martedì 30 settembre 2008
La Commissione ambiente della Ue boccia il compromesso sul Co2
La Commissione ambiente del Parlamento europeo ha respinto la proposta di introdurre gradualmente i nuovi limiti alle emissioni di Co2 per le auto (130 grammi per chilometro) dal 2012 al 2015, invece di imporli in un solo colpo nel 2012. Il testo di compromesso, che avrebbe dato più tempo all’industria automobilistica per adattarsi alle nuove norme, è stato bocciato con 46 voti contrari e 19 favorevoli. Per combattere contro gli effetti dei cambiamenti climatici, la Commissione europea ha proposto lo scorso dicembre un progetto di direttiva che ha lo scopo di rendere obbligatoria la riduzione delle emissioni di Co2 delle auto a partire dal 2012, con multe pesanti per i costruttori che non rispettano le nuove norme. La proposta di regolamento prevedeva che a partire dal 2012 i veicoli venduti nell’Unione Europea dovessero emettere in media meno di 130 gCo2/km, rinviando a misure complementari l’ulteriore riduzione dei 10g/km mancanti rispetto all’obiettivo generale dei 120g/km entro il 2012. Ai produttori auto sarebbe stato consentito di raggiungere l’obiettivo medio dei 130g/km attraverso tre meccanismi flessibili: una differenziazione degli obiettivi dei singoli produttori secondo il peso delle auto vendute (maggiore il peso, superiore l’obiettivo rispetto alla media dei 130g, e viceversa); un sistema di sanzioni gradualmente crescente, uguale per tutte le auto (da 20 euro per grammo di Co2/km di sforamento nel 2012 fino a 95 euro nel 2015, per tutte le auto vendute del produttore); uno scambio dei permessi di emissione fra i produttori virtuosi e quelli inadempienti nel rispetto dell’obiettivo loro assegnato (cosiddetto pooling). “La proposta della Commissione è nata debole in partenza e il Parlamento Europeo non deve prestarsi ad ulteriori annacquamenti - era il parere dell’organizzazione ambientalista gli Amici della Terra - dovrebbe semmai preoccuparsi di renderla coerente con le politiche contro i cambiamenti climatici e la mobilità sostenibile, rafforzandone l’utilità ambientale e i benefici per i consumatori. Facciamo appello agli eurodeputati affinché fissino un limite chiaro di 120 g Co2/km entro il 2012. Questo obiettivo, a portata di mano con le tecnologie oggi disponibili, comporterebbe un risparmio medio di carburante di 1,5 l/100 km rispetto alla media attuale dei consumi specifici, con un risparmio economico per l’utente di circa 2700 euro per auto”. “Nel lungo termine chiediamo una piena coerenza del voto dei parlamentari con la strategia comunitaria sul clima per il periodo post Kyoto, con l’introduzione di obiettivi per il settore auto di 80 gCo2/km entro il 2020 e di 65 g/km entro il 2025 - concludono gli Amici della Terra - Chiediamo inoltre la riduzione progressiva, se non l’abolizione, della differenziazione degli obiettivi assegnati ai produttori”. Come dimostra lo studio realizzato da Isat che sarà presentato il 3 ottobre, a Roma, nel convegno “L’auto futura: piccola, utile, intelligente”, la differenziazione degli obiettivi di Co2 dei produttori auto in base al peso non favorirà l’inversione del trend di crescita delle dimensioni delle auto e dei costi esterni dei trasporti ed è in palese contrasto con il pacchetto di provvedimenti Greening Transport, varato a luglio 2008 dalla Commissione Europea, con cui si introducono meccanismi di pedaggiamento dei veicoli basati sui danni ambientali e sulla congestione da traffico. Un altro aspetto debole del regolamento Co2 auto è il meccanismo di sanzioni proposto dalla Commissione che non è proporzionale al prezzo di vendita e, ancora una volta favorisce le inadempienze dei produttori di modelli più costosi: l’esatto contrario di un’applicazione uniforme ed equa del principio “Chi inquina Paga”.
L'energia responsabile secondo Paolo Scaroni, ad Eni.
L'Europa si riscalda più velocemente del resto del mondo
Il continente europeo si sta riscaldando piu' velocemente rispetto al resto del mondo e i governi dovrebbero investire di piu' per evitare le terribili conseguenze di questo fenomeno. L'avvertimento arriva dall'Agenzia europea per l'ambiente (European environment agency) che oggi ha diffuso i risultati dell'ultimo rapporto sul cambiamento climatico. L'aumento della temperatura media nel continente europeo e' piu' marcato rispetto al resto del pianeta. Dall'epoca pre-industriale la media europea e' cresciuta di 1,0 gradi rispetto agli 0,8 di quella mondiale. Le acque dei mari europei hanno avuto un riscaldamento medio di 1,2 gradi rispetto alla tendenza mondiale di 1,0. Secondo le stime, entro la fine del secolo l'aumento delle temperature medie in Europa potrebbe arrivare anche di 5,5 gradi. Le conseguenze di questo fenomeno, sottolinea il rapporto, si fanno sentire in tutto il continente: nelle regioni del sud aumenta il problema delle ondate di calore, della siccita', della desertificazione e cresce anche il rischio incendi. Nelle aree del nord gli inverni diventano sempre meno rigidi, ma le precipitazioni si fanno piu' violente e aumenta il rischio inondazioni. Il fenomeno e' strettamente legato al problema dello scioglimento dei ghiacciai, 1,3 per cento di neve in meno ogni decennio, e a quello dell'innalzamento del livello del mare, con un aumento previsto tra i 18 e i 59 centimetri entro il 2100. Enorme l'impatto sull'equilibrio ambientale: molte specie di uccelli, mammiferi e insetti si stanno spostando verso il nord, numerose specie di pesci subtropicali stanno popolando il Mediterraneo e anche la vegetazione sta mutando rapidamente. Il cambiamento climatico favorisce la diffusione di nuovi tipi di virus che portano grandi rischi per la salute umana. In generale, il danno economico per i paesi europei potrebbe arrivare a 3.000 miliardi di euro entro il 2100. "Molte regioni e molti settori in Europa sono particolarmente vulnerabili all'impatto del cambiamento climatico - avverte, Jacqueline McGlade, direttore esecutivo dell'Agenzia europea per l'ambiente - il miglioramento delle azioni per l'adattamento e' solo agli inizi e c'e' una forte necessita' di intensificare la prevenzione, migliorando anche lo scambio di informazioni su dati, costi ed efficienza". I governi dei maggiori paesi del mondo hanno deciso di incontrarsi nel 2009 per siglare un nuovo accordo proprio sul cambiamento climatico. Secondo l'Agenzia tutti dovrebbero impegnarsi di piu' e investire piu' risorse sulla prevenzione, ma l'attuale crisi economica potrebbe influire negativamente sull'effettivo impegno dei governi.
lunedì 29 settembre 2008
Il caso dei ghiacciai scomparsi
Sono sulle cime delle Alpi le prove più evidenti del riscaldamento globale sul nostro territorio. I dati sullo stato di salute dei ghiacciai nazionali, raccolti dal Comitato glaciologico italiano e in uscita a fine ottobre (che Panorama anticipa), confermano che quasi tutti i 200 ghiacciai sotto studio stanno arretrando a ritmo accelerato. Per i più piccoli significherà l’estinzione nel giro di qualche anno; per i più grandi, se le condizioni non muteranno, occorrerà attendere solo qualche decina di anni.
Il presidente del Comitato glaciologico, Claudio Smiraglia, spiega che i metodi da loro utilizzati sono due: il primo è quello delle variazioni frontali, che misura quanto un ghiacciaio è arretrato rispetto all’anno precedente; il secondo è il metodo della misura del bilancio di massa, cioè la variazione dello spessore del ghiaccio dalla fine di un’estate alla successiva.
A volte viene utilizzato anche un terzo metodo: il telerilevamento dal satellite. Un esperto di questo sistema, Francesco Rota Nodari, ricercatore del Cnr e del Servizio glaciologico lombardo, spiega che il suo vantaggio è fornire una visione dall’alto sia complessiva sia ripetitiva. A essere misurata è la variazione dell’area fra passaggi successivi del satellite con una risoluzione inferiore ai 30 metri per pixel.
La fase di crisi dei ghiacciai appare impressionante se osservata con ciascuno di questi metodi di rilevamento: «In quanto a spessore, da 20 anni la tendenza costante è la perdita media in un anno di un metro di ghiaccio» dice Smiraglia. «La variazione frontale annuale cambia invece da pochi metri ad alcune decine, che in casi particolari diventano un centinaio».
Molto dipende dalle dimensioni di un ghiacciaio: più grande è, maggiore è l’inerzia a fondersi. Dal momento che in Italia la maggior parte è piccola, in media decine di metri di spessore, non è un caso che si registri un grande numero di trasformazioni di ghiacciai veri e propri nei «glacionevati», cioè in esaurimento e privi di movimento. Piccoli ghiacciai già divenuti glacionevati sono diffusi in tutte le Alpi, in particolare nelle Dolomiti, nelle Alpi Giulie e nelle Marittime; sugli Appennini, anche il Calderone, nel Gran Sasso (il più a sud d’Europa) si è trasformato in un glacionevato.
Nelle Alpi occidentali perdiamo ogni anno circa 40 metri di lughezza. Si sono estinti il ghiacciaio della Porta in Valle Orco, il Galambra in Valsusa, mentre la lingua del Pré-de-Bar, in Val Ferret, è ormai coperta da detriti e pietre miste a ghiaccio nero. Questa è, in un certo senso, la fase finale della vita di un ghiacciaio, l’«estrema ratio» cui la natura ricorre per rallentare la fusione: la riduzione di spessore ghiacciato lascia maggiormente scoperte le pareti di roccia dalle quali cadono pietre e massi che ne ricoprono la superficie; si crea così una barriera al calore che rallentando la fusione permette una più lunga sopravvivenza. Questi fenomeni sono accompagnati anche dalla frammentazione nei ghiacciai più grandi, che tendono a separarsi in più tronconi, come è accaduto nella Brenva, ai piedi del Monte Bianco, pochi anni fa.
Ma sono in sofferenza tutti gli altri grandi ghiacciai italiani: Monte Rosa, Bernina, Ortles Cevedale, Adamello, Marmolada, Alpi Atesine. Inoltre, il permafrost, la parte del suolo alpino che rimane gelata tutto l’anno, sta fondendo (nel 2003 perfino ad altitudini di 4.600 metri).
Le conseguenze sono facili da immaginare. Se il Po non si è del tutto prosciugato in estati torride come quelle del 2003 lo si deve soprattutto alla presenza dei ghiacciai che hanno alimentato i bacini idroelettrici. Inoltre, lo scongelamento dei pendii provoca crolli e fratture che mettono a rischio intere regioni. Mark Lynas, giornalista scientifico del quotidiano inglese The Guardian, nel suo saggio Sei Gradi (appena uscito per Fazzi editore) scrive: «Alcune città, come Pontresina nella Svizzera orientale, hanno già cominciato a costruire dighe di terra di difesa contro le frane. Ma molte altre rimarranno indifese e impreparate, finché l’incubo non diventerà realtà e la morte non si abbatterà su di esse senza preavviso». Nonostante il tono apocalittico, c’è molto di vero in questa affermazione: quando il famoso glaciologo Wilfried Haeberli venne a sapere delle frane e dei disastri che più volte, nel 2003, ebbero luogo sul Cervino affermò: «Quella montagna si tiene insieme con il permafrost, è chiaro cosa sta succedendo».
Difficile dire come frenare questo fenomeno. La causa è alla radice: il riscaldamento globale causato dalle emissioni di origine antropica. Smiraglia, come presidente del Comitato glaciologico italiano, sta cercando di sperimentare in Alta Valtellina tecniche messe già in atto dagli svizzeri per difendere i ghiacciai usati per le piste di sci estivo: un telo di tessuto speciale che protegge neve e ghiaccio dall’energia solare. Sfortunatamente, i finanziamenti per le ricerche glaciologiche, già esigui, sono stati recentemente tagliati, ed è difficile continuare i lavori di monitoraggio. Problemi probabilmente giudicati di scarso interesse. Almeno fino a quando le conseguenze non saranno sotto gli occhi.
Cresce oltre ogni previsione l’anidride carbonica nell’atmosfera
L’emissione di carbonio in atmosfera da combustibili fossili è aumentata al ritmo del 3,5% annuo tra il 2000 e il 2007. Una velocità di crescita senza precedenti, addirittura quattro volte superiore a quella (0,9% annuo) fatta registrare nell’ultimo decennio del secolo scorso, tra il 1990 e il 1999. In termini assoluti, le emissioni annue di carbonio da combustibili fossili in atmosfera sono aumentate del 38% rispetto al 1990, passando da 6,2 a 8,5 miliardi di tonnellate. A queste emissioni bisogna aggiungere quelle derivanti dai processi di deforestazione - ancora attivi nelle foreste tropicali dell’America latina, dell’Asia e dell’Africa - pari a 1,5 miliardi di tonnellate di carbonio. In pratica, a causa delle attività umane, ogni anno in atmosfera vengono immessi 10 miliardi di tonnellate di carbonio, aggiuntivi rispetto a quelle del ciclo naturale.È anche per questo che cresce la velocità con cui l’anidride carbonica si sta accumulando in atmosfera: nel 2007 l’aumento è stato di 2,2 parti per milione (ppm)- superiore alla media del periodo compreso tra il 2000 e il 2006 (2,0 ppm per anno) e decisamente superiore alla media di accumulo dei venti anni precedenti (1,5 ppm per anno). Di conseguenza, la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto nel 2007 il valore di 383 ppm. Una concentrazione superiore del 37% rispetto a quella di epoca preindustriale e mai raggiunta, sul pianeta, negli ultimi 650.000 anni e, probabilmente, negli ultimi 20 milioni di anni. Una condizione inedita per la specie umana e forse mai sperimentata da alcuna grande scimmia antropomorfa.Sono questi, in estrema sintesi, i dati del «Carbon Budget 2007» organizzati sulla base della migliore letteratura scientifica esistente e pubblicati nei giorni scorsi dal Global Carbon Project degli Stati Uniti. Sono dai dati piuttosto importanti. Perché da essi risulta che le emissioni antropiche di carbonio stanno aumentando a un ritmo superiore a ogni scenario previsto dall’IPCC, il gruppo di scienziati che segue le questioni dei cambiamenti climatici per conto della nazioni Unite. L’IPCC - e la gran parte dei climatologi del pianeta - trova infatti una correlazione stretta tra l’aumento dell’anidride carbonica e di altri gas serra in atmosfera e i mutamenti climatici, che stiamo già sperimentando e che potrebbero portare a un ulteriore incremento della temperatura media del pianeta compresa tra 2 e 6 gradi entro la fine di questo secolo. A cosa è dovuto questo deciso e, per certi versi, imprevisto aumento delle emissioni di carbonio? Secondo gli analisti del Global Carbon Project le cause sono tre, anche se hanno un peso diverso. La prima e la più importante, responsabile per il 65% dell’aumento delle emissioni, è la crescita dell’economia umana a scala globale (vedi scheda, ndr). In realtà, un buon 15% delle emissioni antropiche di carbonio in atmosfera è dovuto alla deforestazione.Una seconda causa, cui va attribuito il 17% dell’aumento delle emissioni antropiche, è costituita dalla crescita della «carbon intensity», ovvero dalle emissioni di carbonio per unità di ricchezza prodotta. La «carbon intensity» è un indicatore dell’efficienza della produzione. Da molti anni a questa parte questo indicatore tendeva a migliorare. Da qualche anno, invece, il sistema produttivo globale non solo non sta recuperando efficienza, ma la sta perdendo. A causa, soprattutto, della crescita impetuosa di alcuni paesi, ma anche - si pensi all’Italia - della incapacità di innovare e, soprattutto, di innovare in senso ecologico.Una terza causa, infine, non meno preoccupante certo più incontrollabile delle altre due è la perdita di efficienza dei sistemi naturali - in particolare degli oceani dell’emisfero meridionale - ad assorbire carbonio. Questa perdita di capacità è responsabile del 18% dell’incremento delle emissioni di carbonio.Questi dati parlano da soli. La realtà delle emissioni antropiche di gas serra risulta peggiore del peggiore scenario preso in considerazione. Il carbonio in atmosfera si sta accumulando a velocità superiore a ogni previsione. A Rio, nel 1992, l’umanità si era impegnata, con la Convenzione sul Clima, a stabilizzare le emissioni ai livelli del 1990 in attesa di abbatterle. Al contrario, le emissioni sono aumentate di quasi il 40%. Il Protocollo di Kyoto - che impegna pochi paesi a un piccolo taglio delle emissioni - non basta. Occorre un nuovo accordo, che coinvolga tutti. Da alcune settimane Ban Ki-moon, il segretario generale delle Nazioni Unite, insiste perché questo nuovo negoziato parta subito, entro il 2008. Alla luce di questi dati la sua fretta appare più che mai giustificata.
venerdì 26 settembre 2008
Se spariscono i colori d´autunno
Il Dipartimento dell´agricoltura Usa stanzia 45.000 dollari per capire come mai il rosso degli aceri - appena più a nord, in Canada, questo albero è disegnato anche nella bandiera nazionale - sia più sfumato, meno vivo, quasi fosse malato. Le prime ricerche raccontano che la colpa è della temperatura sempre più alta che fiacca la pianta e modifica quei pigmenti che nessuna tv al plasma riuscirà mai ad imitare.«Vivo nei boschi e nelle foreste tutti i giorni - dice Giustino Mezzalira, dottore forestale e direttore di ricerca e sperimentazione di Veneto Agricoltura - e negli ultimi tempi non ritrovo più quei colori così belli che vedevo da bambino». La foresta del Cansiglio è uno dei Vermont italiani. «Anche noi abbiamo gli aceri, e pure i liquidambar ed i liriodendri che sono stati importati dall´America proprio perché stampano pennellate di colore nei nostri boschi di frassini, pini, querce, abeti? Il bosco esplode di ogni colore quando la clorofilla si degrada e lascia spazio agli altri pigmenti. Anche noi dobbiamo capire perché i colori siano oggi meno vividi. I bosco è un organismo vivo e cerca di adeguarsi al clima e solo studiandolo davvero possiamo capire i mutamenti in atto. Credo che, come negli Stati Uniti, la tavolozza si sia appannata perché l´escursione termica fra giorno e notte è sempre più debole. I mutamenti provocano anche piccoli drammi. Le cinciallegre continuano a depositare le uova nella prima settimana di aprile, perché il loro piccoli possano poi trovare tanti bruchi. Ma quando i piccoli cercano cibo, i bruchi già sono scomparsi».«Le foglie - dice Luca Mercalli, presidente della società meteorologica italiana - ci raccontano come il clima stia cambiando». In Val d´Aosta il climatologo segue un progetto dell´Arpa regionale. «Abbiamo messo sensori di temperatura dentro ai boschi e in date precise, da aprile alla fine di novembre, rileviamo le temperature. Ci sono poi singoli rami campione dei quali osserviamo e contiamo le foglie, anche qui con scadenze precise. I primi dati ci dicono ciò che era già intuibile guardando il termometro: l´aumento della temperatura provoca l´allungamento della stagione vegetativa. Le foglie spuntano con 15 giorni e anche un mese di anticipo. Insomma, la primavera è sempre più precoce, mentre la caduta delle foglie autunnali resta quasi ferma. Questo perché questa stagione, al confronto delle altre, è la meno colpita dal rialzo delle temperature».Foglie da ammirare come se fossero esposte al Louvre, foglie da studiare. «Noi teniamo sotto osservazione i larici, la pianta con foglie decidue più diffusa delle Alpi. Il bosco intero è comunque una miniera di notizie. Biologi e botanici hanno scoperto che le piante producono pollini in anticipo, rispetto al passato, e allora chi soffre di allergie deve mettersi in allarme anche in mesi nei quali prima poteva respirare. Ma, lo ripeto, a preoccupare noi studiosi del clima è questo termometro che continua a salire. La natura se n´è accorta, ovviamente, e reagisce. Gli uomini ancora no. Continuano, in gran parte, a fare finta di nulla».
Un progetto di energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni
Ue, è guerra con le case automobilistiche sull’ambiente
Esultano gli ambientalisti e pive nel sacco per i costruttori di auto. La Commissione ambiente dell’Ue ha in pratica ribaltato il regolamento sulle emissioni prodotte dalle vetture per riportarlo praticamente alla sua versione iniziale, più vicina agli ambientalisti e più distante dai desideri della lobby delle quattro ruote.Bruxelles ha di fatto respinto la proposta di introdurre gradualmente i nuovi limiti alle emissioni di Co2 per le vetture (130 grammi per chilometro) dal 2012 al 2015, invece di imporli in un solo colpo nel 2012. Il testo di compromesso, che avrebbe dato più tempo all’industria del settore per adattarsi alle nuove norme, è stato bocciato con 46 voti contrari e 19 favorevoli.«Questa sconfitta della lobby dell’auto - ha commentato Guido Sacconi, eurodeputato del Pd, presidente delle Commissione temporanea sul cambiamento climatico e relatore del rapporto sulle emissioni di CO2 delle auto - dimostra l’incapacità dell’industria di trovare una sintesi interna: c’è la linea tedesca, quella francese, italiana, britannica; ognuno pensa a se stesso. E alla fine ha prevalso il gioco dei verdi». Dal canto suo l’Acea, l’associazione che rappresenta le case automobilistiche, considera il voto a sorpresa di ieri come «un segnale sbagliato» e un’«opportunità persa di contribuire a creare un quadro realistico per far partecipare l’industria dell’auto agli sforzi Ue di riduzione delle emissioni di Co2», come sottolineato dal segretario generale Ivan Hodac.
giovedì 25 settembre 2008
Ue, le scienze sociali giocano un ruolo sui cambiamenti del pianeta
Le scienze sociali hanno un ruolo fondamentale da giocare quando si tratta di prevedere e affrontare i cambiamenti che stanno avvenendo nel Pianeta. E' questo, in sintesi, il messaggio lanciato in occasione dell'apertura di una conferenza di due giorni organizzata dalla Presidenza francese dell'Unione europea. Grazie infatti alle cosiddette 'scienze molli' molti hanno preso familiarita' con l'etichettatura indicante il consumo di energia 'A', 'B', 'C' o 'D', al momento di acquistare un elettrodomestico. Questa idea intelligente fa in modo che sia immediatamente chiaro quali elettrodomestici possono far risparmiare denaro ai consumatori e, allo stesso tempo, danneggiare meno l'ambiente, e quindi puo' influenzare l'acquisto. Il comportamento sociale, in particolare quando influisce su altri campi (come l'economia o le risorse naturali), e' al centro delle scienze sociali e delle discipline umanistiche. Secondo Domenico Rossetti, amministratore principale della direzione Scienza, economia e societa' presso la direzione generale della Ricerca della Commissione europea, l'idea di classificare gli elettrodomestici ha avuto un impatto enorme sulla comprensione del prezzo reale dell'energia. ''Se si parla in termini di kilowatt ore annue, nessuno capisce, ma se si mette una A, B, C o D, tutti comprendono facilmente'', ha spiegato. Quando si tratta di energia elettrica i consumatori non sanno quanto spendono, mentre si rendono conto, per esempio, del costo del petrolio quando fanno il pieno alla loro auto. Le bollette dell'energia elettrica in alcuni paesi sono rilasciate ogni mese, mentre in altri paesi sono trimestrali o persino annuali, a volte come stime. ''Quando si mettono 70 euro di benzina o gasolio nel serbatoio della propria auto, lo si vede immediatamente. Per quanto riguarda il consumo di elettricita', che e' una questione importantissima e aumentera' molto nei prossimi 20 o 30 anni, invece, molte persone non hanno idea di quanto consumano al giorno o alla settimana'! ', ha di chiarato Rossetti intevistato dal Notiziario dell'Ue Cordis. Se un contatore elettrico, collocato in una cucina o un bagno, ci mostrasse quanto consumiamo al giorno ed il relativo costo, forse saremmo più propensi a spegnere le luci piu' spesso.
Come il plancton reagisce al global warming
Il plancton rappresenta la fonte principale di nutrimento per molti pesci, tra cui i merluzzi, e per questo che la sua sopravvivenza è di vitale importanza per la catena alimentare e per le attività economiche basate sulla pesca.
Ora i ricercatori della Queen’s University di Belfast hanno scoperto che il plancton della specie Calanus finmarchicus, diffusa nelle coste dell’Atlantico settentrionale è in grado di sopravvivere alle variazioni climatiche.
L’effetto del cambiamento climatico sugli ecosistemi del pianeta è uno dei problemi scientifici cruciali su cui si stanno concentrando molti ricercatori in tutto il mondo.
Come riferito sui “Proceedings of the Royal Society B”, questo plancton si è adattato al riscaldamento globale seguito all’ultima era glaciale, conclusasi circa 18.000 anni fa, spostandosi verso nord e mantenendo popolazioni di ampie dimensioni, il che suggerisce che tali organismi siano in grado di seguire l’attuale trasformazione dell’habitat.
"Il nostro risultato, in contrasto con precedenti studi, suggerisce che questa specie sia in grado di spostarsi in risposta a precedenti cambiamenti nel clima terrestre secondo un processo di cruciale importanza per la sua sopravvivenza”, ha spiegato Jim Provan della School of Biological Sciences della Queen’s, che ha partecipato alla ricerca. " Inoltre, la variabilità genetica della specie, cioè il grado di differenziazione tra gli individui, è rimasta alta
mercoledì 24 settembre 2008
Il cambiamento europeo secondo L'Unione Europea
Molto spesso si parla del tempo, e la cosa non sorprende se si considera l'influenza che esso ha sul nostro umore, sul nostro modo di vestire e su ciò che mangiamo. Ma attenzione, “clima” e tempo non sono la stessa cosa. Il clima indica l'andamento medio delle condizioni meteorologiche rilevate in una determinata regione in un periodo di tempo prolungato.
Il clima ha sempre subito e continuerà a subire cambiamenti dovuti a cause naturali, fra le quali possiamo annoverare minimi mutamenti della radiazione solare, eruzioni vulcaniche che possono avvolgere il pianeta con polveri che riflettono il calore del sole verso lo spazio, nonché fluttuazioni naturali del sistema climatico in sé.
Tuttavia, le cause naturali possono spiegare questo riscaldamento solo in parte. La stragrande maggioranza degli scienziati concorda sul fatto che esso sia dovuto alle sempre maggiori concentrazioni di gas ad effetto serra che intrappolano il calore nell'atmosfera e che sono generati dalle attività umane.
Comprendere il cambiamento climatico
I raggi termici provenienti dal sole riscaldano la superficie terrestre. Quando la temperatura aumenta, il calore è irraggiato attraverso l'atmosfera sotto forma di raggi infrarossi. Una parte viene assorbita nell'atmosfera dai “gas a effetto serra”.
L'atmosfera agisce in modo simile alle pareti di una serra che lasciano passare la luce visibile e assorbono i raggi infrarossi in uscita, trattenendo il calore. Questo processo naturale è detto “effetto serra”. Senza di esso, la temperatura media globale sarebbe di circa -18°C, mentre attualmente è di +15°C.
Tuttavia le attività umane stanno aggiungendo nell'atmosfera gas ad effetto serra, in particolare anidride carbonica, metano e ossido nitroso, che accentuano l'effetto serra naturale e di conseguenza riscaldano il pianeta. Questo riscaldamento supplementare dovuto alle attività umane è chiamato effetto serra “accelerato”.
Ambiente, venerdì in Duomo a Milano un’ora di silenzio
martedì 23 settembre 2008
I convegni di ZeroEmission Rome 2008
C on 9 convegni e 332 relatori che si alterneranno in 46 sessioni ZeroEmission Rome 2008 si prospetta come l'appuntamento per scoprire le attuali applicazioni e le potenzialità degli scenari per la produzione energetica del futuro.Il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, interverrà al convegno "L'impegno delle Istituzioni nazionali e internazionali per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili", organizzato da Anev, che si terrà l'1 ottobre nel corso di Eolica Expo Mediterranean 2008. Il ministro illustrerà la politica del governo sulle energie rinnovabili in un intervento dal titolo "Azioni di sostegno per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti".
Un´Italia più calda a rischio malaria
«Andiamo incontro a tempi difficili, a una pressione climatica che rischia di azzerare i vantaggi faticosamente conquistati nei decenni in cui le condizioni di vita e di salute sono migliorate in ampie aree del pianeta». Roberto Bertollini, responsabile del rapporto tra cambiamento climatico e salute, coordina il gruppo di esperti dell´Organizzazione mondiale di sanità che sta preparando l´aggiornamento sull´impatto del global warming.L´ultima stima Oms è ormai datata: nel 2000 si parlava di 150 mila morti all´anno causati dall´incremento dell´effetto serra.«Effettivamente è una valutazione ormai superata. Anche grazie al lavoro svolto dall´Ipcc, l´Intergovernamental Panel on Climate Change, oggi abbiamo di fronte un quadro della situazione molto più preciso e possiamo affermare che la situazione è cambiata in maniera significativa sia per l´aggravarsi dei fattori che all´epoca erano già stati evidenziati, sia per l´emergere di nuove preoccupazioni».Quali sono i fattori di rischio emersi di recente?«In alcuni casi il rischio è totale: interi stati formati da piccole isole possono sparire dalla carta geografica a causa della risalita del livello dei mari. E poi non ci sono più dubbi sul drammatico aumento, sia dal punto di vista della frequenza che dell´intensità, degli eventi meteorologici estremi che hanno un impatto devastante diretto, in termini di vittime e di feriti, e strascichi pericolosi determinati dalla distruzione delle strutture sanitarie che lascia intere zone esposte al pericolo di epidemie».Un rischio che potrebbe essere ridotto adattando le infrastrutture sanitarie al nuovo clima.«Questo è uno dei temi all´ordine del giorno. Siamo di fronte a un cambiamento strutturale dell´impatto degli eventi estremi che richiede una diversa pianificazione del territorio: bisogna costruire le infrastrutture critiche dal punto di vista della difesa della salute in modo che resistano a sollecitazioni consistenti».Altri impatti sanitari non previsti?«Almeno altri due. Il primo è legato all´estendersi delle aree desertificate e alla misura degli effetti dei periodi di siccità che stanno raggiungendo una durata drammatica, come dimostra quello che è successo in Australia. Tutto ciò ha un impatto sui raccolti che si traduce in un indebolimento significativo di fasce della popolazione».Il secondo impatto?«L´aumento dei calcoli renali a seguito della crescita media della temperatura. Un fenomeno che si spiega con l´alterazione del bilancio idrico provocato dalla maggiore sudorazione».Le stime sugli effetti prodotti dalle ondate di calore e dall´allargarsi dell´area a rischio malaria e dengue sono state confermate?«Con alcune correzioni che vanno in direzione della crescita della preoccupazione. La violenza dell´ondata di calore che ha colpito l´Europa nel 2003 non era prevedibile: si è registrato un aumento di mortalità per malattie cardiovascolari che ha colpito soprattutto gli anziani e che è costato 35 mila morti in poche settimane, nel momento di picco del fenomeno. C´è chi ha calcolato che, considerando gli effetti sull´intera estate, il bilancio arrivi a 60 mila vittime. Inoltre bisogna tener presenti le conseguenze dell´esposizione delle popolazioni urbane a una quantità di ozono troposferico che cresce con il crescere dell´insolazione»La malaria potrebbe tornare in Italia?«Tutte le patologie legate agli insetti stanno minacciando zone sempre più ampie perché si allarga l´area dei tropici. L´Italia per ora rimane al margine di questo fenomeno: un ulteriore aumento della temperatura farebbe aumentare il rischio. Lo abbiamo visto anche con la chikungunya, una sorta di influenza che provoca problemi alle ossa e dolori articolari: tra luglio e agosto nella zona di Ravenna si sono registrati casi sporadici favoriti dalla presenza della zanzara tigre che, con inverni miti, potrebbe continuare a ospitare questo virus rendendo endemico un rischio che al momento non lo è».Ci sono poi i pericoli legati alla diminuzione della disponibilità di acqua pulita, che già costa la vita a 3,4 milioni di persone ogni anno.«L´insieme di queste preoccupazioni è oggetto del negoziato sul cambiamento climatico. Come Oms sottolineiamo la necessità di difendere gli investimenti per la tutela della salute nelle aree a maggior rischio e, nel maggio scorso, l´assemblea mondiale della sanità dei ministri della salute dei paesi di tutto il mondo ha deliberato di chiedere uno sforzo maggiore a livello internazionale».
Guarda l'intervista sull'energia responsabile di Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni
lunedì 22 settembre 2008
Le risorse di tutto l'anno già finite a settembre
23 settembre: è la data in cui avremo consumato tutte le risorse che la natura potrà produrre in questo anno solare. Global Footprint Network, la rete che da anni misura la nostra "impronta ecologica", ha cominciato a celebrare questo giorno calcolando che il primo Earth Overshoot Day dell'umanità (www.footprintnetwork.org/overshoot), quando il cioè il pianeta non è più riuscito ad accumulare alcuna delle proprie risorse (almeno di quelle rinnovabili), è stato il 31 dicembre 1986. Nel 1995 questa data si era già avvicinata di più di un mese, cadendo il 21 novembre. Dieci anni più tardi si è ulteriormente avvicinata di sei settimane: era, infatti, il 2 ottobre 2005. L'uso della natura da parte dell'umanità è passata dal consumo della biocapacità di mezzo pianeta nel 1961 all'equivalente di 1,4 pianeti Terra nel 2008. Se continuiamo così nel 2050 avremo bisogno di due pianeti, ma se già oggi ognuno di noi consumasse come gli statunitensi, ci vorrebbero 5 pianeti per sopportare tutta l'umanità. Che cosa fare per invertire la rotta? Innanzitutto si può capire quanto si incide davvero sulle risorse collettive con un agile calcolatore (http://www.footprintnetwork.org/gfn_sub.php?content=calculator). Genova, poi, da quest'anno ha deciso che "Fa' la cosa giusta": cambiare stile di vita, trovare le risposte e le soluzioni a questi problemi di tutti i giorni da soli è molto difficile. Ma farlo insieme a centinaia di altre persone di tutta Italia, in una delle più belle piazze d'Italia e in riva al mare, aiuta. Dal 26 al 28 settembre al Piazzale delle feste del Porto Antico si apre la prima Fiera ligure del consumo critico e degli stili di vita sostenibili che dopo Milano, Trento, Piacenza, Torino e Parma trasformerà per un giorno Genova nella capitale italiana delle economie solidali (http://www.falacosagiusta.org/). Realizzata da Arci, Fair, il gruppo d'Acquisto solidale Birulò, La Bottega Solidale, Legambiente, Mani Tese Genova, il Movimento difesa del Cittadino, Rete Lilliput e la Circoscrizione Soci di Banca Etica, da un'idea di Terre di Mezzo e con il sostegno di Comune, Provincia, Regione e del Celivo, la Fiera sarà lo spazio in cui associazioni, istituzioni ed enti locali presenteranno le proprie "buone pratiche" per cambiare modo di produrre, consumare, governare e divertirsi.
Clima, tante azioni per nulla
C' è un argomento, tra quelli comunemente ripetuti da chi si batte per stimolare a prendere iniziative contro i cambiamenti climatici, che suona estremamente convincente, ma che ad analizzarlo attentamente si rivela quasi fraudolento: questo argomento è basato sulla comparazione tra i costi dell'azione e i costi dell'immobilismo, e vi fanno ricorso quasi tutti i più importanti personaggi politici a livello mondiale.Un esempio è quello del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, che ha usato questo argomento quando ha presentato, all'inizio di quest'anno, la proposta dell'Unione Europea per contrastare i cambiamenti climatici. La Ue ha promesso di tagliare le sue emissioni di anidride carbonica (CO2) del 20% di qui al 2020, a un costo che secondo le stime della stessa Commissione si attesterebbe intorno allo 0,5 per cento del Pil, ossia, più o meno, 60 miliardi di euro l'anno. Un prezzo assai oneroso da pagare - rappresenta un incremento dei costi complessivi per la Ue almeno del 50%- e che probabilmente sarà ben maggiore (in precedenza, la Commissione ha calcolato costi doppi rispetto alla stima attuale).Barroso, però, ha chiosato la sua presentazione dicendo che «i costi sono contenuti se paragonati al prezzo dell'immobilismo». Si è spinto addirittura a pronosticare che il prezzo del non fare niente «si sarebbe potuto avvicinare addirittura al 20% del Pil». (E pazienza se questa stima probabilmente è ipergonfiata, considerando che la maggior parte dei modelli previsionali evidenziano danni per un'entità corrispondente all'incirca al 3% del Pil.) Ed ecco qua. Ovviamente, un politico dovrebbe accettare di spendere lo 0,5% del Pil per scampare costi pari al 20% del Pil. Suona assolutamente sensato; fino a quando non ti accorgi che Barroso sta mettendo a confronto problematiche completamente differenti.La spesa dello 0,5% del Pil produrrà una riduzione delle emissioni estremamente limitata (se tutti gli Stati della Ue rispettassero effettivamente i parametri fissati per il resto del secolo, le emissioni globali scenderebbero di circa il 4%).Un calo delle emissioni ditaleentità limiterebbe l'incremento della temperatura previsto per la fine del secolo di appena cinque centesimi di grado centigrado. Dunque, l'ambiziosissimo programma Ue non fermerà il riscaldamento globale e nemmeno influirà significativamente su di esso. In altre parole, se Barroso teme di dover sostenere costi pari al 20% del Pil per l'anno 2100, spendere lo 0,5 per cento del Pil ogni anno di questo secolo in pratica non inciderà minimamente su questi costi. Alla fine del secolo dovremo comunque pagare, e in più, nei 90 anni che precedono quella data, ci saremo impoveriti con le nostre mani.Il trucco funziona perché noi diamo per scontato che l'azione annullerà gli effetti dell'immobilismo, mentre ciò non è affatto vero. La cosa diventa più chiara se invece del piano di azione prefigurato da Barroso prendiamo in esame iniziative più limitate.Se Barroso fosse l'unico a sostenere questa tesi, forse potremmo ignorarlo, ma lo stesso argomento viene riproposto più e più volte da moltissimi politici di primo piano. Angela Merkel, la cancelliera tedesca, dice che tagliare le emissioni di CO2 «è economicamente sensato», perché «le conseguenze economiche dell'immobilismo sarebbero drammatiche per noi tutti». Il premier australiano, Kevin Rudd, concorda che «il costo dell'immobilismo sarebbe molto superiore al costo dell'azione ». Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha pronunciato le stesse esatte parole. Negli Stati Uniti, sia John McCain che Barack Obama usano sempre questa tesi del costo dell'immobilismo presentandola come la ragione fondamentale per sostenere tagli alle emissioni.La senatrice californiana Diane Feinstein sostiene che dovremmo tagliare le emissioni di anidride carbonica perché il fondo nevoso della Sierra, che fornisce gran parte dell'acqua potabile della California, nel 2050, a causa del riscaldamento globale, sarà ridotto del 40 per cento. Quello che omette di dirci è che anche una riduzione sostanziale delle emissioni - dai costi elevati - produrrà un effetto trascurabile sullo scioglimento delle nevi di qui al 2050. Dovremmo pensare invece a investire in strutture per lo stoccaggio dell'acqua.Lo stesso succede quando i politici si affliggono per la perdita di buona parte della popolazione di orsi polari di qui al 2050, e usano questo allarme come un argomento in favore della necessità di tagliare le emissioni, dimenticando però di dirci che una riduzione delle emissioni non produrrebbe alcun effetto concreto per gli orsi polari. Forse invece dovremmo smettere di ucciderne per la caccia 300 ogni anno.Con la tesi dell'immobilismo, spendiamo risorse ingenti in politiche che non ostacoleranno in alcun modo i cambiamenti climatici e sottraiamo risorse a politiche che invece potrebbero incidere davvero.Non accetteremmo mai che un medico consigli aspirine ultracostose e inefficaci per curare la cancrena, perché il costo delle aspirine è di gran lunga superiore al costo della perdita della gamba. E allora perché dovremmo tollerare argomenti altrettanto infondati quando si discute della decisione di politica pubblica più costosa della storia dell'umanità?Copyright: Project Syndicate, 2008.
sabato 20 settembre 2008
Problema ozono
Il problema dell'assottigliamento della fascia di ozono nella stratosfera non è più da tempo al centro dei riflettori, surclassato, fra l'altro, dal riscaldamento globale. Ma queste due spade di Damocle si incrociano in più punti, pericolosamente sopra le nostre teste. Lo strato di ozono funge da filtro per le radiazioni ultraviolette solari che possono essere dannose per la pelle umana, anche causare una parziale inibizione della fotosintesi delle piante e distruggere frazioni importanti del fitoplancton che è alla base della catena alimentare marina. L'assottigliamento della fascia si è manifestato a partire dagli anni '80, a causa dei clorofluorocarburi (Cfc), gas industriali impiegati in molti processi e merci, ad esempio nella refrigerazione. Il 16 settembre 1987 fu firmato il Protocollo di Montreal che li mise al bando, ma con periodi di tolleranza. L'accordo prevedeva una riduzione del 50% della produzione e uso dei Cfc entro il 1999. I Cfc furono sostituiti dagli Hcfc (idroclorofluorocarburi), meno dannosi per l'ozono ma comunque potenti gas serra, così come gli Hfc (quantomeno innocui per la fascia di ozono). L'anno scorso si è raggiunto un accordo per eliminare anche gli Hcfc ma non gli Hfc. Come spiega Greenpeace, è come passare «dalla padella alla brace». Intanto, se tutto andrà bene la fascia non tornerà allo spessore originario prima del 2050.
Guarda anche ''Il problema dell'energia responsabile" secondo l'amministartore delgato dell'Eni, Paolo Scaroni.
Bando da 1 milione di euro destinato alle imprese ecosostenibili
Il gruppo Pirelli promosso sull'ambiente
giovedì 18 settembre 2008
La morìa di api
La risposta degli ecosistemi agli anni caldi
Piante e suoli agiscono come spugne nei confronti del biossido di carbonio atmosferico, ma una nuova ricerca condotta presso il Desert Research Institute - centro di ricerca interuniversitario legato all'Università del Nevada a Reno e all'Università dell'Oklahoma - e pubblicata sull'ultimo numero di "Nature" ha scoperto che un anno anormalmente caldo può quasi azzerare nei due anni successivi la captazione del gas in alcuni ecosistemi a prateria.
"Questo è il primo studio che traccia quantitativamente la risposta nella captazione e nella perdita di biossido di carbonio in un intero ecosistema durante un anno anomalmente caldo", ha detto Jay Arnone, che ha diretto la ricerca. "Le risposte ritardate per più di un anno sono un drammatico ammonimento sulla fragilità di ecosistemi che hanno un ruolo chiave nel sequestro del carbonio globale."
Lo studio, durato quattro anni, è stato condotto collocando all'interno di quattro enormi camere controllate zolle profonde di terreno originario dell'Oklahoma, con tecniche appositamente studiate per recare il minimo disturbo possibile a piante, arbusti, radici e batteri che vivono in quel suolo. All'interno di questi ambienti i ricercatori hanno riprodotto giorno per giorno i cambiamenti stagionali e meteorologici, dalla pioggia alla temperatura che che si verificavano in natura.
Durante il secondo anno in metà degli ambienti sono state riprodotte le temperature tipiche di un anno normale, mentre nell'altra metà è stato simulato un anno particolarmente caldo. Mentre negli anni successivi sono state ripristinate le condizioni normali. Nel frattempo venivano costantemente monitorati i flussi di biossido di carbonio, oltre a una lunga serie di altri parametri.
I ricercatori hanno così scoperto che gli ecosistemi esposti a un caldo anomalo mostravano una netta riduzione della captazione di biossido di carbonio sia nell'anno di calura, sia nei due anni successivi, fino a un terzo di quanto viene assorbito in anni normali.
"Questa notevole riduzione nella captazione netta di CO2 era legata, nell'anno caldo, principalmente alla minore produttività vegetale dovuta alla siccità, mentre il mancato completo ristabilimento della situazione negli anni successivi era dovuto a una stimolazione ritardata del rilascio di CO2 da parte dei microrganismi del suolo in risposta alle condizioni di umidità", ha spiegato Paul Verburg, coautore dell'articolo.
"Le nostre scoperte confermano che gli ecosistemi rispondono ai cambiamenti climatici in maniera molto più complessa di quanto ci si potrebbe aspettare sulla base delle ricerche e degli esperimenti tradizionali", ha concluso James Coleman, anch'egli membro del gruppo di ricerca
Come cambia il clima a Torino secondo Luca Mercalli
Copme reagiscono gli animali ai cambiamenti climatici
mercoledì 17 settembre 2008
I rigassificatori? Quindici in lista d'attesa
La Puglia è una terra grande, ma è stretta di manica con i rigassificatori: in base alle indicazioni della Regione guidata da Nichi Vendola, si farà solamente uno dei tre impianti proposti. Quale? Difficile dirlo. Lunedì sera alla televisione ( «Porta a porta») il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha confermato l'impegno dell'Italia per l'impianto proposto a Brindisi dalla British Gas.Un impianto contestatissimo dai brindisini, qualunque Giunta esprimano, e per promuoverlo era dovuto intervenire anni fa addirittura Tony Blair, ma è un impianto già autorizzato e i cui lavori di costruzione erano già stati avviati. Enrico Monteleone, direttore generale della British Gas, è soddisfatto: l'impegno di Berlusconi è una «ulteriore conferma della solidità del progetto». Gli altri due investimenti sono della Sorgenia (Cir) a Trinitapoli (Foggia) e della catalana Gas Natural a Taranto. Nessuno di questi trova un forte consenso locale. Il progetto della Sorgenia prevede la costruzione di un approdo al largo per consentire alle navi metaniere di scaricare il metano liquido lontano dalla costa, ma il Comune vicino di Margherita di Savoia si oppone e si è immaginato di spostare altrove, per esempio nella zona di Chieuti,quell'istallazione. La società tuttavia non intende piegarsi, visto che la collocazione di Trinitapoli è tra le meglio indicate e l'impianto è del tutto sicuro anche dal punto di vista ambientale.I casi pugliesi sono una conferma degli ostacoli che trovano questi progetti: in teoria se venisse realizzata la quindicina di rigassificatori proposti, l'Italia potrebbe godere un import aggiuntivo di circa cento miliardi di metri cubi di gas l'anno, pari a tutti i consumi attuali che sono assicurati in sostanza dai soli grandi metanodotti (più un contributo dal vecchio terminale dell'Eni oggi guidata da Paolo Scaroni nel golfo della Spezia).
Settimana europea della mobilità per pulire l'aria
martedì 16 settembre 2008
Controcorrente, il (falso) allarme clima
In fondo fra tante bufale bastava una carota. Un cilindretto di ghiaccio buono per un Negroni formato famiglia. Un Calippo gigante lungo un metro e di 10 centimetri di diametro. Questo carotone pescato a 3.200 metri di profondità in Antartide ed esposto nella mostra “Atmosphera” al Meeting di Rimini è la chiave per smascherare le panzane catastrofiche degli pseudo-ecologisti del «moriremo tutti e possibilmente presto».«Negli ultimi anni si sentono troppe stupidaggini sui cambiamenti di clima - spiega il professor Elio Sindoni, direttore del dipartimento di Scienze dell’ambiente a Milano Bicocca -. E a lanciare allarmi sono sempre persone non addette ai lavori». Sì, quei vaticinii da Apocalisse del tipo «nel 2033 ci sarà il deserto in Norvegia e i salmoni migreranno a Cinisello Balsamo», oppure «in capo a 5 anni il mare arriverà a Cortina e i maestri di sci se non vorranno rimanere disoccupati dovranno insegnare immersioni». Ecco, tutte balle. Lo insegna la carota.«La trivellazione eseguita in Antartide con il progetto Epica dell’Università di Milano ha raggiunto profondità tali che si possono esaminare le particelle di aria congelate un milione di anni fa. E tramite un esame degli isotopi dell’ossigeno si può risalire alla temperatura di quel periodo». E - sorpresa delle sorprese - era la stessa di oggi. Il che testimonia due cose: che anche un milione di anni fa bisognava uscire la sera col maglioncino e «che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati e non dipendono dall’inquinamento». D’altronde la Groenlandia era “terra verde” e ora è il paradiso dei giocatori di hockey, mentre i Maya furono sterminati dalla siccità, ma non perché non avevano la marmitta catalitica. E dunque tutte le bacchettate metaforiche che ci prendiamo sulle dita ogni volta che accendiamo il climatizzatore a forza tifone? «Ci sono in ballo troppi interessi di tipo economico - continua Sindoni -, come i fondi per le energie rinnovabili». Quelli a cui anelano i sostenitori dell’eolica e della solare.Insomma, noi stiamo al capezzale della Terra e quella fa solo finta di star male? Non proprio: «Beh, non è pensabile continuare ad immettere nell’atmosfera 27 miliardi di tonnellate di CO2, ma diciamo che il pianeta non è così malmesso come si vuol far credere».E allora vediamole un po’, queste balle spaziali: «Innanzitutto la coincidenza diretta tra anidride carbonica e innalzamento della temperatura. Su Giove, Saturno e Plutone si stanno registrando surriscaldamenti di addirittura 5 gradi. La domanda è: chi è che si diverte ad andare col Suv a inquinare su Giove?». Fin troppo evidente che dipende dall’energia del Sole, mai così attivo da oltre mille anni. Con buona pace di chi sull’allarmismo ci ha fatto i soldi, come Al Gore: «Chi? Quello che da quando ha preso il Nobel guadagna 250mila dollari per un’ora di conferenza? Una delle più grandi vergogne a cui abbia assistito», si indigna Sindoni.
In Europa la riduzione di gas serra passa dalla tecnologia Ccs
lunedì 15 settembre 2008
Clima, scigliemento ghiacci potrebbe sommergere Filippine
«Gli edifici siano centrali energetiche, così salveremo il pianeta»
«Rivoluzionare l’architettura per affrontare la crisi energetica globale e i cambiamenti climatici». È il titolo del proclama lanciato da Jeremy Rifkin e già firmatoda importanti architetti di tutto il mondo, dallo statunitense Greg Lynn (appena premiato alla Biennale di Venezia con un Leone d’Oro) all’italiano Stefano Boeri, dagli spagnoli Juan Herreros e Jose Luis Vallejo ai giapponesi Kengo Kuma e Yoshiharu Tsukamoto. L’iniziativa nasce da una constatazione molto semplice: «L’aumento dei costi dell’energia sta provocando un rallentamento dell’economia globale e mettendo in difficoltà le famiglie di tutto il mondo». A questo va aggiunto che l’incremento delle emissioni di anidride carbonica proveniente dalla combustione di carburanti fossili sta facendo innalzare la temperatura della terra e che questo provocherà mutamenti climatici dalle conseguenze catastrofiche. «Noi riconosciamo che gli edifici sono i principali consumatori di energia», si legge nel proclama. Ma oggi le innovazioni tecnologiche «rendono possibile, per la prima volta, la ristrutturazione degli edifici esistenti e la progettazione e costruzione di nuovi edifici che generino tutta l’energia necessaria da fonti rinnovabili e disponibili localmente».
domenica 14 settembre 2008
Eni, 200 milioni per il fondo di solidarietà
Carbonio e clima globale: un'altra conferma
Un’analisi del ciclo globale del carbonio per gli ultimi 70.000 anni e per Era glaciale più recente ha mostrato una notevole correlazione tra i livelli di biossido di carbonio e le brusche variazioni del clima.
I risultati, pubblicati sull’ultimo numero della versione online di “Science”, gettano un'ulteriore luce sulle fluttuazioni nei gas serra e clima nel recente passato del nostro pianeta, e sembrano confermare la validità dei modelli al computer che vengono utilizzati per prevedere gli scenari futuri.
"Abbiamo identificato uno schema ben definito e coerente delle fluttuazioni del biossido di carbonio e siamo in grado di osservarne la correlazione con la temperatura negli emisferi settentrionale e meridionale”, ha spiegato Ed Brook, professore associato di scienze della terra della Oregon State University. "Si tratta di un sistema globale interconnesso di oceano e atmosfera, e i dai come questi aiutano a comprendere meglio in che modo funziona.”
venerdì 12 settembre 2008
Gran Bretagna, la difesa del clima non è reato
"Alluvioni e siccità, ecco i nemici da combattere"
«Mentre noi stiamo parlando al telefono, milioni di persone nella mia terra sono in fuga, cacciati dalle loro case dalla violenza dei cicloni. E nello stesso momento, in altri luoghi del mondo, milioni di esseri umani soffrono per la siccità che finirà per spingerne molti sulla via dell´esodo, in cerca di un luogo in cui il clima consenta di sopravvivere», Vandana Shiva, fisico, vincitrice del premio Nobel alternativo per la pace nel 1993 e animatrice di molte battaglie ambientaliste in India, lega l´esito dell´Expo di Saragozza alle cronache climatiche che mandano un messaggio sempre più chiaro.Le previsioni dell´Ipcc, la task force delle Nazioni Unite sul global warming, si stanno avverando. E il ritmo del cambiamento è addirittura superiore alle attese.«Infatti. La tendenza è stata più volte corretta tenendo conto dei nuovi dati che continuano a far crescere l´allarme. La lista degli uragani da temere si allunga, tanto che alle volte si finisce per esaurire la lista dei nomi a disposizione».Finora però l´attenzione si era focalizzata sull´abbinata clima - energia, cioè sulla necessità di intervenire sulle emissioni di anidride carbonica. Adesso la carenza di acqua sta diventando un tema centrale.«In realtà era centrale da molto tempo. Anche perché il cambiamento climatico è solo uno dei due principali responsabili del problema. L´altro è la follia della cosiddetta rivoluzione verde che ha introdotto l´agricoltura intensiva ad alto consumo di pesticidi e ad altissimo consumo idrico: la domanda di acqua, a parità di prodotto, è cresciuta di 10 volte. Una scelta irresponsabile».
giovedì 11 settembre 2008
Eni prima al mondo per sostenibilità
Un mega computer per prevedere i cambiamenti climatici
mercoledì 10 settembre 2008
Cicloni sempre più potenti per effetto dei gas serra
Il futuro delle marmotte tra caccia e clima che cambia
martedì 9 settembre 2008
«Clima, ogni settimana un giorno senza carne»
Come salvare la terra dal surriscaldamento? Senza mangiar carne un giorno alla settimana. «Sarebbe un primo passo importante», dice l'economista indiano Rajendra Pachauri, Nobel per la pace 2007 insieme al vicepresidente americano Al Gore. A capo della commissione intergovernativa dell'Onu sul cambiamento climatico, Pachauri ha spiegato ieri sulle colonne dell'Observer che il passaggio ad una dieta vegetariana per almeno un giorno alla settimana dovrebbe spianare la strada verso una drastica riduzione del consumo di carne. Basta fettine, arrosti, polli alla griglia: l'allevamento del bestiame da trasformare in carne — rossa o bianca — è all'origine di massicce emissioni di gas, provoca deforestazione, divora enormi quantità di acqua e contribuisce in modo significativo ai sempre più allarmanti malanni della Terra. Vegetariano, Rajendra Pachauri è convinto che per l'uomo è relativamente facile procedere ad un radicale cambiamento di dieta mentre è molto più complicato optare per mezzi di trasporto meno inquinanti.
Il successo del detersivo alla spina: «Paghi meno e aiuti l’ambiente»
Sono ormai tante le iniziative di enti pubblici e gruppi privati che inviato a un uso responsabile dei merci ed energie per promuovere la tutela ambientale, vedi i casi di Enel (Dai respiro all'ambiente) e di Eni ("30percento") di Paolo Scaroni
giovedì 4 settembre 2008
Ghiacci sciolti, Polo nord circumnavigabile
La strana guerra contro l´effetto serra
Se i governi non fanno abbastanza per affrontare la crescente minaccia del cambiamento climatico, toccherà agli scienziati, o magari agli inventori più audaci e creativi, escogitare un sistema per salvare la terra: producendo nuvole artificiali per riflettere i raggi del sole, allevando gigantesche colonie di alghe nei mari o addirittura aspirando via l´anidride carbonica dall´atmosfera del nostro pianeta.
Queste ed altre fantasiose soluzioni fanno parte di un rapporto speciale pubblicato da eminenti studiosi della Royal Society, convinti che ormai sia troppo tardi per ridurre l´effetto serra attraverso provvedimenti politici, che peraltro i leader della terra sembrano riluttanti ad approvare: dunque soltanto iniziative radicali, azioni estreme e rischiose, possono evitare le tragiche conseguenze di un aumento globale della temperatura.Non tutti, va detto subito, concordano con questa tesi, anzi secondo autorevoli pareri è una proposta non solo sbagliata ma controproducente, perché distrae dagli obiettivi più necessari, inducendo per certi versi a sminuire il problema. Se si può fermare l´effetto serra con uno scudo di nubi artificiali, potrebbe essere infatti l´implicito ragionamento, che bisogno c´è di ridurre l´inquinamento atmosferico e i gas di scarico? «Ma quale che sia il giudizio su tali soluzioni, vale la pena di studiarle, per comprendere se sono effettivamente realizzabili e per chiarirne gli eventuali effetti dannosi», dice Martin Jones, presidente della Royal Society, al quotidiano Guardian di Londra, che ha dedicato ieri una pagina alla questione.
Gli autori del rapporto, a cura del professor Brian Lauder della Manchester University e del professor Michael Thompson della Cambridge University, sostengono in pratica che, come dice il proverbio, a mali estremi si deve rispondere con estremi rimedi.L´inazione politica sul riscaldamento globale è diventata così grave, ritengono gli scienziati, che soltanto iniziative eccezionali, come bloccare i raggi del sole, possono evitare un catastrofico aumento della temperatura della terra nel prossimo futuro.Nonostante gli impegni presi dai leader del G8 e da altri organismi internazionali, le emissioni di gas nocivi stanno per raggiungere il livello di «650 parti per milione», che potrebbe far salire la temperatura media del pianeta di 4 gradi Celsius: un evento che, secondo il rapporto Stern sul cambiamento climatico apparso nel 2006 in Inghilterra, metterebbe da sette a 300 milioni di persone l´anno a rischio di inondazione, ridurrebbe del 30-50 per cento la disponibilità d´acqua in Africa e nel Mediterraneo, e minaccerebbe di estinzione il 20-50 per cento delle specie animali e delle piante.Le misure proposte fanno pensare alla fantascienza: aerei che spalmano nuvole artificiali in cielo per bloccare i raggi solari, coltivazioni di alghe, create scaricando enormi quantità di ferro in mare, per catturare anidride carbonica, macchinari in grado pompare la CO2 accumulatasi nell´atmosfera. «La geo-ingegneria è una perdita di tempo, la soluzione è puntare su energia solare e a vento, riducendo i consumi», replica Mike Childs dell´organizzazione ecologista Friends of the Earth. Senza contare i rischi e i costi di iniziative simili. Ma gli scienziati ci pensano lo stesso, se non altro per far capire ai politici che il tempo sta per scadere. O è già scaduto.
mercoledì 3 settembre 2008
La conferenza mondiale sul clima
E’ evidente che, dato che interagiscono con i sistemi necessari alla vita, la variabilità e i cambiamenti climatici influenzano il benessere delle società contemporanee. L’uomo da sempre osserva la natura per osservare e poi prevedere le condizioni climatiche; nei millenni ha appreso piuttosto con successo in fretta ad approfittare delle condizioni favorevoli e ad affrontare i capricci del cielo. A questo punto la domanda di servizi d’informazione e di previsione meteorologica è cresciuta per effetto dei cambiamenti climatici in atto e della vulnerabilità crescente delle popolazioni, in particolare nelle regioni dove la variabilità è più marcata e dunque più spiccata è anche l’esposizione alle catastrofi di origine naturale.
La durata dello sviluppo economico futuro nonché delle condizioni di vita dipenderà in larga parte dalla nostra attitudine e capacità di gestire i rischi associati ai fenomeni climatici estremi, la cui frequenza, intensità e ampiezza rischiano di aumentare negli anni a venire. I progressi scientifici ottenuti dalla meteorologia e dall’idrologia ci hanno permesso di avere a disposizione gli strumenti più aggiornati e di poter meglio gestire i rischi di origine climatica. I risultati dei forum regionali sulla probabile evoluzione del clima l’hanno ampiamente dimostrato.
I servizi di previsione e d’informazione climatica offrono alle società, ai governi e ai settori socio economici degli strumenti che consentono di delimitare le aree e i periodi potenzialmente a rischio e di adottare misure di prevenzione e anche di pianificare gli interventi diretti in caso di catastrofe. L’informazione meteorologica gioca oramai un ruolo importante nella progettazione, nello sviluppo e nella durata di un largo ventaglio di attività legate ai diversi settori socio economici quali l’agricoltura, l’urbanizzazione, la gestione delle risorse energetiche e idriche, nei trasporti, nel turismo così come nello sfruttamento dei sistemi infrastrutturali. Coniugate con le previsioni, le informazioni sul clima aiutano a gestire i rischi associati alla variabilità climatica consentendo di accrescere il nostro potenziale di adattamento ai cambiamenti climatici stessi.
Stern, tagliare 80% emissioni CO2 entro 2050
Interessante, a questo proposito, un’intervista rilasciata da Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni, sul tema ''consumare menglio, guadagnarci tutti".
martedì 2 settembre 2008
Alaska, nove orsi polari spersi in mare
Nuota, forza, nuota. L'orso polare sta nuotando da giorni nell'oceano Artico alla disperata ricerca di un approdo. Ha percorso già 100 miglia, una distanza incredibile, e le forze lo stanno abbandonando. Dietro di lui altri otto: forse tutti abitavano lo stesso pezzo di ghiaccio prima che si sciogliesse, lasciandoli a galla nell'acqua. Li hanno individuati per caso alcuni scienziati del governo Usa nel mare di Chukchi, in Alaska, mentre stavano facendo una ricognizione aerea su alcune piattaforme petrolifere: foto e filmati sul Daily Mail londinese. Gli elicotteri stanno monitorando gli orsi: il punto, spiegano, è che nuotano nella direzione sbagliata.
Sfida sul clima alle elezioni americane
Interessante articolo sull’espresso numero 35 dedicato al rinnovato impegno americano per contrastare i cambiamenti climatici.
“Era tempo che accadesse: pare proprio che gli Stati Uniti avranno finalmente un presidente che prenderà sul serio la questione del cambiamento del clima, tanto da passare concretamente all'azione. A meno di qualche tragico evento o di malattia, a novembre sarà eletto presidente o Barack Obama o John McCain. A differenza dell'amministrazione George Bush-Dick Cheney degli ultimi otto anni, la presidenza McCain o la presidenza Obama con ogni probabilità darà grande rilievo al cambiamento del clima, lo considererà una minaccia ad alta priorità. In passato sia Obama, il candidato democratico, sia McCain, il candidato repubblicano, sono stati in prima linea su questo fronte, anche se la strategia di Obama in materia di cambiamento climatico è molto più ambiziosa di quella di McCain e gode di forte sostegno tra gli ambientalisti statunitensi.
Obama è favorevole a ciò che l'Intergovernmental Panel on Climate Change ritiene essere indispensabile per scongiurare un catastrofico cambiamento del clima: tagliare dell'80 per cento le emissioni di gas serra globali entro il 2050. Per realizzare questo ambizioso risultato, Obama avrebbe intenzione di far entrare in vigore il sistema cosiddetto 'cap and trade' (permessi di emissione negoziabili), in virtù del quale il governo venderebbe alle corporation statunitensi i permessi per emettere gas serra, investendo gli utili da ciò derivanti nello sviluppo di energie ecosostenibili e in benefici per gli americani colpiti nel portafoglio dagli onerosi costi energetici. Oltre a ciò, Obama è favorevole a "un aumento molto più aggressivo degli standard di risparmio di carburante (per gli autoveicoli) e a uno standard che renderebbe vincolante il ricorso alle energie rinnovabili nella misura del 25 per cento entro il 2025", ha detto Gene Karpinski, direttore esecutivo della League of Conservation Voters, il più importante gruppo ambientalista statunitense che ha scelto di sostenere Obama.
McCain si colloca in una posizione migliore rispetto al resto del suo partito sul tema ambientale, ma non si spinge lontano quanto Obama. Dice infatti di voler ottenere entro il 2050 un taglio delle emissioni di gas serra del 60 per cento soltanto, ma il vero problema è che difficilmente le sue politiche potranno assicurare riduzioni di questa portata. Il sistema cap-and-trade proposto da McCain assegnerebbe gratuitamente la maggior parte dei permessi per le emissioni, scelta che gli ambientalisti criticano, considerandola una concessione alle corporation che ridurrebbe di fatto la spinta a diminuire l'inquinamento. McCain si dice favorevole anche a un potenziamento delle esplorazioni dei giacimenti di petrolio e alla costruzione di decine di impianti nucleari, mentre Obama non condivide queste proposte.
lunedì 1 settembre 2008
cambiamenti climatici
Cerchiamo fra un gruppo di amici di confrontarci e discuterne insieme.