lunedì 15 dicembre 2008

Clima, dodici mesi per mettere d'accordo il mondo

Da Il sole 24 Ore online

E' arrivato il momento in cui la specie umana, per la prima volta nella storia, è chiamata a prendere una consapevole decisione in comune», al fine di scongiurare il rischio che «non il pianeta, ma le condizioni che lo rendono abitabile, vengano distrutte». Al Gore è ormai un esperto nell'arringare le folle. E ieri, durante il suo atteso discorso al vertice climatico di Poznan – in realtà seguito più dal popolo degli ambientalisti che non dai diplomatici dei 190 Paesi presenti – ha saputo guadagnarsi la sua brava standing ovation. Eppure, la specie umana è ancora lontana, dal prendere la prima decisione collettiva della sua storia.Il vertice polacco delle Nazioni Unite si è chiuso alle 3 di notte – quasi una tradizione, per questo appuntamento – con un accordo che nessuno potrà mai azzardarsi a definire "storico": ha varato un programma per il trasferimento di tecnologie pulite dal mondo ricco quello povero e ha aggiustato qualche dettaglio qua e là, con qualche esplicita irritazione dei Paesi in via di sviluppo all'una di notte, per via del mancato reperimento di adeguate risorse finanziarie per il cosiddetto Fondo di adattamento al climate change. Ma anche un accordo che, se non altro, è riuscito a mantenere la dritta barra della navigazione verso il vertice di Copenhagen dell'anno prossimo, quando, secondo gli auspici di tutti, si dovrebbe arrivare alla firma del trattato che prenderà il posto del Protocollo di Kyoto dal primo gennaio 2013.Ovviamente, tutto dipende dai punti di vista. Fra gli affollati corridoi del Palazzo dei congressi di Poznan, c'è chi parla di bicchiere mezzo pieno e chi di bicchiere mezzo vuoto. Tanto per l'esito del vertice polacco, dal quale nessuno si aspettava rivoluzioni, ma soprattutto per l'esito della riunione del Consiglio europeo a Bruxelles. «L'Unione Europea ha preso una decisione unanime, che avrà un impatto su Copenhagen», dice John Kerry, arrivato in Polonia per portare al mondo le promesse della nuova America "verde" che va a cominciare sotto il segno di Obama. «Un passo indietro rispetto alle promesse e ai proclami», ribatte Stephan Singer, direttore delle politiche energetiche del Wwf. «Un successo, sì - risponde il commissario europeo Stavros Dimas – basta non dimenticare che l'impegno della Commissione resta di arrivare a un taglio delle emissioni-serra del 30%, e non del 20%, entro il 2020. Bisogna seguire la scienza, non le ideologie». Un impegno che Dimas spera ancora di raggiungere a Copenhagen.Di fatto, la vera sfida del vertice danese dell'anno prossimo sarà riuscire a dare i numeri. I numeri dell'impegno – dei Paesi industrializzati prima e di quelli in via di sviluppo in una seconda fase – per realizzare drastico taglio delle emissioni di anidride carbonica entro metà secolo. Al momento, una vera giungla: il Regno Unito ha già varato per legge l'impegno di ridurle dell'80%, entro quella data. La Norvegia ha detto di voler diventare carbon neutral (ovvero tagliarle del 100%). Ma il passaggio difficile, sarà inchiodare tanto il Nord che il Sud del mondo alle «comuni ma differenziate responsabilità» dell'effetto serra, come recita la Dichiarazione di Rio del 1992. In altre parole, i Paesi ricchi che bruciano allegramente i combustibili fossili da un secolo e mezzo, hanno maggiori responsabilità di chi ha cominciato più tardi, inclusa la Grande ciminiera cinese.«Se qui a Poznan abbiamo visto pochi progressi – commenta Duncan Marsh, di The Nature Conservancy, un'organizzazione non governativa – in realtà, fuori dal negoziato, di progressi ce ne sono stati. I Paesi in via di sviluppo hanno mostrato la loro risolutezza. Brasile, Messico e Perù, per esempio, hanno annunciato precisi obbiettivi di riduzione delle emissioni», nonostante Kyoto non li obblighi. «Appena due anni fa – ha detto Gore, nel sottolineare la velocità di certi cambiamenti – la Cina veniva definita un ostacolo in queste trattative. Oggi, la Repubblica Popolare sta dimostrando di essere pronta ad assumere la leadership della lotta ai cambiamenti climatici», con impegni altisonanti e con fatti concreti.

Così le grandi aziende energetiche dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili: il caso Eniscuola dell’Eni guidato dall’ad Paolo Scaroni.

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