinamento e cambiamento climatico tra le cause di questa crisi ecologica. Per quanto riguarda le specie, 76 sono già scomparse, altre 29 sono considerate potenzialmente estinte. «È impressionante come dopo milioni e milioni di anni di evoluzione si è arrivati a una crisi simile», ha detto Andrew Smith, docente all’Arizona State University, uno degli scienziati che hanno redatto lo studio sullo stato di salute dei mammiferi

Sole senza macchie: torna l'età del ghiaccio?

Dal Corriere della Sera

Se il Sole continuerà a restare senza macchie, sulla Terra potrebbe arrivare un freddo glaciale». La fosca profezia arriva da alcuni astronomi americani della Nasa, preoccupati per quella che si profila come un’anomala assenza di attività energetica sulla superficie visibile della nostra stella. Inattività che potrebbe avere conseguenze dirette sul nostro clima, facendo addirittura compiere una retromarcia all’effetto serra, volgendo, in breve, il supercaldo in superfreddo. La prospettiva può apparire esagerata e basata su un’affrettata valutazione di una tendenza ancora tutta da verificare, tuttavia bisogna ammettere che nel recente passato della storia dell’uomo un fenomeno del genere si è già verificato. Era quella che gli storici chiamano la tarda età Barocca, cioè la seconda metà del XVII secolo, quando una prolungata mancanza di attività solare, nota cone il minimo di Maunder, dall'astronomo che la studiò, precipitò l’Europa in una Piccola età del ghiaccio, caratterizzata da carestie e epidemie che decimarono la popolazione.

Ma che cosa c’entrano le macchie solari con le temperature terrestri? Il Sole, per nostra fortuna, è una stella stabile e fornisce alla Terra un flusso di energia abbastanza costante. Tuttavia, anch’esso ha dei piccoli alti e bassi che rispondono, sul breve periodo, a un ciclo di 11 anni. In questo arco di tempo, sulla fotosfera, la superficie visibile della nostra stella, si alternano delle fasi di intensa attività elettromagnetica che generano perturbazioni chiamate macchie, e periodi di quiete in cui la fotosfera è completamente o quasi libera da macchie. Tali massimi e minimi, secondo ipotesi ben fondate, avrebbero avere un’influenza diretta sul clima della Terra. Attualmente il Sole sta emergendo da un minimo di attività e molti astronomi si sarebbero aspettati un repentino ritorno delle macchie, come di solito si verifica. «Io ero fra questi –confessa, ammettendo l’errore, il professor David Hathaway, fisico solare del Nasa Marshall Space Flight Center di Huntsville, Alabama- e due anni fa avevo predetto che la transizione dal minimo al massimo sarebbe stata molto turbolenta. La realtà, purtroppo, mi sta smentendo”. Infatti, il minimo si sta prolungando, tanto che sono stati superati i 200 giorni senza macchie solari, sfiorando un record che fu toccato alla metà degli anni ’50 dello scorso secolo (che, per inciso, furono un periodo insolitamente freddo). Come se non bastasse l’assenza di macchie, anche un altro fattore dell’attività energetica della nostra stella, il cosiddetto vento solare, è in netto calo. Il vento solare è un flusso di particelle elettricamente cariche che viene espulso in continuazione dalla nostra stella e che si espande a raggiera per milioni di km, investendo anche il nostro pianeta.

Un altro fisico solare, David McComas del Southwest Research Institute, San Antonio, Texas, dove vengono analizzati alcuni dati trasmessi dalla sonda spaziale Ulysses, realizzata apposta per tenere sotto controllo l’attività del Sole, ha potuto calcolare che attualmente la pressione esercitata dal vento solare è del 25% inferiore rispetto a quella misurata 11 anni fa, in coincidenza col precedente minimo di attività. «Putting all together», come dicono gli americani, cioè tutto considerato, se è vero che esiste una correlazione diretta fra i flussi energetici del Sole e il clima sulla Terra, e sempre che il fenomeno si protragga, di qui ai prossimi mesi dovremmo risentirne gli effetti sotto forma di un calo delle temperature medie. Magari non tornerà una Piccola età del ghiaccio, ma forse batteremo un po’ di più i denti per il freddo. Sempre che il nostro ben noto effetto serra non abbia la meglio e prevalga sulla inattività solare. Sarà un’interessante partita tutta da giocare e da valutare.

martedì 7 ottobre 2008

La Regione Lombardia avrà una nuova sede risparmiosa

Con i suoi 161 metri di altezza, il nuovo complesso architettonico dell’Altra sede della Regione Lombardia, nel centro di Milano, sarà l’edificio più alto d’Italia e guarderà al sole come fonte rinnovabile per ottenere il massimo risparmio energetico e garantire un profilo di massima sostenibilità ambientale. Ener3, partner italiano della spagnola Gamesa Solar, in collaborazione con Cns Spa ed Energy glass ha progettato la facciata fotovoltaica, completamente integrata nella torre del nuovo edificio, che provvederà in parte al fabbisogno energetico dell’intero complesso, insieme ad altre fonti alternative come pompe di calore e generatori ad idrogeno. Un progetto ambizioso frutto della collaborazione tra le aziende che hanno messo in sinergia le loro competenze tecnologiche, realizzando una soluzione di grande prestigio nell’integrazione architettonica degli impianti fotovoltaici. Il complesso Altra sede di Regione Lombardia realizzato da Ener3 e Cns Spa in collaborazione con Energy Glass per l’Altra Sede della Regione Lombardia avrà una potenza totale di circa 160 Kwp per una produzione annua di energia stimata intorno ai 135.000 kwh e un risparmio di Co2 pari a circa 94 tonnellate per anno. Il generatore fotovoltaico sarà integrato nelle due facciate della torre centrale esposte verso sud e sud ovest ed occuperà oltre 100 metri di altezza a partire dalla quota di 40 metri. Questo generatore fotovoltaico sarà completamente integrato nei serramenti di facciata progettati da Cns SpA. Ciascuno dei 450 moduli previsti è formato da 120 celle monocristalline ad alta efficienza per una potenza di 350 Wp per modulo. Inoltre tutta la struttura modulare è concepita in modo da far fronte ai carichi dinamici del vento e alle turbolenze indotte della sagoma della torre e per massimizzare la produzione di energia elettrica compatibilmente con le esigenze di semitrasparenza. Tutti i cablaggi elettrici sono stati previsti con percorsi nascosti nei serramenti, ispezionabili senza pregiudicare le caratteristiche di tenuta termica ed acustica dei moduli. “L’importanza di questo progetto non risiede solo nella prestigiosa soluzione tecnico-strutturale, ma anche nell’aver unito in un unico intento di progettazione sostenibile le competenze di architetti, ingegneri delle costruzioni e ingegneri dell’energia insieme alla volontà del committente - ha dichiarato Carlo Zuccaro, responsabile innovazione e tecnologie di Ener3 e del gruppo 9Ren, che ha coordinato la progettazione delle due facciate fotovoltaiche dell’Altra sede della Regione Lombardia. (Da L'Opinione)

Esplosione solare sui tetti delle case di tutta Italia

Il ricorso degli italiani a fonti di energia rinnovabili o alternative cresce a ritmi vertiginosi. Questo quanto emerge da un’indagine Istat sugli indicatori ambientali urbani, i cui dati relativi ai settori termico e fotovoltaico sono stati elaborati dalla Western Co, azienda impegnata nella progettazione e produzione di sistemi di ottimizzazione dell’energia solare fotovoltaica. Gli indicatori analizzati nei comuni capoluogo di provincia e relativi all’anno 2007 evidenziano, infatti, un utilizzo sempre piu’ diffuso sia del solare termico sia del fotovoltaico. Per quanto riguarda i pannelli solari fotovoltaici, solo il comune di Palermo nel 2000 fu il primo a installarli mentre, nel 2007, sono stati 45 i comuni che hanno adottato questo tipo di tecnologia. Nel dettaglio: Prato con 3,2kw ogni mille abitanti, Frosinone con 2,5, Parma con 2, Foggia e Ragusa con 1,9, Como con 1,1, Viterbo con 1, Pavia e Forlì con 0,9, Sondrio con 0,8, La Spezia con 0,6, Pistoia, Reggio Calabria e Pescara con 0,5, Vercelli e Torino con 0,4, Avellino, Vicenza, Biella, Massa, Venezia e Siracusa con 0,3, Napoli, Livorno, L’Aquila, Grosseto, Genova, Sassari e Brescia 0,2, Bologna, Trento, Bolzano, Treviso, Reggio Emilia, Palermo, Asti, Verona, Piacenza, Gorizia, Ravenna, Ferrara e Perugia con 0,1. Per i pannelli solari termici, troviamo al primo posto Ragusa con 2,8 metri quadrati, seguita da Udine con 2,5, La Spezia, Asti e Bolzano con 2,2, Verona e Siena con 1,9, Cagliari con 1,4, Grosseto con 1,2, Brescia con 1,1, Vercelli con 1, Reggio Emilia con 0,9, Perugia con 0,8, Como e Terni con 0,6, Sondrio, Venezia e Pavia con 0,5, Genova e Parma con 0,4, Roma e Trento con 0,3, Piacenza, Sassari, Palermo e Ferrara con 0,2, Livorno, Ravenna, Padova, Bologna e Milano con 0,1. I metri quadrati installati ogni 1.000 abitanti sugli edifici comunali sono passati da 0,16 nel 2006 a 0,24 nel 2007, mentre il numero dei comuni che ha dichiarato di installarli è cresciuto sensibilmente raggiungendo quota 31 nel 2007 contro i 6 dell’ anno 2000. (Da L'Opinione)

lunedì 6 ottobre 2008

A prevenire il riscaldamento globale si risparmia

L’Europa affacciata sul Mediterraneo potrebbe risentire particolarmente di un clima mutato: le ondate di caldo e i prolungati periodi di siccità potrebbero causare danni al turismo e all’agricoltura, oltre a far aumentare la mortalità nella popolazione anziana e a favorire la comparsa di malattie diffuse da insetti. Lo ripete il rapporto «Impatti dei cambiamenti climatici in Europa», appena pubblicato e preparato congiuntamente dal Centro comune di ricerca della Commissione Europea, dall’Agenzia europea dell’ambiente e dall’Ufficio Europeo dell’Oms. Scopo del rapporto è incoraggiare i governi locali e le stesse istituzioni europee a collaborare per studiare politiche e azioni di adattamento. A supporto, il documento fornisce dati su quanto l’investimento in adattamento possa aiutare l’economia europea. I danni derivanti dal clima che cambia sono stati già ingenti e si stima che azioni di prevenzione potrebbero far risparmiare circa un miliardo di euro all’anno.Anche i cittadini europei pensano che combattere il cambiamento climatico possa avvantaggiare l’economia. Nell’ultimo rilevamento dell’Eurobarometro, il sondaggio che la UE conduce tra i cittadini europei su diversi argomenti di interesse comune, circa 30 mila cittadini dei 27 paesi membri si sono espressi sul clima. La maggior parte degli europei considera il riscaldamento globale uno dei problemi più importanti da affrontare, più del terrorismo o della crisi economica mondiale. Tre persone su cinque credono che i cittadini possano fare qualcosa per contribuire alla lotta al cambiamento climatico e hanno già adottato comportamenti in questa direzione. Il 76% degli intervistati pensa che la parte maggiore debbano farla le istituzioni e le industrie che al momento si stanno muovendo poco per affrontare il problema. (Da L'Unità)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Il biodiesel che arriva dalle alghe

Microalghe come materia prima per produrre biodiesel. È quanto prevede il progetto Mambo (MicroAlghe: Materia prima per BioOlio), presentato da Assocostieri-Unione produttori biodiesel (Upb), in occasione della manifestazione Zeroemission Rome 2008. Obiettivo dell'iniziativa è quello di studiare le colture massive di microalghe da impiegare appunto nella produzione di biodiesel. «La crescita del prezzo degli oli», ha affermato l'amministratore delegato di Novaol e vicepresidente di Upb, Pier Giuseppe Polla, «il concetto di sostenibilità sempre più diffuso e la concorrenza ai produttori di biodiesel dai paesi emergenti ci hanno spinto a promuovere tra i nostri associati il progetto per lo studio di un biodiesel di seconda generazione ottenuto da microalghe. La finalità di questa iniziativa è, da una parte, sostituire/integrare la materia prima oggi utilizzata con altra non in competizione con coltivazioni alimentari e, dall'altra, anticipare il raggiungimento degli obiettivi previsti al 2020 dalle nuove regole sui biocarburanti in discussione a livello comunitario». La collaborazione tra l'Unione produttori biodiesel, l'Università degli Studi di Firenze, la Stazione sperimentale per le industrie degli oli e dei grassi (Ssog) di Milano, oltre ad alcune aziende, intende dimostrare la fattibilità tecnica, economica e ambientale di un impianto, che utilizzi le microalghe come materia prima. Tra le caratteristiche delle microalghe c'è quella di garantire un'elevata produttività bioenergetica. Se un ettaro coltivato a girasole o colza può produrre da 0,7 a 1 tonnellate l'anno di olio vegetale puro, un ettaro coltivato massivamente a microalghe con fotobioreattori ne può produrre dalle 10 alle 20 tonnellate. (Da Italia Oggi)

venerdì 3 ottobre 2008

Azioni drastiche, altrimenti il pianeta morirà

«Il mondo dovrà intraprendere azioni drastiche, altrimenti il nostro pianeta morirà». L'ultimo inquietante allarme sul cambiamento climatico arriva dalla Gran Bretagna. Il solitamente misurato Met Office, l'istituto nazionale per le previsioni climatiche, prevede sciagure se le emissioni di gas inquinanti non saranno ridotte brutalmente dai governi dei paesi industrializzati. Uno studio condotto dagli esperti del Met dimostra che le emissioni dovranno essere tagliate del 3 per cento a partire dal 2010, spiega Vicky Pope, direttrice dell'istituto. Questo significherebbe un drastico cambiamento delle abitudini di tutti i cittadini del mondo industrializzato. Usare l'auto diventerà un lusso, la bicicletta sarà il primo mezzo di trasporto e si dovrà ripensare anche la dieta. Uno studio del Food Climate Research Network dell'università del Surrey ha stabilito che per tamponare le conseguenze nefaste dell'effetto serra occorrerebbe consumare non più di mezzo chilo di carne e di un litro di latte alla settimana. La ricerca del Met Office poi va oltre, dipingendo il possibile scenario che si presenterebbe se i governi non agissero immediatamente, per esempio in occasione della conferenza dell'Onu di Poznan, in Polonia, che si terrà a dicembre. Se dal 2010 le emissioni si tagliassero solo dell'1 per cento, entro la fine del secolo la temperatura del globo si alzerebbe di 2,9 gradi ed entro il 2100. (Dal Messaggero)

Wwf: abbattere i gas serra per risparmiare sulla spesa sanitaria in Europa

Se l’Unione Europea deciderà di intraprendere delle serie politiche per il clima, portando al target del 30 per cento la riduzione di gas serra, il risparmio che si avrà in termini di spese sanitarie sarà di circa 76 miliardi di euro l’anno. La stima arriva da uno studio del Wwf, che analizza proprio i benefici per la salute che si realizzerebbero se l’obiettivo dell’Ue di ridurre le emissioni di gas serra dal 20 al 30 per cento entro il 2020 verrà conseguito senza ritardi.Il risparmio di spese sanitarie per il target del 20 per cento sarebbe di 51 miliardi di euro, ma salirebbe a oltre 76 se il taglio fosse del 30 per cento: ciò vuol dire che il risparmio ulteriore per l’Ue, raggiungendo l’obiettivo di riduzione delle emissioni raccomandato dal Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), sarebbe di almeno 25 miliardi di euro di spese mediche l’anno, ovvero del 48%. La stima è calcolata sulla base delle spese derivanti dalle cure mediche, dalla perdita di giorni di lavoro e dai costi sostenuti dagli ospedali. Diminuire le emissioni di gas serra del 30 per cento entro il 2020 vorrebbe dire 8.000 ricoveri in meno (5.800 con il target del 20 per cento) e circa 2 milioni di giornate di lavoro in più.Cifre, quelle dei danni alla salute legate all’inquinamento, che non accennano a ridimensionarsi: la Commissione europea stima che ogni anno 369.000 persone muoiano prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico, e che queste morti e le cure mediche associate costino il 3-9 per cento del Pil europeo.‘’Finora le discussioni sul cambiamento climatico si sono focalizzate solo sui costi per l’industria e l’economia, mentre i costi per la società sono sempre rimasti sullo sfondo'’, commenta Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia. Da qui l’impegno del Wwf Italia, che con la Campagna GenerAzione Clima supporterà la grande pressione sui parlamentari e sui governi portata avanti a livello europeo dal Wwf affinché le trattative portino a un risultato positivo per il clima. Intanto, ricorda l’associazione, due importanti appuntamenti sono alle porte: il 14-15 ottobre il Consiglio Europeo a Bruxelles vedrà i capi di Stato e di Governo discutere della questione clima. Altro appuntamento decisivo per chiudere il pacchetto europeo sul clima sarà, poi, il 20-21 ottobre con il Consiglio ambientale europeo a Lussemburgo con i ministri dell’Ambiente europei. (Ansa)

giovedì 2 ottobre 2008

Letargo impazzito e false migrazioni così l´effetto serra cambia gli animali

Entro il 2050 ci giocheremo quasi la metà degli anfibi. E´ la Zoological Society of London (Zsl) ad avvertirci che la strage dei rospi, dei tritoni e delle salamandre è in atto: la pressione congiunta del cambiamento climatico, dell´erosione degli habitat e delle malattie li sta massacrando. L´antenato della rana che gioca nel giardino di casa saltellava sulla Terra 140 milioni di anni prima dei dinosauri, i suoi discendenti potrebbero avere un futuro molto breve.Più del 32 per cento degli anfibi (assieme al 12 per cento degli uccelli e al 23 per cento dei mammiferi) è già nella lista rossa dei disperati che lottano per non scomparire. Si calcola che 165 specie di anfibi siano state cancellate dal pianeta. Una, il rospo dorato del Costa Rica, è sospettata di essere la prima eliminata direttamente dal cambiamento climatico, visto che è sparita da una foresta pluviale incontaminata. Altri biologi sostengono che, nel caso del rospo dorato, il killer sia stata una malattia, ma nel processo indiziario che vede sul banco degli accusati i combustibili fossili e le loro emissioni serra c´è una certezza: con il passare del tempo gli indizi a carico dell´imputato continuano a rafforzarsi. (Da Repubblica)

Il racconto dell'etologo: "Leopardi comuni sulle nevi dell´Himalaya"

ROMA - «L´effetto dei cambiamenti climatici? L´ultimo l´ho visto a 4.200 metri di quota, nel parco nazionale dell´Everest. Aveva la forma di un leopardo comune e si trovava dove non avrebbe dovuto stare, nell´ultimo lembo di foresta di rododendri, nell´habitat del leopardo delle nevi». Sandro Lovari, docente di etologia e gestione della fauna selvatica all´università di Siena, da 20 anni segue l´adattamento dei grandi felini negli ambienti estremi.Quindi il riscaldamento globale si traduce anche in una competizione feroce tra le specie, per dividersi un ambiente favorevole sempre più piccolo.«Proprio così. Ovviamente la competizione fa parte del grande gioco della natura, ma a questa velocità di cambiamento i rischi crescono sempre di più: non c´è tempo per adattarsi. E non c´è spazio. Il leopardo delle nevi occupava uno dei pochi territori lasciati liberi dal leopardo comune, animale di straordinaria adattabilità ma poco amante dei climi molto freddi: adesso si trova il suo rivale sulla porta di casa».Quali altri animali sentono particolarmente la pressione del caldo?«I migratori hanno seri problemi. Ad esempio i pivieri artici avevano una stagione riproduttiva ridotta al solo mese in cui le condizione climatiche erano accettabili e se la cavavano affidando cinque covate consecutive ad altrettanti maschi che le custodivano. Con la stagione mite che si allarga a due o tre mesi cosa succederà? Non si sa, ma i cambiamenti bruschi sono sempre pericolosi». (Da Repubblica)