lunedì 22 settembre 2008

Clima, tante azioni per nulla

di Bjørn Lomborg, fondatore del COPENHAGEN CONSENSUS, dal Sole 24 Ore


C' è un argomento, tra quelli comunemente ripetuti da chi si batte per stimolare a prendere iniziative contro i cambiamenti climatici, che suona estremamente convincente, ma che ad analizzarlo attentamente si rivela quasi fraudolento: questo argomento è basato sulla comparazione tra i costi dell'azione e i costi dell'immobilismo, e vi fanno ricorso quasi tutti i più importanti personaggi politici a livello mondiale.Un esempio è quello del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, che ha usato questo argomento quando ha presentato, all'inizio di quest'anno, la proposta dell'Unione Europea per contrastare i cambiamenti climatici. La Ue ha promesso di tagliare le sue emissioni di anidride carbonica (CO2) del 20% di qui al 2020, a un costo che secondo le stime della stessa Commissione si attesterebbe intorno allo 0,5 per cento del Pil, ossia, più o meno, 60 miliardi di euro l'anno. Un prezzo assai oneroso da pagare - rappresenta un incremento dei costi complessivi per la Ue almeno del 50%- e che probabilmente sarà ben maggiore (in precedenza, la Commissione ha calcolato costi doppi rispetto alla stima attuale).Barroso, però, ha chiosato la sua presentazione dicendo che «i costi sono contenuti se paragonati al prezzo dell'immobilismo». Si è spinto addirittura a pronosticare che il prezzo del non fare niente «si sarebbe potuto avvicinare addirittura al 20% del Pil». (E pazienza se questa stima probabilmente è ipergonfiata, considerando che la maggior parte dei modelli previsionali evidenziano danni per un'entità corrispondente all'incirca al 3% del Pil.) Ed ecco qua. Ovviamente, un politico dovrebbe accettare di spendere lo 0,5% del Pil per scampare costi pari al 20% del Pil. Suona assolutamente sensato; fino a quando non ti accorgi che Barroso sta mettendo a confronto problematiche completamente differenti.La spesa dello 0,5% del Pil produrrà una riduzione delle emissioni estremamente limitata (se tutti gli Stati della Ue rispettassero effettivamente i parametri fissati per il resto del secolo, le emissioni globali scenderebbero di circa il 4%).Un calo delle emissioni ditaleentità limiterebbe l'incremento della temperatura previsto per la fine del secolo di appena cinque centesimi di grado centigrado. Dunque, l'ambiziosissimo programma Ue non fermerà il riscaldamento globale e nemmeno influirà significativamente su di esso. In altre parole, se Barroso teme di dover sostenere costi pari al 20% del Pil per l'anno 2100, spendere lo 0,5 per cento del Pil ogni anno di questo secolo in pratica non inciderà minimamente su questi costi. Alla fine del secolo dovremo comunque pagare, e in più, nei 90 anni che precedono quella data, ci saremo impoveriti con le nostre mani.Il trucco funziona perché noi diamo per scontato che l'azione annullerà gli effetti dell'immobilismo, mentre ciò non è affatto vero. La cosa diventa più chiara se invece del piano di azione prefigurato da Barroso prendiamo in esame iniziative più limitate.Se Barroso fosse l'unico a sostenere questa tesi, forse potremmo ignorarlo, ma lo stesso argomento viene riproposto più e più volte da moltissimi politici di primo piano. Angela Merkel, la cancelliera tedesca, dice che tagliare le emissioni di CO2 «è economicamente sensato», perché «le conseguenze economiche dell'immobilismo sarebbero drammatiche per noi tutti». Il premier australiano, Kevin Rudd, concorda che «il costo dell'immobilismo sarebbe molto superiore al costo dell'azione ». Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha pronunciato le stesse esatte parole. Negli Stati Uniti, sia John McCain che Barack Obama usano sempre questa tesi del costo dell'immobilismo presentandola come la ragione fondamentale per sostenere tagli alle emissioni.La senatrice californiana Diane Feinstein sostiene che dovremmo tagliare le emissioni di anidride carbonica perché il fondo nevoso della Sierra, che fornisce gran parte dell'acqua potabile della California, nel 2050, a causa del riscaldamento globale, sarà ridotto del 40 per cento. Quello che omette di dirci è che anche una riduzione sostanziale delle emissioni - dai costi elevati - produrrà un effetto trascurabile sullo scioglimento delle nevi di qui al 2050. Dovremmo pensare invece a investire in strutture per lo stoccaggio dell'acqua.Lo stesso succede quando i politici si affliggono per la perdita di buona parte della popolazione di orsi polari di qui al 2050, e usano questo allarme come un argomento in favore della necessità di tagliare le emissioni, dimenticando però di dirci che una riduzione delle emissioni non produrrebbe alcun effetto concreto per gli orsi polari. Forse invece dovremmo smettere di ucciderne per la caccia 300 ogni anno.Con la tesi dell'immobilismo, spendiamo risorse ingenti in politiche che non ostacoleranno in alcun modo i cambiamenti climatici e sottraiamo risorse a politiche che invece potrebbero incidere davvero.Non accetteremmo mai che un medico consigli aspirine ultracostose e inefficaci per curare la cancrena, perché il costo delle aspirine è di gran lunga superiore al costo della perdita della gamba. E allora perché dovremmo tollerare argomenti altrettanto infondati quando si discute della decisione di politica pubblica più costosa della storia dell'umanità?Copyright: Project Syndicate, 2008.

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