martedì 23 settembre 2008

Un´Italia più calda a rischio malaria

"Zone sempre più ampie sono minacciate da patologie legate a insetti", dice Repubblica

«Andiamo incontro a tempi difficili, a una pressione climatica che rischia di azzerare i vantaggi faticosamente conquistati nei decenni in cui le condizioni di vita e di salute sono migliorate in ampie aree del pianeta». Roberto Bertollini, responsabile del rapporto tra cambiamento climatico e salute, coordina il gruppo di esperti dell´Organizzazione mondiale di sanità che sta preparando l´aggiornamento sull´impatto del global warming.L´ultima stima Oms è ormai datata: nel 2000 si parlava di 150 mila morti all´anno causati dall´incremento dell´effetto serra.«Effettivamente è una valutazione ormai superata. Anche grazie al lavoro svolto dall´Ipcc, l´Intergovernamental Panel on Climate Change, oggi abbiamo di fronte un quadro della situazione molto più preciso e possiamo affermare che la situazione è cambiata in maniera significativa sia per l´aggravarsi dei fattori che all´epoca erano già stati evidenziati, sia per l´emergere di nuove preoccupazioni».Quali sono i fattori di rischio emersi di recente?«In alcuni casi il rischio è totale: interi stati formati da piccole isole possono sparire dalla carta geografica a causa della risalita del livello dei mari. E poi non ci sono più dubbi sul drammatico aumento, sia dal punto di vista della frequenza che dell´intensità, degli eventi meteorologici estremi che hanno un impatto devastante diretto, in termini di vittime e di feriti, e strascichi pericolosi determinati dalla distruzione delle strutture sanitarie che lascia intere zone esposte al pericolo di epidemie».Un rischio che potrebbe essere ridotto adattando le infrastrutture sanitarie al nuovo clima.«Questo è uno dei temi all´ordine del giorno. Siamo di fronte a un cambiamento strutturale dell´impatto degli eventi estremi che richiede una diversa pianificazione del territorio: bisogna costruire le infrastrutture critiche dal punto di vista della difesa della salute in modo che resistano a sollecitazioni consistenti».Altri impatti sanitari non previsti?«Almeno altri due. Il primo è legato all´estendersi delle aree desertificate e alla misura degli effetti dei periodi di siccità che stanno raggiungendo una durata drammatica, come dimostra quello che è successo in Australia. Tutto ciò ha un impatto sui raccolti che si traduce in un indebolimento significativo di fasce della popolazione».Il secondo impatto?«L´aumento dei calcoli renali a seguito della crescita media della temperatura. Un fenomeno che si spiega con l´alterazione del bilancio idrico provocato dalla maggiore sudorazione».Le stime sugli effetti prodotti dalle ondate di calore e dall´allargarsi dell´area a rischio malaria e dengue sono state confermate?«Con alcune correzioni che vanno in direzione della crescita della preoccupazione. La violenza dell´ondata di calore che ha colpito l´Europa nel 2003 non era prevedibile: si è registrato un aumento di mortalità per malattie cardiovascolari che ha colpito soprattutto gli anziani e che è costato 35 mila morti in poche settimane, nel momento di picco del fenomeno. C´è chi ha calcolato che, considerando gli effetti sull´intera estate, il bilancio arrivi a 60 mila vittime. Inoltre bisogna tener presenti le conseguenze dell´esposizione delle popolazioni urbane a una quantità di ozono troposferico che cresce con il crescere dell´insolazione»La malaria potrebbe tornare in Italia?«Tutte le patologie legate agli insetti stanno minacciando zone sempre più ampie perché si allarga l´area dei tropici. L´Italia per ora rimane al margine di questo fenomeno: un ulteriore aumento della temperatura farebbe aumentare il rischio. Lo abbiamo visto anche con la chikungunya, una sorta di influenza che provoca problemi alle ossa e dolori articolari: tra luglio e agosto nella zona di Ravenna si sono registrati casi sporadici favoriti dalla presenza della zanzara tigre che, con inverni miti, potrebbe continuare a ospitare questo virus rendendo endemico un rischio che al momento non lo è».Ci sono poi i pericoli legati alla diminuzione della disponibilità di acqua pulita, che già costa la vita a 3,4 milioni di persone ogni anno.«L´insieme di queste preoccupazioni è oggetto del negoziato sul cambiamento climatico. Come Oms sottolineiamo la necessità di difendere gli investimenti per la tutela della salute nelle aree a maggior rischio e, nel maggio scorso, l´assemblea mondiale della sanità dei ministri della salute dei paesi di tutto il mondo ha deliberato di chiedere uno sforzo maggiore a livello internazionale».

Guarda l'intervista sull'energia responsabile di Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni

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