martedì 31 marzo 2009

Obama lancia un summit sul clima

L'Amministrazione di Barack Obama ha convocato un vertice su energia e clima tra le sedici maggiori potenze mondiali, con la partecipazione anche delle Nazioni Unite, per facilitare un futuro accordo internazionale sulla lotta all'effetto serra.E l'Italia avrà un ruolo cruciale nel facilitare il nuovo round negoziale. Il «Major economies forum on energy and climate » è stato convocato per il 27 e 28 aprile al Dipartimento di Stato a Washington, a livello di rappresentanti dei Governi. Il vertice, ha aggiunto la Casa Bianca, servirà però a mettere a fuoco un appuntamento sul clima ai massimi livelli organizzato in Italia alla Maddalena, al margine del G-8 dell'8-10 luglio. Obama ha scritto al primo ministro Silvio Berlusconi una lettera nella quale si chiede l'aiuto dell'Italia per far decollare il Forum. Berlusconi, fanno sapere fonti governative italiane, ha dato il suo via libera all'appuntamento. Il vertice, che vuole sottolineare la rottura di Obama con il predecessore George W. Bush sull'ambiente, è stato esplicitamente definito ieri sera dalla Casa Bianca, in un comunicato, come un appuntamento preparatorio che culminerà fra poco più di tre mesi in un «Forum a livello di leader delle maggiori economie» ospitato dal primo ministro italiano.L'obiettivo,ha aggiunto l'Amministrazione, è quello di facilitare un dialogo «sincero» tra Paesi sviluppati e nazioni in via di sviluppo, «per generare la leadership politica necessaria a raggiungere un risultato di successo ai negoziati di Copenaghen di dicembre, nell'ambito delle Nazioni Unite, sul cambiamento climatico». Non solo: le trattative serviranno anche, ha continuato la Casa Bianca, «a far avanzare l'esplorazione di iniziative concrete e di jointventure che sappiano aumentare le forniture di energia pulita e tagliare le emissioni di gas che provocano l'effetto serra».Gli invitati da Obama al summit, accanto agli Stati Uniti, sono, nell'ordine dato dall'Amministrazione: Australia, Brasile, Canada, Cina, Unione Europea, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea, Messico, Russia, Sudafrica, Regno Unito e Danimarca, quest'ultimo Paese presidente della Conferenza Onu di Copenaghen di dicembre.L'iniziativa americana arriva dopo un'aggressiva offensiva sull'energia e sull'ambiente lanciata da Obama nei suoi primi mesi alla Casa Bianca. Il presidente ha trasformato in priorità un'agenda riformatrice anche durante la crisi economica. Nel suo stesso piano di stimolo economico da 787 miliardi di dollari per superare la recessione sono contenuti numerosi provvedimenti a favore di fonti rinnovabili di energia e di riduzioni delle emissioni. Nella sua proposta di budget al Congresso, inoltre, è previsto un sistema di "cap and trade", di compravendita di permessi di inquinamento, che abbia il traguardo di ridurre gli scarichi di anidride carbonica nell'atmosfera. Anche nel dare aiuti all'auto in crisi Obama ha insistito sulle vetture pulite. E alla guida del Dipartimento dell'Energia ha nominato un noto scienziato e ambientalista, Steven Chu. (Dal Sole 24 Ore)

Scienziati e Nobel smentiscono Obama sull'effetto serra

Mr President, sul clima ha torto». In coincidenza con l’odierno inizio del viaggio europeo di Barack Obama 114 scienziati e premi Nobel di 13 nazioni firmano un manifesto per contestare, documenti alla mano, la posizione dell’Amministrazione sui cambiamenti climatici, che è alla base delle nuove politiche energetiche.«Noi sottoscritti scienziati confermiamo che l’allarme sui cambiamenti climatici è grossolanamente esagerato» si legge nel testo redatto dal Cato Institute di Washington, pubblicato a pagamento su un’intera pagina del New York Times sotto il titolo «Con tutto il rispetto, Mr President, non è vero». Non è vero quanto ha detto Obama dopo l’elezione sul fatto che «poche sfide sono più urgenti della lotta ai cambiamenti climatici e la scienza non ha dubbi in proposito». Il centro studi Cato, di area libertaria, aveva già sfidato Obama il mese scorso pubblicando un manifesto di economisti ostili alle politiche keynesiane dell’amministrazione e ora apre un secondo fronte sul clima schierando il premio Nobel Ivar Giaever assieme a scienziati, accademici, esperti e ricercatori sui temi del clima provenienti da Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada, Germania, Pakistan, Sud Africa, Paraguay, Finlandia, Svezia, Norvegia, Spagna e anche Italia. Il nostro Paese infatti è rappresentato da Antonio Zichichi, presidente della Federazione mondiale degli scienziati, da Umberto Crescenti, ex presidente della Società geologica italiana e da Carlo-Forese Wezel, dell’Università di Urbino. L’affondo che la pattuglia di scienziati del clima lancia contro Obama punta a smantellare l’approccio sull’ambiente del quale il presidente si fa portatore in Europa al fine di promuovere nuove politiche energetiche e di accelerare una solida intesa sul taglio delle emissioni nocive alla Conferenza Onu di Copenhagen che si svolgerà alla fine di dicembre. In concreto le obiezioni raccolte dal Cato Institute sono tre. Ecco di cosa si tratta. Primo: «I cambiamenti delle temperature di superficie nel corso dell’ultimo secolo sono stati episodici, modesti e non vi è stato un netto surriscaldamento del clima negli ultimi dieci anni» come attestato dalla recente pubblicazione della Geophysical Research Letters ed anche da uno studio apparso sul Journal of Geophysical Research nel 2006. Secondo: «Dopo aver controllato l’aumento della popolazione e i valori delle proprietà» si può affermare che «non vi è stato un aumento dei danni causato da eventi dovuti al clima» come attestato da uno studio apparso nel 2005 nel Bullettin of the American Meteorological Society. Terzo: «I modelli computerizzati che prevedono un rapido cambiamento delle temperature non riescono a spiegare i recenti comportamenti climatici» come documentato nel 2007 dall’International Journal of Climatology. Da qui la conclusione: «Mr President, la sua descrizione dei fatti scientifici riguardo i cambiamenti climatici e il livello di informazione del dibattito scientifico è semplicemente non corretta». L’aver fatto riferimento ad una documentazione scientifica risalente ad alcuni anni fa è stata una scelta con la quale gli scienziati hanno voluto sottolineare come i dubbi sui cambiamenti climatici sono consolidati da tempo, smentendo quindi la tesi del premio Nobel Al Gore protagonista, con libri e un film insignito dall’Oscar, di una campagna sull’«assenza di dubbi» sul processo di surriscaldamento del clima le cui conclusioni sono state fatte proprie dalla Casa Bianca. (Da La Stampa)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’ad Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

lunedì 30 marzo 2009

Cambiamenti climatici, vertice a luglio al G8 della Maddalena

Lo ha annunciato la Casa Bianca. Gli Stati Uniti di Barack Obama intendono assumere la guida della lotta ai cambiamenti climatici. Per questo il presidente americano ha inviato i leader dei 16 Paesi più ricchi in questo forum-vertice in programma a Washington il 27 e il 28 aprile. Il forum trarrà le conclusioni al G8 della Maddalena in Italia dall'8 al 10 luglio. Lo ha reso noto la Casa Bianca. L'obiettivo finale e' giungere a un nuovo accordo sui cambiamenti climatici all'Onu. I leader invitati sono quelli di Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, India, Indonesia, Italia, Messico, Russia, Sud Africa. La Danimarca parteciperà come presidente della Conferenza del dicembre 2009 in vista di una convenzione Onu sul clima. Sono state invitate al dialogo anche le Nazioni Unite. Il presidente americano Barack Obama ha scritto una lettera al premier Silvio Berlusconi nella quale si chiede l'aiuto dell'Italia per riattivare il «Major economies Forum» sull'energia ed i cambiamenti climatici. Berlusconi ha dato il suo via libera affinchè la riunione si tenga a margine del G8 della Maddalena. (Da Il Tempo)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, ad dell’Eni

La Norvegia stringe sul clima

A qualcuno parrà singolare, quasi paradossale, che chi vive di petrolio si impegni contro il riscaldamento climatico. Altri plaudiranno alla scelta del fondo pensione norvegese di penalizzare chi vìola i limiti di emissione di Co2, escludendone i titoli dal proprio portafoglio di investimenti. Lo Statens Pensjonsfond – Utland, meglio conosciuto nella traduzione inglese di Government Pension Fund Norway, da anni è impegnato in questo tipo di scelte «etiche », che mettono al bando le società quotate in base ai comportamenti di queste ultime: per quanto riguarda i rapporti con i dipendenti, sanzionando con la vendita dei titoli chi sfrutta il lavoro minorile; o per ciò che concerne comportamenti nocivi per la collettività (tabacco, armamen-ti), oppure per quanto riguarda la tutela dell'ambiente. La Norvegia e il suo fondo pensione vivono di petrolio: una fonte di reddito che fa della Norvegia uno dei Paesi più ricchi al mondo e del fondo pensione il secondo a livello mondiale, dopo quello pubblico giapponese e il secondo fondo «sovrano» dopo l'Abu Dhabi Investment Authority. Un colosso da circa 260 miliardi di euro, cinque volte tanto l'inteso sistema dei fondi pensione italiano, che quando si muove è in grado di determinare le fortune o le sfortune delle società in cui investe.Il Parlamento di Oslo è chiamato ora a integrare il Codice Etico del fondo pensione, in vigore da cinque anni, con alcuni criteri che escludono le società che vìolano i livelli consentiti di emissione di Co2, dai 7mila titoli di cui è composto il portafoglio. Il protocollo invita le società in cui il fondo investe – e che quindi finanzia – a metter in campo entro il 2020 un modello di business sostenibile a livello ambientale, che sostituisca il carbon fossile come fonte di energia con altre più efficienti. «Pollution is a bad business », dicono quelli di Bellona, l'associazione ambientalista tra le più attive nel pressing «etico» sul Governo e sul fondo pensione pubblico.È una mossa sostenibile anche finanziariamente? Nel quartier generale del fondo rispondono orgogliosamente ricordando di essere investitori di lungo termine e responsabili sia per quanto riguarda il reddito futuro degli aderenti che per le condizioni dell'ambiente in cui costoro vivranno in futuro. Secondo stime al 2100, a lunghissimo termine cioè, il 20% del Pil verrebbe impiegato in misure d'emergenza per i danni ambientali. Per questo appare del tutto razionale che la Norvegia versi oggi l'1% del prodotto interno lordo in progetti di tutela ambientale, un miliardo nella salvaguardia dell'Amazzonia.La crisi finanziaria ha colpito duro anche questo fondo pensione: il ribasso per il 2008 è stato del 23,3%, ossia l'equivalente di 72,5 miliardi di euro; l'impennata del petrolio ha però portato circa 44 miliardi di euro nelle sue casse. Ciò non ha frenato gli interventi: pochi giorni fa la società cinese Dongfeng è stata messa al bando (lo 0,22% della capitalizzazione della società) e esclusa dal portafoglio a causa della vendita di camion militari al regime dittatoriale della Birmania. Il Comitato etico del fondo ha consigliato al fondo l'esclusione della tedesca Siemens (ne detiene l'1,34%), per le timide contromisure adottate dopo gli episodi di corruzione di cui sono stati protagonisti i manager. Il fondo ha respinto l'invito: il Governo di Oslo vuole utilizzare questa quota per influire su Siemens perchè rafforzi il suo piano anti-corruzione. (Da Il Sole 24 Ore)

venerdì 27 marzo 2009

La ricetta per il futuro fertile

problemi del sistema agricolo saranno da oggi sotto la lente della Confagricoltura per i tre giorni del Forum futuro fertile, organizzato, per il terzo anno consecutivo, dall'associazione a Taormina, in provincia di Messina. Al tavolo della tre giorni siciliana si alterneranno gli esponenti del mondo economico e agricolo. Alla ricerca di una soluzione per uscire dalla crisi economica che colpisce anche le imprese agricole. Aprirà i lavori nel pomeriggio l'intervento di Federico Vecchioni, presidente della Confagricoltura nazionale, al quale seguirà la relazione del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Quindi la prima sessione di lavori alla quale parteciperanno, tra gli altri il sottosegretario allo sviluppo economico, Adolfo Urso, il presidente della commissione agricoltura della Camera, Paolo Russo, il sottosegretario all'ambiente, Roberto Menia, il vicepresidente dell'Udc, Roberto Vietti, e Giuseppe Castiglione, presidente della provincia di Catania. La seconda giornata, domani, è quella più interessante. Nella prima sessione di lavori si parlerà di politiche europee e delle scelte dei paesi a partire dalla relazione che verrà presentata dall'economista Jacques Attali. Quindi l'intervista di Enrico Cisnetto al consigliere delegato e ceo di Intesa San Paolo, Corrado Passera. A seguire la presentazione della ricerca Astrid-Confagricoltura e gli interventi, tra gli altri, di Franco Bassanini, presidente Astrid e di Pier Ferdinando Casini, segretario dell'Udc. Nella seconda sessione mattutina, invece, si parlerà degli strumenti per le imprese trainanti con Fabio Cerchiai, presidente Ania, Corrado Faissola, presidente dell'Abi, Giorgio Guerrini, presidente della Confartigianato, Giuseppe Guzzetti, presidente delle Acri, Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, Carlo Sangalli, presidente della Confcommercio, e dello stesso Vecchioni. Nella sessione pomeridiana di domani, invece, si parlerà di agrindustria e rapporti tra imprese e università nel corso della quale interverranno, tra gli altri, Giovanni La Via, assessore all'agricoltura della Regione siciliana, Riccardo Riccardi, presidente della Banca della nuova terra, e Anna Maria Martuccelli, direttore generale della associazione nazionale bonifiche e irrigazioni. Sabato la chiusura dei lavori nella quale si discuterà del «pregiudizio della non conoscenza» con l'intervista di Bruno Vespa al premio Nobel Rita Levi di Montalcini. «Bassa crescita, flessione nei consumi, rischio di deflazione (che in Italia in effetti non c'è stata) e recessione dell'economia (che invece è arrivata, in Italia ed in Europa, con le sue dure cifre): in questo scenario sta tutta la prospettiva entro cui dobbiamo rilanciare l'economia», ha sostenuto Vecchioni. E il dibattito a Taormina partirà proprio dalla crisi alimentare mondiale. «Si può ancora parlare di crisi vera e propria?», si domanda il numero uno della Confagricoltura, «se siamo, forse, usciti dall'emergenza, restano le questioni di sempre. Mancano gli strumenti di regolazione dei mercati e, complice anche il cambiamento climatico, si accentuano gli squilibri domanda-offerta». «Confagricoltura», ha aggiunto, «conferma la sua vocazione di “sindacato di progetto” e proporrà la sua visione per investire e migliorare la redditività e l'efficienza dei vari comparti. Perché condizione per produrre è la competitività dei processi produttivi: che significa in poche parole conquistare quote di mercato e saperle mantenere». E la crisi può diventare uno strumento di crescita e di avvio di riforme strutturali «ma non con interventi spot», ha spiegato Vecchioni, «ma riforme che cambino assetto alle politiche del lavoro, che consentano di avere più innovazione e ricerca e meno burocrazia». Ma ci sono anche altre domande alle quale si tenterà di dare una risposta nel corso della tre giorni siciliana: «Come incentivare le energie rinnovabili?, quali filiere privilegiare? Fino a quando saremo costretti ad essere un paese senza Ogm (da coltivare) ma con tanti ogmi da importare (e mangiare)?». «L'agricoltura», ha concluso Vecchioni, «non è più quella di ieri, è forza nuova che garantisce e garantirà ancora sicurezza alimentare e sviluppo sostenibile». (Da MF Sicilia)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

L’Europa si svegli, l’effetto serra è un effetto patacca

Caro Granzotto, le straordinarie eruzioni vulcaniche sottomarine recentemente avvenute nell’arcipelago di Tonga hanno senza dubbio provocato l’immissione di tonnellate di gas serra nell’atmosfera, probabilmente non previste da coloro che sono seriamente impegnati a studiare il riscaldamento globale del nostro pianeta. Ma che fanno codesti vulcani? Non si rendono conto che esistono dei parametri fissati dal protocollo di Kyoto che anch’essi devono rispettare? Ma, visto che non è fino a oggi possibile ridurre l’attività vulcanica, ci dobbiamo forse aspettare che gli scienziati dell’Ipcc, l’organismo dell’Onu che vigila sui cambiamenti climatici, chiedano (in questi tempi di crisi) ai governi del mondo di destinare maggiori stanziamenti per le loro ricerche? (Lettera al Giornale)

giovedì 26 marzo 2009

Le città di domani? Come grossi animali

Parlare tanto di un futuro mentre il presente ci fa soffrire diventa inevitabilmente un rito scaramantico o un atto di fede. Anche se in questo caso non c´è nessuna prospettiva messianica. A meno che non si voglia mettere il pesante fardello di far apparire un messia sulle spalle del governo. Ad ogni modo, mentre per l´edilizia questo è l´anno della crisi, e proprio il governo studia come fare ripartire una delle macchine che fanno da traino a tutta l´economia, per architetti, urbanisti e altri addetti ai lavori il 2009 è il tempo di pensare le città del futuro. Tema principale a febbraio durante la fiera Made, Milano Architetttura Design Edilizia, ora si ripresenta, ma con protagonisti e, ovviamente, suggerimenti diversi, a Ecopolis (dal 1° al 3 aprile alla Fiera di Roma), che mette al centro la questione ambientale. Costruzioni e trasporti: due settori chiave per le città, sono anche tra le prime cause di inquinamento. Ed Ecopolis, anche se cerca risposte con ricchezza di spunti, novità (per esempio Free Duck, quadriciclo elettrico leggero per uso urbano di Ducati energia), curiosità (il più grande impianto fotovoltaico al mondo in thin film: 38 mila metri quadrati di tetti e padiglioni proprio al polo fieristico di Roma), resta imperniata proprio sulle città del futuro. Argomento all´apparenza per filosofi utopisti, futurologi alla Roberto Vacca e sceneggiatori di film onirico-avveniristici (dalla San Angeles di Blade Runner alla New York del 1997 che John Carpenter immagina nel 1981 proprio in 1997: Fuga da New York), sul quale invece si esibiscono con pragmatismo gli architetti. La relazione di apertura del convegno sul tema è di Alejandro Gutierrez, che ha avuto la fortuna di poter davvero progettare da zero un´intera città "verde": Dongtan, sull´isola Chongming alle porte di Shanghai, dove le case saranno tutte ecocompatibili e i trasporti funzioneranno solo con fonti energetiche rinnovabili. Architetto Gutierrez, il futuro delle città è il tema dominante di questo 2009. Non sarà che si costruisce con l´immaginazione nel futuro considerato che nel presente l´edilizia è quasi ferma?«L´importanza delle città adesso e in futuro riguarda motivi diversi dalla crisi. Per la prima volta nella storia più della metà degli abitanti vive nelle città, con un cambiamento radicale rispetto al passato, quando la gente viveva prevalentemente in aree agricole. Siamo diventati una razza urbana, quindi l´impatto di quello che si fa o non si fa nelle città sulla vita delle persone è fondamentale: un concetto apparentemente ovvio, ma non così evidente per quella parte di popolazione che non vive in città. In secondo luogo, le città sono le principali responsabili dei cambiamenti climatici e dei gas a effetto serra. Le persone che vivono nelle città hanno una maggiore disponibilità economica e sono impegnate ogni giorno in molteplici attività, dai viaggi tra casa e lavoro ai consumi di beni alimentari e risorse energetiche, alla produzione di rifiuti. Le città quindi da un lato sono colpevoli, ma dall´altro hanno la grande opportunità di modificare il funzionamento dell´economia e il cambiamento climatico. Innanzi tutto perchè sono entità relativamente semplici da un punto di vista amministrativo: è più semplice incidere su una nazione prendendo le decisioni giuste nelle sue città più importanti, piuttosto che agire a livello centrale e complessivo. Questa appare la strada ideale, ma occorre agire in fretta».Quali sono i problemi delle città che secondo lei vanno risolti per primi?«Il punto di partenza è considerare le città non come sistemi lineari di produzione e richiesta di beni, cultura, risorse, ma come sistemi circolari. Dobbiamo vedere le città come sistemi organici. Finora l´Occidente ha guardato alle città come consumatori di materie prime, che usano massicciamente, producendo grandi quantità di rifiuti. Pensare alle città come sistemi circolari significa pensare a come riutilizzare i grandi flussi di materiali e rifiuti all´interno del sistema urbano stesso, creando valore ed efficienza per l´economia e l´ambiente. Un esempio viene dalla Lombardia, dove in una fabbrica di automobili un imprenditore ha deciso di riciclare tutti gli scarti metallici delle macchine vecchie rivendendoli ad altre imprese per usi diversi. Un modo per dare ai rifiuti nuovo valore. In termini di sviluppo costruttivo, questo modo di pensare coinvolge tutti gli aspetti: le fognature e i rifiuti per generare energia, i materiali edili a basso consumo energetico e basso contenuto di anidride carbonica. Quindi non bisogna progettare per sistemi lineari, da una parte le fognature, dall´altra il sistema di approvvigionamento energetico, qui il progetto paesaggistico e là i trasporti: tutti gli elementi vanno sviluppati come un tutto integrato per generare efficienza». (Da Repubblica)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è ciò che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

A ognuno la sua giusta crescita

Dal libro-conversazione di Tommaso Padoa-Schioppa con Beda Romano, da oggi in libreria, pubblichiamo un ampio estratto del capitolo conclusivo «Ricordare il futuro. La crescita differenziata». Il volume affronta i temi del grande crollo della finanza.di Tommaso Padoa-Schioppa T re domande stanno davanti a noi. Quale può e dev'essere un modello di funzionamento dell'economia mondiale alternativo a quello che è finito nel Grande Crollo?Come dev'essere configurato un soggetto pubblico, un "governo", che possa sospingere il mondo verso quel modello? E infine, che cosa può fare il singolo cittadino consapevole-soprattutto se giovane- per aiutare il mondo a muovere nella direzione voluta? Non ho risposte complete, ma ho alcune convinzioni.Molti, e non da oggi, mettono sotto accusa la crescita, soprattutto i giovani. Pensano che il male della nostra società sia il desiderio sfrenato di maggiore ricchezza individuale e collettiva che ha toccato il suo parossismo negli Stati Uniti; rifiutano il consumismo, condannano lo spreco su cui si fonda buona parte della nostra economia; vedono nella crisi finanziaria la conferma di una critica che esprimevano da tempo. Ebbene, condivido questa critica. L'interpretazione della crisi in chiave di bolla dei consumi e crescita senza risparmio muove lungo le stesse linee. Ritengo però che una condanna indiscriminata della crescita in quanto tale sia semplicistica e molto pericolosa.Perché della crescita economica non si può dire né bene né male se non si specifica " crescita di chi" e se non si approfondiscono le relazioni tra i diversi " chi". La popolazione mondiale, circa sette miliardi di persone, è fatta di ricchi, poveri e affamati. I ricchi sono circa un miliardo, abitano l'Occidente e il Giappone; per essi vale la critica del consumismo; sono obesi, non magri. I poveri sono circa cinque miliardi, spesso non hanno scarpe ai piedi, né acqua corrente in casa, né pensione o sussidio di disoccupazione, sono per lo più analfabeti, mancano di cure mediche, iniziano a lavorare da bambini, ma riescono a sfamarsi e a coprirsi in qualche modo dal freddo e dalla pioggia. Gli affamati sono circa un miliardo, vivono soprattutto in Africa,ma anche in Asia e in America Latina ( quasi nessuno in Occidente o in Giappone), muoiono di fame e di malattie che da noi si curano a poco prezzo. Ebbene, il tema della crescita è difficile perché dobbiamo parlare di tre crescite diverse, non di una sola; e le tre crescite sono legate.Per i poveri e gli affamati la crescita economica dovrebbe continuare, accelerare, diffondersi; in Occidente e in Giappone, dove è fondata sul superfluo, dovrebbe invece fermarsi.Questo è ciò che lei chiamava, nella sua prima domanda,il "modello difunzionamento dell'economia mondiale"?In astratto sì; in realtà proporre quel modello come se immaginarlo e attuarlo fossero la stessa cosa è tanto pericoloso quanto lo è stata, a suo tempo, l'idea dell'economia pianificata. Il fatto è che non sappiamo né come né se quel modello possa funzionare. Sappiamo che l'attuale modus operandi dei mercati, della politica economica e della politica tout court rende quanto mai arduo attuare il tipo di crescita differenziata che ho prima ipotizzato.Perché arduo? Molti trovano del tutto ragionevole che i ricchi si accontentino di quello che hanno, per lasciar crescere i poveri e risparmiare risorse naturali.Guardiamo che cosa potrebbe significare e che difficoltà potrebbe incontrare, in realtà,l'attuazione di quel modello.Cominciamo dai ricchi, una parte preponderante della popolazione americana, europea, giapponese: essi potrebbero, per un anno o due, smettere del tutto di comprare vestiti, elettrodomestici, automezzi, mobili e altri beni durevoli, cessare di andare al ristorante, non fare neppure una vacanza in albergo senza per questo abbassare realmente il loro tenore di vita. Se lo facessero (e forse lo stanno facendo in questo momento), metterebbero in crisi la propria economia e arresterebbero anche il processo d'uscita dalla povertà dei Paesi emergenti, che producono una parte notevole dei beni che, nella nostra ipotesi, i ricchi smetterebbero di acquistare. Veniamo ai poveri: se essi raggiungessero (come più della metà di loro sta facendo) il tenore di vita dei ricchi, la pressione dell'umanità sulle risorse scarse del pianeta, soprattutto d'energia e di cibo, diverrebbe rapidamente insostenibile. Ci sarebbero carenza di cibo, accelerazione del cambiamento climatico, enorme rincaro delle materie prime;molti poveri diverrebbero ricchi, ma molti verrebbero ricacciati nella condizione di affamati, com'è avvenuto nel 2007 in India per effetto del rincaro del riso. Insomma, lo spreco dei ricchi aiuta la crescita dei poveri; la crescita dei poveri aumenta il numero degli affamati. Non posso proprio dire che nel circuito della politica economica internazionale, nel quale sono stato negli ultimi trent'anni, il problema sia stato posto in questi termini.Vuole allora dire che quel suo modello è impossibile e che l'economia di mercato ci porterà al disastro?Non penso neppure questo; penso che ci sia molto lavoro da compiere per gli studiosi, sia in campo economico sia in campo politico. Quella che ho descritto è la grande sfida dei prossimi decenni: non conosciamo il modo per vincerla, ma non la dobbiamo neppure considerare perduta. Ritengo che il modello di crescita che ho tratteggiato - la crescita differenziata sia quello verso cui si deve muovere e che la cosiddetta economia di mercato vada non soppressa, ma indirizzata verso un funzionamento che aiuti a realizzare quel modello. Di una cosa sono certo: l'economia mondiale non muoverà spontaneamente verso quel modello, nessuna mano invisibile ci piloterà in quella direzione, senza un governo gran parte dell'umanità andrà incontro a inenarrabili sofferenze.Veniamo così alla sua seconda domanda. Come dev'essere configurato questo governo,l'attore di politica economica necessario per sospingere il mondo verso un modello alternativo?Sembra quasi inconcepibile che l'economia mondiale possa essere sospinta verso un diverso modello di funzionamento dall'azione concordata di una congerie di duecento Stati sovrani, nessuno dei quali ha tra i suoi compiti istituzionali l'occuparsi dell'interesse dell'intera umanità. Torno quindi a quanto abbiamo detto di un universo kantiano nel quale regole generali abbiano il sopravvento sui poteri nazionali. Detto ciò, mi pare che nella ricerca di una risposta soddisfacente occorra mantenere due punti fermi: il mercato e la democrazia. Sarebbe un grave errore, per esempio, cercare un modello alternativo di funzionamento dell'economia mondiale sopprimendo il mercato o introducendo forme generalizzate di pianificazione. Queste sono false utopie che hanno già dimostrato di essere fallaci e di generare povertà e oppressione quando si cerca di tradurle nella realtà. Le frontiere aperte, con il libero passaggio dei beni, dei servizi, dei capitali, delle persone, sono un traguardo da difendere. Per quanto riguarda poi la democrazia, sarebbe una grave perdita se il bisogno di un governo dell'economia internazionale non contenesse gli elementi di rappresentatività e di responsabilità (in inglese si parla di accountability, il dovere di rendere conto del proprio operato) simili a quelli delle democrazie operanti entro gli Stati.Infine, la terza delle sue domande: che cosa può fare il singolo cittadino consapevole, che cosa possono fare i giovani in questo frangente?Informarsi, ragionare con la propria testa, rifiutare i luoghi comuni, non essere gregge, guardare lontano, sapersi cittadino del mondo, essere intransigente, pensare responsabilmente, sentire la politica come attività nobile. Ognuno può contribuire al buon orientamento dell'opinione pubblica, a cercare soluzioni per i problemi del proprio tempo, a inventare i piccoli passi che avvicinano a una meta grande e lontana. (Dal Sole 24 Ore)

mercoledì 25 marzo 2009

2009, anno del gorilla. Che protegge l'ambiente

Il 2009 è l’«Anno del gorilla». L'iniziativa, lanciata dal Programma dell’Onu per l'Ambiente (Unep) e dalla Convenzione sulle specie migratrici (Cms) vuole mobilitare governi e opinioni pubbliche per difendere le ultime popolazioni di gorilla in Africa.La lotta al riscaldamentoSecondo Robert Hepworth, segretario del Cms, la campagna dovrebbe raccogliere «almeno mezzo milione di euro entro l'anno»: è significativo - sottolinea - che la tutela delle aree dove vivono questi animali così prossimi all’uomo potrebbe diventare anche uno strumento nella lotta ai cambiamenti climatici: secondo l'«Atlante su carbonio e biodiversità» dell’Unep, le aree in Ruanda e Uganda sono uno dei polmoni verdi del Pianeta.«Convivenza tra noi e loro»A fare da madrina del «Year of Gorilla» è Jane Goodall, la primatologa celebre per le sue ricerche e le sue battaglie. «Le popolazioni all'interno o in prossimità delle foreste lottano per sopravvivere - spiega -. Se non le aiuteremo a trovare un modo di vivere che non costringa a distruggere la giungla, falliremo anche nello sforzo di proteggere queste meravigliose scimmie». (Da La Stampa)

I cambiamenti climatici si studiano con le nanotech

C he cosa hanno in comune i ricercatori italiani e quelli svedesi? La risposta, nient'affatto scontata, è affidata a Lars Leijonborg, ministro per l'Istruzione e la Ricerca del Governo di Stoccolma, in visita ufficiale in Italia insieme ai Reali di Svezia.«Italia e Svezia- spiega Leijonborg, 59 anni, da due e mezzo al Governo - intendono investire insieme nella ricerca sui neutroni, nelle nanotecnologie, negli studi e l'esplorazione della regione artica per trarre informazioni utili sul cambiamento climatico ». Aree di studio comuni tra scienziati italiani e svedesi e che oggi saranno oggetto di una dichiarazione congiunta tra Leijonborg e il ministro Mariastella Gelmini, nel corso del Forum Italia-Svezia organizzato da Confindustria.Italia e Svezia svilupperanno programmi congiunti?I due Paesi già collaborano,al di là dell'esistenza di accordi formali. Il progetto più concreto su cui lavoreremo insieme riguarda lo sviluppo di nuovi materiali attraverso la cosiddetta "spallazione" dei neutroni (è il processo che avviene quando particelle ad alta energia impattano nuclei di atomi producendo un flusso di neutroni, poi impiegati per produrre materiali artificiali, ndr). Inoltre esistono scienziati italiani molto competenti nello studio del Polo Nord e dei cambiamenti climatici, con i quali intensificheremo la partnership. Altri campi che rientreranno nell'accordo con il ministro Gelmini sono le nanotecnologie, l'energia sostenibile, l'alimentazione e la pesca.Investimenti ancora scarsi e legami carenti tra aziende e Università: sulla ricerca l'Italia cerca ancora un modello. Qualè l'esperienza svedese?Possiamo dire di essere tra i vertici a livello mondiale per spese dedicate alla ricerca in rapporto al Pil. L'Agenda di Lisbona poneva come obiettivo il 3%, con un punto di derivazione pubblica e un punto dai privati. La Svezia si posiziona sul 4%, con 3 punti di investimento privato. Per un ministro come me, il vantaggio è avere in casa dei giganti come Ericsson nelle telecomunicazioni e AstraZeneca nella farmaceutica, ciascuno dei quali con la sua ricerca copre quasi l'1% del Pil. Un altro punto di Pil arriva da Volvo e da altre grandi aziende private. Per quanto riguarda poi il rapporto tra le imprese e l'università, direi che il punto di vista di un ministro della Ricerca è molto parziale. Il tema decisivo è un altro...A che cosa si riferisce?Al clima e alle condizioni del fare impresa. Se manca questo, la ricerca resta per forza di cose in laboratorio. Se sei un ricercatore e sviluppi un'invenzione che potrebbe costituire un vero breakthrough tecnologico nel campo della medicina, devi essere messo in condizione di commercializzare la tua idea. Il Governo svedese, a questo scopo, attraverso degli Innovation center creati nelle università favorisce la diffusione del capitale di rischio nella fasi di "very early stage" e fornisce assistenza per passare alla commercializzazione.Quali criteri vengono seguiti nella distribuzione delle risorse pubbliche?Innanzitutto quello del merito. La quantità dei fondi che attribuiamo alle singole università è vincolata alla valutazione dei risultati conseguiti nell'anno precedente. Sui contenuti siamo fortemente orientati alla ricerca di base, sostanzialmente libera, guidata dal mercato, ma senza deviare eccessivamente dalle aree che secondo i contribuenti e la politica saranno strategiche nei prossimi anni: medicina, clima e tecnologie al loro servizio. Ci sono alcuni grandi obiettivi scientifici ai quali, non solo la Svezia ma tutta l'Europa, deve puntare: le grandi battaglie della medicina contro il cancro, l'Alzheimer, l'Aids; l'avvento su larga scala dell'auto elettrica; i sistemi per la cattura del carbonio.La Svezia ha appena compiuto una clamorosa retromarcia tornando al nucleare. Per quale motivo?La sospensione decisa nel 1998 non è stata risolutiva e ha lasciato grandi divisioni nel Paese. Adesso siamo arrivati a una sorta di storico compromesso: i reattori esistenti potranno essere sostituiti da nuovi impianti e di pari passo si svilupperanno sia la ricerca sul nucleare di quarta generazione sia quella sulle fonti rinnovabili come l'eolico, le biomasse, il solare.A giugno in Italia si svolgerà il G8 della scienza. Da osservatore esterno, la Svezia ha dei suggerimenti?A mio parere bisogna dare priorità agli obiettivi che ho appena indicato. Ma soprattutto credo che anche in questa fase di crisi internazionale occorra aumentare gli investimenti in ricerca seguendo la strada tracciata negli Stati Uniti da Barack Obama. In Europa solo una cifra intorno al 6% degli investimenti pubblici per la ricerca è finanziata da Bruxelles: troppo poco. Oggi ho incontrato anche il vostro Presidente Giorgio Napolitano, che mi è parso molto sensibile su questo tema. (Dal Sole 24 Ore)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

martedì 24 marzo 2009

Clima, i ghiacciai cambiano i confini con la Svizzera

Per millenni la natura ha imposto la sua legge all'uomo. Poi l'uomo ha iniziato a modificare la natura, a imporre che le sue ragioni contribuissero a modificare il mondo. Spostando il corso dei fiumi, bucando le montagne, rimuovendo o costruendo intere isole. Ogni tanto la natura si vendica, e impone all'uomo di cambiare molte cose. Anche i confini tra gli Stati. Ma siccome per cambiare i confini bisogna modificare i trattati, adesso la natura cambia le Leggi degli Stati, quelle votate dai Parlamenti. Italia e Svizzera si preparano a cambiare i loro confini perché il riscaldamento climatico sta sciogliendo i ghiacciai. E in alta quota, se cambiano i profili dei ghiacciai, cambiano le linee che dividono uno Stato dall'altro. Tutti sanno che i ghiacciai si ritirano, si riducono: l'allarme però deve essere serio se perfino le burocrazie svizzera ed italiana chiedono ai governi di modificare i trattati che fissano i confini. Significa che la commissione tecnica mista dell'Istituto Geografico Militare di Firenze e quella della "Swisstopo", l'agenzia cartografica federale di Berna, hanno accertato che la riduzione dei ghiacciai è talmente cospicua che i confini legali non corrispondono più alla realtà. E per questo il Parlamento italiano, su proposta del ministro degli Esteri Franco Frattini, si prepara ad autorizzare la commissione mista a fare il suo lavoro di rettifica. "Una volta i confini si stabilivano con le armi, oggi con gli esperti", dice all'AdnKronos il relatore del disegno di legge Franco Narducci, deputato del Partito democratico.
Il capo dei tecnici italiani è il generale Carlo Colella, comandante dell'IGM di Firenze. "Negli Anni Settanta io cambiai un altro confine tra Italia e Svizzera, quello di Brogeda", dice l'ufficiale, "ma fu un cambiamento dovuto all'uomo, per costruire l'autostrada Como-Lugano fu deviato il corso di un torrente". Adesso sono i ghiacciai a imporre le modifiche: "Sul Plateau Rosà del Monte Cervino, sul Monte Rosa, sul Pizzo Bernina il ghiaccio è calato molto". Se il confine è sulla displuviale del ghiacciaio, quando il ghiaccio scende la displuviale sul terreno si sposta anche per decine di metri. "Con la Svizzera i confini non erano mai cambiati, praticamente sono quelli riconosciuti dalla Costituzione italiana del 1861", dice il generale Colella: "Adesso sembra tutto in movimento, tutto potrebbe essere diverso". (da repubblica.it)

La Bei contro i cambiamenti climatici

La Banca europea per gli investimenti aumenterà i suoi interventi annuali di circa il 30% nel biennio 2009/2010. Lo ha confermato ieri il vicepresidente dell'istituto Dario Scannapieco. «Tale incremento», ha detto, «sarà realizzato mantenendo ferma la rigorosa analisi tecnica e creditizia dei progetti, tipici dell'operatività della banca, e si sta concentrando su tre filoni principali: i finanziamenti alle regioni, le iniziative finalizzate a combattere il cambiamento climatico e il sostegno alle pmi». Al 31 dicembre scorso, la Bei aveva finanziamenti in essere per circa 355 miliardi, di cui il 90% relativi a progetti nell'Unione europea. Solo in Italia, a fine 2008 erano attivi finanziamenti per 45 miliardi di cui 8,5 attivati nel 2008, quando c'è stato un incremento di attività di Bei nel nostro paese del 50%. (da Italia Oggi)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

lunedì 23 marzo 2009

Al Museo della scienza si parla di cambiamenti climatici

Gli effetti del riscaldamento globale Dopo l'inverno rigido appena trascorso, c'è chi si chiede: dov'è finito il riscaldamento globale? Lunedì 30 marzo, il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano dedicherà un'intera giornata ai cambiamenti climatici: «A mente fredda nel riscaldamento globale». Durante la conferenza, organizzata in collaborazione con Mitsubishi Electric, scienziati ed esperti spiegheranno che non c'è nulla di contraddittorio fra un inverno freddo e il progressivo riscaldamento del pianeta, perché tempo e clima sono due cose diverse, sebbene correlate. La sessione del mattino sarà dedicata al contesto scientifico di riferimento, al dibattito su cause e previsioni e alle implicazioni etiche del tema. Nel pomeriggio interverranno le autorità politiche, per parlare delle linee guida a livello nazionale e internazionale, con uno sguardo alle implicazioni economiche delle strategie di adattamento e al punto di vista dell'industria sullo sviluppo sostenibile. (Dal Corriere Economia)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa del suo ad Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

Addio branzino, resteranno calamari, alghe e meduse

Nel timore che i pesci vengano a mancare, si cercano sostituti altrettanto sani e nutrienti ispirandosi all'Oriente Meduse, alghe, calamari giganti: un giorno li porteremo in tavola al posto delle sogliole e del baccalà ? I biologi marini lanciano l'allarme: se la pesca selvaggia continua come in questi ultimi decenni, entro il 2050, il mare non avrà più pesce. Oggi, nel mondo se ne mangia in media 16,4 kg a testa l'anno (una ventina in Europa). Secondo la Food and Agricolture Organization le proteine del pesce forniscono, in media, un quinto delle proteine necessarie per l'alimentazione della popolazione mondiale. E la domanda cresce soprattutto in Occidente, essenzialmente per motivi dietetici: il pesce è per lo più ipocalorico, ha pochi grassi, poco colesterolo, molte proteine. Ma come faremo domani, se il mare non ci darà più pesce? «Non esistono alimenti del tutto insostituibili — sottolinea Andrea Ghiselli, dell'Inran, Istituto Nazionale di Ricerca per Alimenti e Nutrizione, di Roma —. «Però il pesce non ha in natura sostituti identici. Se dovessimo farne a meno bisognerebbe integrare la dieta con combinazioni di cibi diversi. Per esempio, con alimenti ricchi di grassi vegetali, come oli, frutta secca tipo mandorle, nocciole. Con un po' più di carne per le proteine e per il ferro che contiene. Però il pesce è anche ricco di iodio, elemento non facilmente reperibile altrove».Biologi e chef di cucina creativa si stanno comunque scervellando per trovare nel mare possibili alternative altrettanto abbondanti, nutrienti e appetitose. Secondo un'indagine della rivista anglosassone NewScientist, pubblicata il 7 marzo, le promesse su cui puntare sono quelle creature del mare, che si stanno sviluppando rapidamente a causa di cambiamenti climatici, inquinamento, scomparsa di pesci predatori che finiscono nelle reti. Si inizia con le meduse comparse in grandi quantità in mari depauperati come Mediterraneo, Mar Nero, Golfo del Messico, Mare del Giappone. Ne esistono varietà di 2 metri di diametro. Tipiche della cucina asiatica, essiccate e salate, in Cina finiscono nelle insalate, in Giappone nel sushi, in Tailandia le mangiano ridotte in spaghetti. Vantaggi: hanno pochi grassi, molto rame, ferro, selenio, ma poche proteine (5% contro il 17-20% del pesce). (Dal Corriere della Sera)

venerdì 20 marzo 2009

Usa, arriva l´eco-dazio ed è subito lite con la Cina

Si tinge di verde l´ultima tentazione protezionista. La Cina e il Messico hanno reagito duramente alle nuove barriere agli scambi, già varate o proposte dall´Amministrazione Obama in nome della difesa dell´ambiente. Da Pechino è arrivata una secca messa in guardia contro l´idea in discussione negli Stati Uniti, di introdurre una nuova carbon-tax � o meglio un "dazio carbonico" � sulle importazioni in provenienza da paesi che non adottano tetti alle emissioni di CO2. La proposta potrebbe colpire pesantemente i prodotti made in China sul mercato americano.L´idea di un dazio ambientalista è stata discussa esplicitamente dal nuovo segretario Usa all´Energia Steven Chu (che per un´ironia della sorte è etnicamente cinese-americano) in un´audizione al Congresso questa settimana. La sua genesi è legata alla svolta di Obama sul cambiamento climatico e le politiche ambientali. Capovolgendo la linea di George Bush, il presidente ha deciso che gli Stati Uniti adotteranno quanto prima un tetto alle emissioni di CO2 per l´industria americana, legato alla creazione di un mercato per i diritti di emissioni carboniche, cioè un sistema analogo a quello già in vigore nell´Unione europea. Affinché le imprese americane non si trovino in una situazione di svantaggio competitivo rispetto alla concorrenza estera, Steven Chu ha annunciato che l´Amministrazione Obama sta esaminando una serie di ipotesi: tra queste appunto la possibilità di colpire con un "dazio verde" i prodotti in provenienza da paesi che non applicano tetti alle emissioni di CO2 per le loro imprese. Si tratta in particolare delle potenze emergenti quali Cina e India. La Repubblica Popolare aderì a suo tempo al Trattato di Kyoto per la lotta al cambiamento climatico, ma avvantaggiandosi di una clausola prevista per i paesi emergenti che la esenta dal fissare limiti alle emissioni carboniche.La reazione di Pechino è stata una dura condanna. Xie Zhenhua, capo del comitato governativo sul cambiamento climatico, ha dichiarato: «Ci opponiamo all´uso della questione ambientale come un pretesto per praticare il protezionismo. La lotta al cambiamento climatico è una cosa e la Cina sta facendo la sua parte; introdurre dazi sulle importazioni è un´altra cosa, sono questioni ben separate che vanno affrontate in ambiti diversi». La Repubblica Popolare si sente nel mirino sia per l´alto attivo commerciale verso gli Stati Uniti, sia perché dall´anno scorso ha superato gli Usa per il volume di emissioni carboniche rilasciate nell´atmosfera. Tuttavia il governo di Pechino sottolinea che il balzo cinese nelle emissioni di CO2 è solo recente mentre il cambiamento climatico è stato provocato da decenni di inquinamento nei paesi di vecchia industrializzazione. Inoltre i leader cinesi accusano le multinazionali occidentali di avere delocalizzato le produzioni più inquinanti nei paesi emergenti.Lo scontro tra Pechino e Washington conferma che si è aperto un nuovo fronte nella marea montante del protezionismo, questa volta all´insegna delle politiche ambientali. L´Amministrazione Obama deve affrontare in casa propria le resistenze di una parte del mondo industriale. In piena recessione molte imprese americane lamentano che l´introduzione dei tetti alle emissioni di CO2 e di un mercato per i permessi sul modello europeo non farà che appesantire i costi di produzione e aggravare le difficoltà del tessuto produttivo. Di qui la tentazione di offrire in contropartita una protezione contro la concorrenza cinese. Un gesto analogo � e già entrato in vigore � ha infiammato nei giorni scorsi le relazioni tra Stati Uniti e Messico. Cedendo a un´antica richiesta del potente sindacato dei camionisti Teamsters, nonché di associazioni ambientaliste come il Sierra Club, l´Amministrazione Obama ha sospeso la libertà di accesso ai Tir messicani finché non rispettano le normative ambientali e di sicurezza degli Stati Uniti. La libera circolazione dei Tir in tutto lo spazio nordamericano era stata prevista dal trattato di libero scambio Nafta, firmato da Bill Clinton. (da Repubblica)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

"Ancora tre gradi di temperatura e la calotta antartica collasserà"

Che cosa succederà se le temperature medie del nostro pianeta dovessero aumentare di tre gradi entro la fine di questo secolo, come temuto da molti climatologi alla luce del galoppante aumento delle concentrazioni di gas serra? Questa volta la risposta arriva dalla ricostruzione di eventi del passato, piuttosto che da modelli matematici che dipingono incerti scenari futuri. Succederà che una consistente porzione della calotta glaciale antartica collasserà, inondando di acque gli oceani della Terra. La conferma che è sufficiente un aumento delle temperature apparentemente piccolo, per provocare conseguenze enormi è contenuta in un articolo apparso sull’ultimo numero di Nature a firma di un numeroso gruppo internazionale di geologi del progetto Andrill (ANtarctic geological DRILLing), fra i quali tre italiani dell’Istituto nazionale di geofisica vulcanologia (Ingv): Fabio Florindo (coordinatore del progetto), Massimo Pompilio e Leonardo Sagnotti. La ricerca, partita dall’analisi di sedimenti prelevati al di sotto della piattaforma di ghiaccio galleggiante del mare di Ross (Ross Ice Shelf), è approdata a fondamentali scoperte sull'evoluzione della calotta occidentale dell'Antartide (West Antarctic Ice Sheet) in un intervallo di tempo che va da 5 a 3 milioni di anni fa, quanto la temperatura media del nostro pianeta ed il contenuto di CO2 in atmosfera erano più alte delle condizioni attuali.
ASSE TERRESTRE - Per la prima volta è stata acquisita la certezza che la calotta polare antartica è estremamente dinamica, molto sensibile a piccole variazioni di temperatura e che, sui lunghi periodi del passato, queste fluttuazioni sono correlabili a cicliche variazioni dell'inclinazione dell'asse terrestre. «In coincidenza dei periodi relativamente più caldi, con temperature più elevate di 3 gradi rispetto a oggi, la calotta polare occidentale è periodicamente collassata –spiega il dottor Fabio Florindo dell’Ingv- . Nella regione del Mare di Ross, la piattaforma di ghiaccio galleggiante, oggi estesa come la Francia, e' andata progressivamente ritirandosi fino a dare spazio a condizioni di mare aperto. I dati raccolti da questa ricerca sono estremamente importanti per avere un’idea di quello che potrebbe accadere nei prossimi decenni in conseguenza dell’aumento incontrollato delle emissioni di gas serra in atmosfera». (Da corriere.it)

giovedì 19 marzo 2009

I cambiamenti climatici su Rai Tre

Il programma Media (ore 1,10 - Rai tre), a cura di Rai Educational, sarà dedicato oggi alla voce dei popoli. I cambiamenti climatici saranno raccontati direttamente dai testimoni del clima, un viaggio con la partecipazione del Wwf dove gli effetti del clima che cambia hanno iniziato a modificare gli scenari quotidiani. Artico e Antartico sono i luoghi dove gli effetti del cambiamento sono più evidenti.

«Nucleare e carbone? Indispensabili». Nessun alibi sull'effetto serra

Guai a illudersi. Le fonti fossili, petrolio e gas, manterranno per decenni l'assoluta supremazia nell'energia di cui avrà bisogno il nostro pianeta. Le riserve non mancano. Servono però massicci investimenti per liberare le nuove tecnologie di estrazione, e nuovi patti tra Paesi produttori e consumatori per conciliare i reciproci interessi. Ma nel frattempo l'effetto serra rischia di provocare conseguenze irreversibili. Ecco allora l'analisi e i suggerimenti degli esperti che hanno preparato l'ultimo World Energy Outlook, che sarà presentato oggi a Roma in un convegno promosso dalla sezione italiana del Consiglio mondiale per l'energia.L'analisi ci dice che i trend della domanda e dell'offerta di energia sono insostenibili per l'ambiente, per l'economia e per i difficili equilibri sociali del pianeta. «Ma questo scenario può essere cambiato. La rotta si può modificare». La ricetta? Un'azione su più fronti. Bisogna decarbonizzare le emissioni sequestrando il massimo possibile della CO2 emessa dalle fonti fossili. E bisogna accelerare, anche con incentivi pubblici, il ricorso combinato all'energia nucleare e alle nuove tecnologie capaci di rendere convenienti e diffuse le rinnovabili.Fatih Birol, nato 51 anni fa ad Ankara, è chief economist dell'Agenzia internazionale dell'energia, l'artefice dell'Outlook. Ce ne anticipa i contenuti lanciando un ammonimento: ai trend attuali le emissioni di anidride carbonica causeranno nei prossimi decenni un rialzo della temperatura media del pianeta di 6 gradi. Ben oltre i 2 gradi considerati il tetto massimo sopportabile, corrispondente a una saturazione di 450 parti per milione di CO2 nell'atmosfera, rispetto alle 380 ppm che già abbiamo disgraziatamente superato.È la premessa per la catastrofe planetaria?È evidente che il quadro attuale è insostenibile. La nostra agenzia non elabora direttamente le previsioni sulle conseguenze climatiche, ma tutti i report più autorevoli confermano che basterebbe un aumento di circa 4 gradi per avere gravi conseguenze nel lungo termine su eco-sistemi, acqua, inondazioni e salute umana, con la possibilità di cambiamenti bruschi quando non addirittura irreversibili. Dobbiamo agire subito.Per salvarci, da dove dobbiamo cominciare?Il settore energetico è uno dei primi da cui partire, se consideriamo che da solo è responsabile per più del 75% delle emissioni di CO2 mondiali. Abbiamo al massimo due decenni di tempo per invertire la rotta. E nessun alibi: molte tecnologie a basso contenuto di carbonio sono già disponibili. Devono essere diffuse. Penso ai margini per incrementare l'efficienza energetica nel settore automobilistico, nell'edilizia, nelle apparecchiature elettriche. Penso al potenziale, enorme anche oggi, per la produzione di elettricità con le rinnovabili. E guai a non sviluppare le tecnologie chiave per il futuro delle fonti fossili, dalla nuova generazione di veicoli e di carburanti alla cattura e stoccaggio della CO2.La crisi economica mondiale da una parte frena i consumi, dall'altra frena gli investimenti sulle fonti pulite. C'è chi sostiene che la crisi potrebbe essere un'opportunità per cambiare in meglio le regole del gioco.Che ne pensa?Abbiamo bisogno di una vera rivoluzione energetica. La riduzione delle emissioni nel breve periodo è una magra consolazione se gli investimenti che potrebbero portare a un futuro sostenibile sono rimandati o cancellati, o se il progresso tecnologico viene rallentato a causa della riduzione della spesa in ricerca. È importante che i governi diano slancio a questa azione, con misure di stimolo definite. Sull'efficienza,sulle rinnovabili ma anche, lo ripeto, sul migliore sfruttamnento delle fonti fossili. Anche il nucleare dovrà avere un ruolo importante.L'ultimo Outlook auspica un patto tra Paesi produttori di petrolio di gas e Paesi consumatori per un maggiore sfruttamento dei giacimenti, e suggerisce strumenti alternativi per differenziare le fonti e contenere le emissioni. Non c'è una contraddizione tra i due richiami?No. Da un lato è evidente che per ottenere un quadro energetico più sostenibile, rispettando il limite delle 450 parti per milione, è necessario perseguire tutte le opzioni per abbattere la CO2. Nello scenario che disegnamo per rispettare tale limite, dopo il 2020 tutti ma proprio tutti gli investimenti nel settore elettrico devono essere orientati a nuove centrali elettriche a zero contenuto di carbonio. Una sfida di portata storica. D'altro lato, però, anche in questo scenario il petrolio e il gas continueranno ad avere un ruolo molto importante per soddisfare la domanda mondiale di energia, specialmente nel settore dei trasporti. Per questo è fondamentale che le forniture di petrolio e gas avvengano in maniera sicura ed efficiente.Come giudica il sistema di vincoli e negoziazioni dei diritti di emissione introdotto con il protocollo di Kyoto?Un sistema di questo genere deve far parte delle misure di risposta, almeno per quan-to riguarda i Paesi industrializzati, anche perché offre la possibilità di un commercio delle emissioni capace di finanziare gli investimenti. D'altronde,in vista dell'appuntamento di Copenhagen di fine anno, durante il quale si terranno le negoziazioni per il cambiamento climatico, è chiaro che per garantire risultati tangibili le azioni devono essere concordate a livello mondiale. (Dal Sole 24 Ore)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che Eni, su iniziativa del suo amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

mercoledì 18 marzo 2009

Centrali a biomasse? Non nel mio cortile

"Le centrali a biomasse sono tra gli impianti più innocui sulla Terra. Per produrre elettricità bruciano pezzi di alberi a crescita rapida, come i pioppi, e scarti di potature: tutta roba pulita e rinnovabile. Per i contadini sarebbero un affare, perché trasformano in guadagno il costo dello smaltimento dei residui. Anche per gli abitanti dei comuni interessati potrebbero essere un’opportunità, visto che significano posti di lavoro e spesso sconti sulla bolletta della luce. Eppure, in Italia perfino le piccole e inoffensive centrali a legna sono combattute come il diavolo. Da Atena Lucana, in provincia di Salerno, a Zinasco, nel Pavese, sono 52 gli impianti elettrici di quel tipo contestati. È un fenomeno nuovo e sconcertante perché le centrali a biomasse, così come le altre a energia rinnovabile (idroelettriche, solari, geotermiche ed eoliche), fino a non molto tempo fa erano considerate virtuose e non solo accettabili ma addirittura richieste, quindi fornite di uno speciale lasciapassare ecologistico, una specie di bollino verde.
Da qualche tempo, invece, gruppi di talebani della «difesa del territorio», spesso minuscoli ma bellicosi, hanno cominciato a trattare da nemiche perfino le energie rinnovabili. Riuscendo a bloccarle, spesso trovando alleati tra politici e amministratori locali, sovente agendo anche a dispetto di questi ultimi, oltre che contro gli ambientalisti più ragionevoli e la maggioranza della popolazione, in genere estranea alle proteste o proprio contraria. Il cambiamento di approccio è stato colto e censito dal Nimby Forum (”Not in my backyard” significa: non nel mio cortile), organizzazione che da anni tiene sotto osservazione il delicato rapporto tra le comunità da una parte e dall’altra le istituzioni, le aziende e gli enti che promuovono la costruzione delle infrastrutture. Nel rapporto 2008, che viene presentato ufficialmente giovedì 12 marzo e che Panorama ha letto in anteprima, il Nimby Forum ha individuato 67 impianti a energie rinnovabili contestati in Italia, un grosso numero. E una tendenza preoccupante, proprio nel momento in cui si torna a parlare di energia atomica: “L’Italia si avvia verso il più grande caso Nimby mai osservato, quello sul nucleare” prevede Alessandro Beulcke, presidente del Forum. (Da panorama)

Edison punta 1 mld sulle rinnovabili

Edison investirà 1,1 miliardi nel settore delle energie rinnovabili in Italia e all'estero entro il 2014. Lo ha spiegato ieri alla Commissione Ambiente del Senato l'amministratore delegato di Foro Buonaparte, Umberto Quadrino, annunciando che l'obiettivo del gruppo energetico è arrivare a una capacità produttiva verde di circa 3 mila megawatt. In particolare, un forte impulso verrà dato nel settore eolico, dove la capacità di Foro Buonaparte crescerà dagli attuali 300 mw a circa 810 mw grazie allo sviluppo di nuovi progetti in Italia e all'estero. Nel settore idroelettrico è prevista una capacità installata complessiva di circa 2 mila mw grazie al potenziamento del parco di impianti in Italia, progetti all'estero e la costruzione di impianti mini hydro. Per quanto riguarda il tema del cambiamento climatico, Quadrino ha riconosciuto che gli obiettivi posti dall'Ue sono «estremamente ambiziosi ed onerosi se non si inquadrano in un contesto globale in cui anche altri Paesi assumano impegni concreti per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra». Sul fronte del risiko dell'utility, intanto, ieri è emerso che Edison potrebbe concorrere per rilevare il 100% di Pasubio Servizi, società di Schio (Vicenza) attiva nell'acquisto e vendita di gas metano ed energia elettrica che opera in 13 comuni servendo 63.000 clienti (60 milioni di ricavi del 2008). «Alla scadenza sono giunte quattro offerte vincolanti rispetto alle sei proposte non vincolanti iniziali, ma non posso fare i nomi», ha spiegato l'ad di Pasubio Group, Agostino Tognoli. Secondo fonti vicine al dossier, oltre a Edison, ha certamente presentato un'offerta vincolante anche la società trevigiana Ascopiave. Nella partita inoltre dovrebbe esserci anche Eni, mentre sul quarto nome c'è incertezza: potrebbe trattarsi di Agsm Verona in joint venture con Aim Vicenza ed Ergos Energia, oppure Hera o, ancora, Enìa. «Le offerte sono ora al vaglio del consiglio di amministrazione ed entro la settimana contiamo di dare una prima risposta. La basa d'asta è di 18 milioni», ha aggiunto Tognoli. Infine va segnalato che la sentenza del 27 novembre 2008 del Tribunale di Milano che ha stabilito in 0,4426 euro il valore del concambio nella fusione fra Edison e Italenergia (un'operazione datata 2002) sarà oggetto dell'assemblea speciale degli azionisti di risparmio Edison convocata per il prossimo 1 aprile per verificare un eventuale risarcimento del danno. Alla riunione sarà illustrato il contenuto della sentenza e le eventuali iniziative dei soci di risparmio che possono beneficiare del risarcimento del danno. Edison, che ha accantonato una somma in bilancio già nella prima semestrale 2005, sta valutando le opportune iniziative da intraprendere. (da Mf)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

martedì 17 marzo 2009

La diga che asseta

La regione del lago Turkana è la più arida del Kenya, un deserto di sabbia e pietra che segna il delicato confine con l'Etiopia, il Sudan e l'Uganda. Là l'acqua è il bene più prezioso, tanto che si cammina fino a otto ore sotto il sole battente per riportarne a casa qualche litro. Negli ultimi anni la siccità ha ridotto sensibilmente le piogge e i corsi d'acqua stagionali restano asciutti per la maggior parte del tempo. Questa è la terra di Turkana, Borana, Samburu e Dasanech, comunità pastorali prevalentemente nomadi, da sempre in conflitto per lo sfruttamento delle scarse risorse disponibili. Sopravvivono allevando cammelli, capre, asini e contendendosi un terra impervia e l'accesso alle poche forniture idriche disponibili. In questo ambiente ostile il lago è una risorsa fondamentale. Per alcune comunità è l'unica fonte di acqua che, nonostante sia salina, viene utilizzata per tutti gli usi domestici e per abbeverare il bestiame. Negli anni queste popolazioni dalle tradizioni millenarie hanno diversificato l'attività produttiva dedicandosi anche alla pesca. Attraverso una rudimentale catena di distribuzione e commercio, il pesce del lago Turkana arriva sui mercati di Nairobi e viene venduto anche in Uganda. Si stima che fra pescatori, distributori, commercianti e trasportatori la pesca sia l'unica fonte di reddito per 10mila famiglie, che da queste parti significa 80mila persone. Questo fragile sistema di relazioni ecologiche e sociali potrebbe collassare per sempre se la costruzione della diga Gilgel Gibe III arriverà a compimento. Il fiume Omo scorre per 600 chilometri in Etiopia, garantendo il 90% dell'acqua del lago Turkana. E proprio sul bacino dell'Omo il sodalizio fra il governo etiope e una nota azienda italiana, la Salini Costruttori S.p.A, ha dato vita al progetto della diga di Gibe III, che potrebbe generare una crisi ambientale e umanitaria senza precedenti in una regione tradizionalmente instabile. La diga, in costruzione dal 2006, sbarrerà completamente il corso del fiume con un muro di 240 metri, 500 chilometri a nord del Lago Turkana. In Etiopia, anche la valle dell'Omo è popolata da numerosa comunità indigene che vivono di agricoltura tradizionale basata sulle piene del fiume. Durante la stagione delle piogge, le esondazioni irrigano naturalmente le terre depositando la materia organica che ne aumenta la fertilità, la stessa tecnica utilizzata dagli antichi Egizi lungo le sponde del Nilo. Ma in termini di siccità sarà la regione del Turkana a pagare il prezzo più alto. Si stima che il livello del lago scenderà di 10-12 metri aumentando la concentrazione salina dell'acqua e compromettendo definitivamente l'uso domestico e per l'allevamento. La biodiversità acquatica sarà drasticamente ridotta, creando una crisi irreversibile dell'economia locale. I conflitti fra le popolazioni locali saranno esacerbati dal deterioramento ambientale e dall'aumento della povertà. Tutto ciò potrebbe avvenire sotto il segno dello sviluppo. La diga avrà un costo complessivo di un miliardo e 800 milioni di euro e potrebbe ricevere il sostegno della Banca Africana di Sviluppo e della Banca Europea per gli Investimenti. I soldi dei contribuenti europei così asseterebbero ulteriormente una regione già duramente colpita dal cambiamento climatico e farebbero precipitare questa ampia zona dell'Africa subshariana in una nuova spirale di conflitti. (da Il manifesto)

Acqua, nel 2030 avrà sete un abitante su due

A secco, costretta a dividersi una risorsa limitata e sempre meno accessibile. Di qui al 2030 quasi la metà della popolazione mondiale si troverà a vivere in zone definite ad alto stress idrico, il che tradotto significa che ci sarà ben poca acqua da spartirsi. In Africa già da un decennio prima i cambiamenti climatici metteranno a dura prova tra i 75 e i 250 milioni di persone. Siccità e desertificazione moltiplicheranno il numero dei profughi, intere popolazioni - tra i 24 e i 700 milioni - saranno in fuga alla ricerca di acqua. Nuovi conflitti si innescheranno per difendere o accaparrarsi le risorse necessarie.Non promette niente di buono il terzo Rapporto Onu sullo stato di salute delle risorse idriche planetarie, presentato ieri al V Forum mondiale organizzato dal Consiglio mondiale dell’acqua, che a Instabul ha visto una partecipazione record: 30.000 partecipanti, 3000 organizzazioni, una ventina di capi di Stato e di governo, 180 ministri dell’ambiente - per l’Italia Stefania Prestigiacomo.
POVERI E ASSETATI«Colmare il divario per l’acqua», questo il titolo dell’evento. E di strada da fare, a giudicare dal rapporto Onu ce n’è fin troppa. Ogni 17 secondi un bambino muore per una banale diarrea, dovuta all’indisponibilità di acqua pulita e di impianti fognari. La mappa della povertà pressoché coincide con quella dell’inaccessibilità di risorse idriche: quelli che vivono con 1,25 dollari al giorno sono gli stessi che non possono bere acqua pulita. Mentre metà della popolazione mondiale soffre la sete, il consumo di acqua non è mai aumentato tanto come negli ultimi cinquant’anni - è triplicato - soprattutto a causa della crescita demografica. Attualmente la popolazione mondiale sale di 80 milioni all’anno, una pressione che produce un aumento dei consumi d’acqua pari a 64 miliardi di metri cubi annui. Di qui al 2050 la popolazione mondiale passerà dai 6,6 miliardi attuali a circa 9 miliardi, e l’aumento sarà concentrato soprattutto nelle zone dove già le risorse idriche scarseggiano. L’agricoltura che già oggi assorbe il 70% circa delle risorse idriche, se non si introdurranno nuovi metodi di qui al 2050 inghiottirà il 90% dell’acqua disponibile. (da L'Unità)

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidata dall’ad Paolo Scaroni

lunedì 16 marzo 2009

Effetto serra: se non rallenta orsi polari estinti entro il 2100

Se non si rallenta il riscaldamento del pianeta alcune specie di animali spariranno: alcune entro il 2050 altre, come gli orsi polari, entro la fine del secolo. Anche per queste ragioni scatta l'"Earth Hour", una simbolica ora al buio in tutto il Mondo per sensibilizzare opinione pubblica e governi sulla necessità di interventi urgenti per salvare la vita di piante e animali, tra i quali ci siamo anche noi. Alle 20.30 del 28 marzo verrà spenta la luce per un’ora in una grande Ola planetaria di buio. Mancano 14 giorni. Intanto sono arrivate le conclusioni del Congresso Internazionale sul Cambiamento Climatico che si è svolto a Copenaghen dal 10 al 12 marzo e che ha visto il contributo nei vari campi della scienza climatica di 1600 scienziati da più di 70 paesi. Le osservazioni sui livelli di emissione globale di gas serra «rendono sempre più probabili i peggiori scenari tra quelli realizzati dall'Ipcc (Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici)». Gli scienziati avvertono che «si evidenzia un andamento tale da far ipotizzare un accresciuto rischio, per il futuro, di cambiamenti climatici bruschi e irreversibili». (da Corriere.it)


Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

Come cambia il fitoplancton antartico

Via via che il clima freddo e asciutto della Penisola antartica diventa sempre più caldo e umido, il fitoplancton, il primo anello della catena alimentare della fauna marina va diminuendo nella parte nord della penisola e aumentando in quella sud, come sostengono i ricercatori della Rutgers University Martin Montes-Hugo e Oscar Schofield sull'ultimo numero della rivista “Science”.Il loro articolo “Recent Changes in Phytoplankton Communities Associated with Rapid Regional Climate Change Along the Western Antarctic Peninsula”, traccia infatti un quadro esaustivo a partire dagli ultimi 30 anni di dati ottenuti da satellite.La Penisola Antartica è la regione più settentrionale dell'Antartide che si potende verso la Terra del Fuoco, l'estremo lembo meridionale del Sud America. Complessivamente, i livelli di fitoplacton della regione sono diminuiti del 12 per cento negli ultimi tre decenni."La novità è che stiamo rilevando per la prima volta un cambiamento nella concentrazione e nella composizione del fitoplancton lungo le coste della Penisola Antartica associata a una modificazione a lungo termine del clima”, ha commentato Montes-Hugo. "Questi cambiamenti possono spiegare in parte l'osservata diminuzione di alcune popolazioni di pinguini.”Alcune ricerche hanno infatti evidenziato come le popolazioni di pinguini di Adelia, le cui abitudini di vita richiedono un clima molto freddo, si siano ridotte drasticamente in anni recenti nella parte settentrionale della penisola, mentre le popolazioni di pinguini sub-antartici, come i pinguini della specie Pygoscelis antarctica sono aumentati."Ora sappiamo che i cambiamenti climatici stanno avendo un impatto sulla prima parte della catena alimentare” ha spiegato Hugh Ducklow, coautore dell'articolo e condirettore dell'Ecosystems Center del Marine Biological Laboratory di Woods Hole, nel Massachusetts.Gli scienziati hanno da tempo notato che la Penisola Antartica si sta riscaldando più velocemente di qualunque altra parte del mondo durante l'inve (Da

venerdì 13 marzo 2009

Un'antica tecnologia che potrebbe salvare il pianeta

In questo preciso momento, migliaia di scienziati – e anche migliaia di imprenditori – stanno scrutando nel futuro per cercare migliaia di soluzioni diverse ai problemi energetici e climatici del mondo. Nuove generazioni di tecnologia solare, per mietere meglio i fotoni che piovono dalla nostra stella. Il bersaglio sfuggente della fusione nucleare, sulla carta più sicura e potente della fissione che usiamo oggi. Addirittura giganteschi ombrelli da lanciare in orbita, per abbassare la temperatura qualora gli equilibri del clima rischiassero un giorno di andare fuori controllo.Eppure, una soluzione grandiosa – facile, vantaggiosa e perfino economica – potrebbe nascere scrutando nel passato.La leggenda di Eldorado è sopravvissuta per un paio di secoli, fino a morire per mancanza di prove. Nel 1542, il conquistador Francisco De Orellana si avventura nel cuore dell'Amazzonia in cerca di oro e – al ritorno – racconta di aver visto una fiorente civiltà nel cuore della foresta pluviale: villaggi, fattorie, mura fortificate. Si alimenta così il mito di un re dorato che governa una città ricca di riserve auree, che per anni seminerà illusioni e morte fra le fila dell'esercito spagnolo. In verità, nonostante la foresta amazzonica appaia come un'icona di fertilità, la sua terra giallastra era tutt'altro che adatta, a ospitare una civiltà popolosa e quindi ben nutrita: ancora oggi, gli autoctoni sono soliti bruciare pezzi di foresta, nel disperato tentativo di renderla fertile per un raccolto o due. Dopodiché, sono costretti – facendo male all'Amazzonia e all'atmosfera del mondo intero – a spostarsi e a ricominciare daccapo.Nonostante ciò, de Orellana potrebbe aver detto il vero. Ci sono punti del Brasile (e della Colombia), dove la terra non è gialla: in portoghese la chiamano terra preta, terra nera. Non casualmente, ma in appezzamenti regolari, alcuni grandi decine di ettari, segno inequivocabile di una fabbricazione umana. E lì, come hanno sperimentato ricercatori della Cornell University, la resa del grano migliora fino all'880%. Questo Eldorado alimentare, secondo gli archeologi, risale a civiltà prosperate in Sudamerica fra i 2.500 ai 6mila anni fa. Le quali, avevano inventato una tecnologia stranota alle civiltà contadine da questa parte dell'Atlantico, applicandola diversamente.Si chiama pirolisi. È la carbonizzazione di qualsiasi biomassa in assenza di ossigeno. Per togliere l'aria, i carbonai usavano pietre e di terra. Le civiltà precolombiane, chissà. Noi del Ventunesimo secolo, come si conviene, ci stiamo preparando a impiegare tecnologie più efficienti e prodotte su scala industriale. Perché dentro al carbone vegetale che esce dalla pirolisi – oggi chiamato biochar, dall'inglese bio-charcoal, carbone biologico – c'è un miracoloso Eldorado di opportunità.Primo: la pirolisi produce un gas, combustibile, rinnovabile e inesauribile.La sola potatura degli ulivi pugliesi produce 700mila tonnellate di biomassa, ogni anno. Aggiungiamo gli scarti dell'industria alimentare e, con il pirolizzatore giusto – come quelli da decine di megawatt che arriveranno presto sul mercato – si potrebbe ottenere energia termica, convertibile in elettricità, e prodotta su scala locale. Certo non abbastanza a rendere l'Italia energeticamente indipendente, ma un po' meno dipendente,sì.Il secondo vantaggio è che il sottoprodotto della pirolisi,il biochar –come ci dice la lezione che viene dall'antica Amazzonia – non è uno scarto, ma una risorsa. Se distribuito nei campi, fertilizza il terreno; ritiene acqua fino a 4-5 volte il suo peso e richiede meno irrigazioni; nel caso delle risaie, non solo fertilizza, ma trattiene le naturali emissioni di metano, un potente gas-serra. E qui, al punto numero tre, arriva il bello. Il biochar potrebbe contribuire a cambiare la matematica del cambiamento climatico. Quando scaviamo il carbone fossile e lo bruciamo per ottenere elettricità, addizioniamo carbonio, spostandolo dalle viscere della terra all'atmosfera. Con il biochar accade il contrario: si fanno le sottrazioni. Tutte le piante, "mangiano" i fotoni dal sole e l'anidride carbonica dall'atmosfera. Al 50% sono fatte di carbonio e, con la pirolisi, il 90% di questo carbonio resta nel biochar. Non per un anno o due, ma per secoli. O forse per millenni, a giudicare dalla composizione della terra preta.«Se tutti gli scarti agricoli venissero ridotti in biochar e distribuiti nei campi – osserva Franco Miglietta, ricercatore del Cnr e co-fondatore dell'Associazione Italiana Biochar – il Paese ridurrebbe le sue emissioni di CO2, ben di più di quel che il Protocollo di Kyoto gli chieda».Il biochar è un Eldorado. (Dal Sole 24 Ore)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

A Cattolica si parla di cambiamenti climatici

Incontro con Franco Prodi, docente di Fisica dell'atmosfera all'Università di Ferrara su "La previsione dei cambiamenti climatici. Fattori naturali e cause antropiche". Alle 21 al Centro culturale polivalente.

giovedì 12 marzo 2009

Blitz di Greenpeace al Consiglio europeo

Blitz di Greenpeace ieri mattina al Consiglio europeo, dov’era in corso la riunione dei ministri finanziari dell’Ue. Un centinaio di manifestanti, dopo aver protestato per tutta la mattinata sotto la pioggia, si sono improvvisamente diretti verso tutte le entrate dell’edificio, riuscendo a bloccare i passaggi. Per venti minuti è stato assolutamente impossibile entrare o uscire dal palazzo. Bloccati anche i ministri, visto che all’ingresso vip - riservato all’accesso delle auto blu - alcuni attivisti si sono incatenati al cancello. La protesta di Greenpeace contro l’azione Ue sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici, giudicata del tutto insufficiente. (Il Mattino)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Torna «E-Cubo», il magazine sul mondo globale

Presentata ieri con una nuova metodologia di indagine che utilizza la rete web per promuovere inchieste e relative denunce, riparte questa notte E-Cubo, Ecologia Energia Economia, il magazine generazionale di Rai Educational, in onda per 12 puntate il giovedì all'1.00 su Raitre. A presentarlo Giovanni Minoli, il direttore di Rai Edu ha spiegato che si tratta di un: «Programma di nicchia a cui Rai Educational tiene molto perché è generazionale». Racconta un'epoca simbolicamente rappresentata da una parola «cambiamento». Pensato da Roberto Laurenzi, anche regista, scritto a quattro mani con Florinda Fiamma, da un'idea di Marianna Madia, propone per la seconda edizione anche delle novità, come la conduzione affiata a quattro giovani presentatori, con diverse competenze ma con l'obiettivo che è quello di indagare sulle tre grandi emergenze mondiali: la recessione economica globale, la crisi energetica e il cambiamento climatico. Sono: Marco Laudonio, esperto di economia, Carla Bassu, 29 anni, costituzionalista; Laura Greco, 30 anni, antropologa, Rebecca Vespa, 26 anni, aspirante giornalista. Unica nota stonata, l'orario di messa in onda: «Emergiamo dalle catacombe. Un servizio pubblico - dice Minoli - che sentisse questa urgenza si porrebbe il problema». Oggi si parlerà delle elezioni politiche in Australia nel 2007 che hanno portato alla ratifica del protocollo di Kyoto e la campagna elettorale delle presidenziali Usa che ha confermato l'urgenza di un intervento sul clima. (Dal manifesto)

mercoledì 11 marzo 2009

Pochi, isolati e senza fondi: il raduno dei "meteoscettici"

Oltre seicento persone, autoproclamatisi "meteoscettici", si sono date appuntamento in un hotel di Times Square per sfidare quella che è ormai diventata un´opinione scientifica e politica prevalente, secondo la quale l´umanità - a meno di non compiere delle scelte radicali in campo energetico - finirà per rendersi responsabile di un pericoloso livello di riscaldamento del pianeta. La Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici è una tre-giorni organizzata dall´Heartland Institute - un´associazione nonprofit che promuove la deregolamentazione e il libero mercato - che riunisce esponenti politici, attivisti conservatori, scienziati, un astronauta dell´Apollo e il presidente della Repubblica ceca, Vaclav Klaus. Obiettivo, opporsi a quanto annunciato dall´amministrazione Obama e dai legislatori democratici, che hanno promesso di far fronte al riscaldamento globale emanando leggi che prevedano la riduzione delle emissioni dei gas responsabili dell´effetto serra.I partecipanti all´incontro coprono un´ampia varietà di vedute in fatto di clima: alcuni di loro riconoscono un probabile contributo dell´uomo al riscaldamento globale, ma ritengono che le variazioni di temperatura non rappresentino un rischio impellente; altri attribuiscono il riscaldamento globale - cosí come le temperature più basse verificatesi negli ultimi anni - a mutamenti avvenuti nel sole o ai cicli oceanici. Alcune grandi società (come la Exxon Mobil), che in passato finanziavano l´Heartland Institute e altri gruppi che sfidano l´opinione prevalente in fatto di clima, hanno tagliato i propri contributi. Secondo il presidente dell´Heartland Institute, Joseph L. Bast, la cosa ha a che fare con motivi di immagine. Il raduno dell´Istituto, afferma, rappresenta l´ultimo bastione dell´onestà intellettuale in fatto di clima. «Le grandi società vogliono dare l´impressione di essere ecologicamente consapevoli in fatto di riscaldamento globale», ha detto Bast, aggiungendo che queste hanno mutato i propri sforzi di lobbying per poter dare un proprio «vantaggioso contributo alle nuove leggi in tema di ambiente».Punto focale del raduno del 2008 era stata la pubblicazione del rapporto "È la natura, e non le attività umane, a governare il clima". Quest´anno il raduno si incentra invece su una domanda più vaga: "Riscaldamento globale: è mai stata crisi?". Domenica sera Richard S. Lindzen, professore presso il Mit e scettico di lunga data, ha sferrato un violento attacco a quello che definisce il «movimento di allarmismo climatico». «Non esiste alcuna prova scientifica attendibile a sostegno dei modelli su cui i climatologi si basano per minacciare le disastrose conseguenze di un protratto riscaldamento globale», ha detto. Dal raduno di quest´anno mancano però alcune importanti personalità, come il fisico Russel Seitz, di Cambrige, Massachusetts, che lo scorso anno figurava tra i relatori. Seitz, che un tempo accusava gli ambientalisti di distorcere la climatologia, adesso mette in guardia sul rischio che i meteoscettici facciano altrettanto. John H. Christy, uno scienziato dell´atmosfera presso l´Università dell´Alabama che da molto tempo si dimostra pubblicamente scettico, dice di essersi tenuto lontano dai raduni dell´Heartland, per evitare di essere considerato «colpevole per associazione».Molti dei partecipanti all´incontro di Times Square raccontano che le divergenze di opinione e i dissensi sono minimi, e che la recessione globale e un sfilza di annate in cui si sono registrate delle temperature basse li aiuteranno a battersi contro la nuova politica energetica annunciata da Washington. «L´unico luogo in cui questa presunta catastrofe climatica si sta verificando è nell´ambito virtuale dei modelli realizzati al computer, e non nel mondo reale», ha detto Marc Morano, uno dei relatori - nonché portavoce del senatore James M. Inhofe (Repubblicano dell´Oklahoma) in fatto di tematiche ambientali.Il raduno è stato aspramente criticato da diversi climatologi. Ma Yvo de Boer, che dirige l´ufficio delle Nazioni Unite sul nuovo trattato globale che sarà firmato a dicembre a Copenaghen, ha dichiarato: «Non credo che quanto affermato dagli scettici debba rappresentare una scusa per rinviare ulteriormente» gli interventi volti a combattere il riscaldamento globale. E ha aggiunto: «Lo scetticismo è una buona cosa: è importante che la gente sappia che un dato tema viene messo in discussione». (da Repubblica)

Gli Obama-boys: fate come noi

Ore otto, lezioni di vittoria. John Podesta e David Plouffe in cattedra, una ventina di delegazioni di partiti progressisti sedute attorno a loro nella sede del «Center for American Progress» e a seguire una cena di gala nella residenza dell’ambasciatore della Spagna di Zapatero, lo stesso diplomatico che hai tempi di George W. Bush faceva fatica a rimediare un invito a pranzo. Nasce così «Global Progress», l’iniziativa lanciata dallo stakanovista Podesta - ex capo del team di transizione di Barack Obama - e dal suo braccio destro britannico Matt Browne - già a fianco di Tony Blair a Downing Street - per creare una nuova alleanza progressista fra l’America di Obama e i partiti della sinistra disseminati nel resto del Pianeta.«Negli anni Novanta la vittoria di Bill Clinton aprì una nuova stagione per i progressisti - dice Browne - ma la Terza Via fu una fase che coincise con l’ottimismo e il benessere, ora con Obama inizia un’altra era, dobbiamo studiare assieme, americani ed europei, come affrontare i problemi più urgenti per tutti». Sono temi e gruppi di lavoro delle due giornate di sessioni a ritmi molto sostenuti che descrivono la nascente agenda comune: la crisi economica «da risolvere con un Global New Deal» coordinando misure anti-recessione a partire dal summit del G-20 a Londra; i cambiamenti climatici che minacciano il Pianeta a cui rispondere con una «Green Economy» che «guardi oltre il summit di fine anno in Danimarca»; le minacce alla sicurezza che vengono dall’Afghanistan e dal Pakistan «a cui dobbiamo pensare dopo il ritiro delle truppe dall’Iraq» come sottolinea Browne.Il parterre degli invitati rispecchia la galassia dei progressisti del XXI secolo presenti in più continenti: ci sono canadesi e cileni, britannici e italiani, australiani e svedesi, neozelandesi e sudafricani, tedeschi, francesi e ungheresi. E’ stato Podesta in persona a curare la lista degli inviti, al fine di non escludere nessuno. E’ la genesi di un’internazionale obamiana che punta a ripetere altrove la ricetta di Barack: il primo passo per riuscirci è condividere con gli alleati i trucchi della vittoria.Ad aprire, e poi a concluderli, i lavori è Podesta, l’ex capo di gabinetto di Clinton che fu già artefice del progetto della «Terza Via» con l’Europa di Blair, Schroeder, Jospin e Prodi. Ora la sua esperienza serve all’amministrazione Obama per crearsi un proprio network, diverso da quello dei Clinton. «Serve un pensatoio globale per affrontare questi tempi di crisi, dobbiamo avere rapporti diretti, strutturati, attorno ad eventi comuni per produrre idee nuove per i governi» spiega Podesta, definendo le imminenti elezioni europee «una scadenza molto importante». Podesta da un lato è l’uomo a cui la Casa Bianca guarda per coordinare il messaggio con i partner progressisti e dall’altra è il veterano del partito democratico che si offre ai socialisti stranieri per facilitare l’accesso alla nuova amministrazione.Dopo di lui, tocca a Plouffe. È l’intervento più atteso. Il mago della vittoria elettorale di Obama non smentisce le aspettative e snocciola uno ad uno i segreti del ko inferto a Hillary Clinton prima e John McCain poi. «Internet è solo uno strumento» esordisce suscitando non poche sorprese, spiegando che ciò che conta è «coinvolgere le persone e mobilitarle» facendo leva su una «messaggio» che deve basarsi oggi «anzitutto sui valori», come fu in America ai tempi di Ronald Reagan. «La gente vota più sui valori che sui programmi» ed è tale approccio che ha consentito a Obama di raccogliere milioni di volontari «vincendo grazie a giovani e nuovi votanti» con il risultato di infliggere ai repubblicani una cocente sconfitta perché «non hanno perso solo un’elezione ma un’intera generazione». (da La Stampa)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

martedì 10 marzo 2009

Il 28 marzo mondo al buio per difendere il clima

Un'ora di buio, per ricordare alla Terra che la luce si sta esaurendo. Le attuali risorse energetiche non bastano, e il riscaldamento globale è una minaccia di fronte alla quale servono provvedimenti seri e urgenti. Questi sessanta minuti scatteranno il 28 marzo, dalle 20,30 alle 21,30: sono quelli dell' Earth Hour – l’Ora della Terra. Attraverserà 25 fusi orari diversi dalle coste del Pacifico ai paesi delle coste atlantiche, mirando a contagiare un miliardo di persone con il click di un interruttore per una ola mondiale senza luce. Le prime lampadine a spegnersi saranno quelle delle Chatham Islands, un piccolo arcipelago al largo delle coste neozelandesi che sono il luogo più lontano dall’Italia, distando circa 19.250 chilometri dal centro di Roma. (da Corriere.it)

Un inverno rigido ha rilanciato gli scettici del riscaldamento globale

Un paio di mesi di calcoli ininterrotti grazie alla potenza di due supercalcolatori. Un intero secolo di clima simulato: i cinquant´anni appena trascorsi e i cinquanta che ci attendono. Una risoluzione dettagliatissima, in grado di proiettare sul monitor del computer cosa accadrà da qui al 2050 al clima di piccole porzioni di territorio italiano. Quadrati di 30 chilometri per lato, più o meno come l´area compresa tra Melegnano, Binasco, Abbiategrasso e Milano. Uno scenario che conferma tutte le preoccupazioni espresse sino ad oggi sull´andamento e gli effetti del riscaldamento globale, con picchi estivi di calore sempre più violenti e frequenti a partire dal 2020.E´ il risultato dell´ultimo sforzo della ricerca italiana - dell´Enea in particolare - che verrà presentato oggi a Copenaghen in occasione del congresso convocato dall´Ipcc, l´organismo creato dall´Onu per capire e monitorare i cambiamenti climatici. Un appuntamento dal titolo «Summit of science for politics», essendo pensato soprattutto per fornire ai leader mondiali gli elementi scientifici più aggiornati in vista della decisiva scadenza di dicembre, quando si tenterà di trovare la difficile quanto indispensabile intesa in grado di prolungare il Protocollo di Kyoto oltre il 2012.Le cose che la scienza del clima ha da dire alla politica sono essenzialmente due. Primo: la situazione è decisamente più grave di quanto non pensassimo fino ad appena due anni fa, soprattutto perché anche la circolazione della Corrente del Golfo, che si riteneva fosse tutto sommato sotto controllo, rischia di impazzire. (da Repubblica)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

lunedì 9 marzo 2009

Il buco dell'ozono? Può guarire

Clima, ambiente e riscaldamento globale. Come certificato dall’Organizzazione meteorologica mondiale, e confermato dall’Agenzia Spaziale Europea, nel 2008 il buco nell’ozono sull’Antartide ha superato l’estensione massima toccata nel 2007, raggiungendo 27 milioni di km quadrati. Sembra tuttavia esistere un rimedio al fenomeno, ed è forse il più inatteso, trattandosi del riscaldamento globale, che, secondo uno studio pubblicato dalla rivista Atmospheric Chemistry and Physics Discussion, mostrerebbe in questo caso un aspetto virtuoso. Gli autori, Qiang Fu e Yongyun Hu, docenti di scienze atmosferiche rispettivamente presso le Università di Washington e Pechino, analizzando i dati forniti dai satelliti e relativi agli anni dal 1979 al 2006, hanno scoperto una tendenza all’incremento della temperatura, a livello dello stratosfera, su ampie zone della regione polare antartica, durante l’inverno e la primavera. Il valore massimo di questo incremento, compreso tra sette e otto gradi, viene toccato nei mesi di settembre e ottobre (nell’emisfero sud del pianeta le stagioni sono rovesciate rispetto al nostro emisfero), ovvero il periodo dell’anno in cui il buco nell’ozono sull’Antartide tende a espandersi. Il calore penetra all’interno del vortice polare antartico, rendendolo instabile e impedendogli di mantenere le sue gelide temperature. Secondo gli studiosi, il fenomeno potrebbe accelerare la chiusura del buco nell’ozono, più di quanto facciano pensare previsioni meno ottimistiche, in quanto il modello da loro elaborato dimostra che essa è provocata dall’innalzamento della temperatura della superficie dei mari tropicali, a sua volta determinato dalle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo. Basse temperature polari riducono infatti la formazione di nuvole polari stratosferiche, sulle quali hanno luogo diverse reazioni chimiche che coinvolgono il cloro antropogenico e sono all’origine della rapida distruzione dell’ozonosfera. (Fonte: panorama.it)

Il ''Treno verde'' a Pescara

A che punto è il livello di inquinamento ambientale e acustico a Pescara? Lo sapremo fra tre giorni, dopo i rilevamenti effettuati dal Treno Verde di Legambiente e Ferrovie dello Stato. Da oggi a mercoledì 11 marzo, infatti, il Treno Verde monitorerà la quota di smog e di decibel presenti in città attraverso il laboratorio mobile dell'Istituto sperimentale di Rfi (Rete ferroviaria italiana), che analizzerà la qualità dell'aria e la rumorosità sostando per 72 ore consecutive in Corso Vittorio Emanuele II, e giovedì 12 fornirà i risultati. Il Treno Verde sarà aperto (ingresso libero) dalle 8.30 alle 13.30 alle scuole prenotate e dalle 16 alle 19 ai cittadini interessati. A bordo si parlerà di mobilità sostenibile, cambiamento climatico e delle novità in materia di energie rinnovabili, quest'ultima problematica legata a quella del risparmio energetico. Quella pescarese è la terza tappa del Treno Verde per l'edizione 2009, vediamo nel dettaglio il programma della tre giorni: oggi arrivo al binario 1, apertura dei dibattiti e visita ai modellini interattiviper studiare i cambiamenti climatici; domani alle 11 si svolgerà il Trofeo Tartaruga, gara tra bicicletta, bici elettrica, segway, autobus, automobile a gpl, a benzina e scooter, dedicato al tema della mobilità urbana; mercoledì pomeriggio sarà organizzato un laboratorio didattico per i bambini delle scuole elementari; giovedì 12 alle 11, a bordo del Treno Verde conferenza stampa conclusiva nel corso della quale saranno presentati i risultati del monitoraggio sull'inquinamento atmosferico e acustico di Pescara. (da il Tempo)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

venerdì 6 marzo 2009

Le foreste assorbono più co2 del previsto

Clima, emissioni co2 e riscaldamento globale. La capacità delle foreste di assorbire anidride carbonica dall’atmosfera è a quanto pare maggiore rispetto a quanto si è immaginato fino ad ora. La sorprendente scoperta è stata annunciata su Nature ed è il risultato di uno studio internazionale coordinato da Simon Lewis dell’Università di Leeds in Gran Bretagna. Il ricercatore ha monitorato dal 1969 ad oggi, per circa 40 anni gli alberi di 79 aree delle foreste tropicali africane e ha confrontato questi dati con analoghe analisi fatte sulle altre foreste tropicali del Pianeta. Il confronto dimostra che nelle ultime decadi, complessivamente, gli alberi di tutte le foreste tropicali in un anno assorbono circa il 18% della dell’anidride carbonica, che equivale a 4,8 miliardi di tonnellate di co2. Il conteggio finale stabilisce che ogni ettaro di foresta sta intrappolando 0,5 tonnellate di anidride carbonica in più rispetto a quanto immaginato finora. Ma come è possibile che le foreste siano così attive nel assorbire anidride carbonica? Spiega Federico Magnani, professore al Dipartimento di Colture Arboree: "Una nostra ricerca suggerisce che per quel che riguarda le foreste delle nostre latitudini vi è una fertilizzazione involontaria a causa delle emissioni di azoto immesso dall’agricoltura e dall’uso dei combustibili fossili. Ciò ha fatto si che negli ultimi 50 anni le foreste europee abbiano raddoppiato la velocità di crescita". Fonte: repubblica.it.

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni

Cambiamenti climatici, se ne discute a Bologna

Alle 21, all' Ass.ne Esagono (Montenero 17/a), "Babilonia, dal mito alla storia", con Fabrizio Venturi. Alle 17 all'Associazione Istituto Tincani (P.za San Domenico 3), "Effetti dei cambiamenti climatici su animali e piante", con Aldo Zechini D'Aulerio della Facoltà di Agraria

giovedì 5 marzo 2009

La coperta che protegge il ghiacciaio

Il primo esperimento italiano di «protezione attiva» su ghiacciaio intrapreso da Levissima, marchio leader nel mercato dell’acqua, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, ha ottenuto risultati positivi e di grande interesse scientifico: a fine ottobre, quando l’esperimento si è concluso, lo spessore di neve non disciolta e di ghiaccio sopravvissuto alla stagione estiva raggiungeva quasi due metri di altezza. Lo scorso 14 maggio il team di ricercatori dell’Università di Milano, sotto la guida di Claudio Smiraglia e Guglielmina Diolaiuti (rispettivamente presidente e componente del Comitato Glaciologico Italiano), ha steso, per la prima volta in Italia, sul ghiacciaio Dosdè Orientale (Alta Valtellina, Lombardia), nel settore montuoso Piazzi-Dosdè, dove Levissima nasce, una copertura sperimentale di geotessile. Il telo – un «non tessuto» bianco puro - agisce creando una barriera fisica tra i raggi solari, e la neve e il ghiaccio sottostanti, limitandone così la fusione durante il periodo estivo. Il geotessile, steso su una parcella sperimentale di 150 metriquadrati, ha ridotto l’ablazione della neve invernale e primaverile e soprattutto del ghiaccio sottostante preservando uno spessore complessivo di 190 cm (uno strato di 75 cm di neve densa e compatta al di sopra di 115 cm costituiti da ghiaccio di ghiacciaio). Lo spessore di neve presente sul ghiacciaio a maggio, tenendo conto della sua densità, equivaleva a 129 cm di acqua, quello presente a ottobre equivaleva a 56 cm di acqua. L’esperimento ha permesso così di salvare il 43% di spessore dell’acqua rappresentata dalla neve compatta presente al momento della stesura del telo sul ghiacciaio e soprattutto di azzerare la fusione del ghiaccio sottostante (i 115 cm di ghiaccio salvati equivalgono a 105 cm di acqua e rappresentano lo spessore di ghiaccio perso dal ghiacciaio nelle zone non coperte dal telo). In totale, tenendo conto anche del ghiaccio preservato dalla fusione, si è salvato uno spessore di acqua di 161 cm. Il volume di acqua preservato è risultato di circa 115 m3, corrispondente a 115.000 litri. «Siamo molto orgogliosi di questi risultati e in particolare di questo progetto di ricerca scientifica intrapreso con Smiraglia e il suo team, che rappresenta un importante tassello della filosofia di Levissima e dell’azienda, da sempre impegnate nella tutela e salvaguardia del territorio d’origine», ha detto Lorenzo Potecchi, direttore Business Unit Sanpellegrino. «In un momento in cui i ghiacciai, in forte riduzione, si rivelano gli indicatori più preziosi dei cambiamenti climatici in atto, siamo consapevoli che sostenere concretamente la ricerca sia di fondamentale importanza per aiutare la comunità scientifica del nostro paese nello studio di soluzioni volte a preservare la risorsa acqua a partire dai ghiacciai, là dove la fonte ha origine, e i risultati ottenuti con la sperimentazione lo dimostrano». La riduzione dei ghiacciai alpini è un fenomeno che si sta accentuando negli ultimi anni a causa del riscaldamento climatico in atto. Oltre l’80% dei ghiacciai sta manifestando chiari e visibili impatti di questi cambiamenti e gli oltre 800 ghiacciai italiani nell’ultimo secolo hanno mostrato ingenti perdite - areali e volumetriche. Sono ad oggi possibili pochi interventi diretti a mitigare gli effetti del riscaldamento atmosferico sui ghiacciai alpini, tra questi uno dei più efficaci si è rivelato l’utilizzo di una copertura protettiva superficiale. (da Finanza & Mercati)

Rapporto Fao: la pesca si prepari ad affrontare i cambiamenti climatici

Il cambiamento climatico mette a rischio la produzione di pesce e sta già modificando la distribuzione sia delle specie marine sia di quelle di acqua dolce, “influenzando la stagionalità dei processi biologici, alterando i sistemi alimentari marini, con conseguenze imprevedibili per la produzione di pesce”. A rilevarlo è il nuovo rapporto della Fao, intitolato “ Stato mondiale della pesca e dell’acquacoltura” (Sofia nell’acronimo inglese), secondo il quale l’industria ittica e le autorità nazionali per la pesca “devono fare di più per prepararsi ad affrontare l’impatto che il cambiamento climatico avrà sulla pesca mondiale. Le specie che vivono in acque calde vengono spinte verso i poli e stanno subendo cambiamenti nelle dimensioni degli habitat e nella riproduttività”.
Secondo il rapporto, il 19 per cento delle principali specie marine commerciali sono sfruttate in eccesso, l’8 per cento è esaurito e l’1 per cento è in fase di recupero. Il settore della pesca sembra non conoscere limiti di espansione. Nel 2006 è stato raggiunto un nuovo record di 143,6 milioni di tonnellate (di cui 92 milioni da pesca da cattura e i restanti 51,6 da acquacoltura) e le aree in cui si registra una maggiore produzione o sovra-produzione sono il nord Atlantico, l’Oceano Indiano occidentale e il nord ovest del Pacifico. La flotta mondiale conta circa 2,1 milioni di unità ma la stragrande maggioranza di queste (circa il 90 per cento) è più piccolo di 12 metri di lunghezza. Considerando tutte le attività dirette o indirette legale a pesca e acquacoltura, oltre mezzo miliardo di persone nel mondo dipende dal settore ittico. Il pesce fornisce a oltre 2,9 miliardi di persone almeno il 15 per cento del consumo medio pro-capite annuale di proteine animali e contribuisce ad almeno il 50 per cento del consumo totale di proteine animali in molti piccoli stati insulari e in molti paesi in via di sviluppo. (da Panorama.it)

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.