La natura come capolavoro e come calda dimora. La natura come ricchezza e inesauribile pulsazione. La natura come certezza, oggi minacciata, come passato e come futuro. Questo il tema dell'ultimo libro di Edward O. Wilson, La creazione
(Adelphi). Wilson è un grande, un grandissimo, e come tutti i grandi è stato fieramente avversato e aspramente criticato da schiere di nani, pigmei, conformisti militanti e visconti dimezzati. Entomologo di professione e teorico di vocazione, Wilson ha inaugurato anni fa la stagione della sociobiologia, suscitando vespai incredibili e andando a turbare i sonni dogmatici di schiere di ideologi accademici. In anni recenti ha preferito ripiegare su temi più scontati e politicamente corretti come la biodiversità e la conservazione del patrimonio floreale e faunistico del nostro pianeta. Ma lo ha fatto da par suo, sorretto dalla sua enorme competenza in materia di insetti, i quali rappresentano da soli un quinto delle specie viventi, e da una squisita sensibilità naturalistica. (In questo caso, come in tutti gli altri, sensibilità significa vivace interesse accompagnato da una grande preparazione.) Non è un libro pro o contro il creazionismo, nonostante il titolo e il fatto che ciascun capitolo inizi come una lettera indirizzata a un non meglio identificato Reverendo, un pastore battista del Sud degli Stati Uniti. È un libro sulla natura e il suo fascino e contro la cecità degli uomini che la stanno progressivamente devastando. «Se le attività distruttive dell'uomo continueranno al ritmo attuale, metà delle specie animali e vegetali della Terra scomparirà entro la fine del secolo. Per il solo effetto del cambiamento climatico globale, nei prossimi cinquant'anni perderemo un buon quarto di queste specie». E sarà un grosso danno anche per noi, per quello che Wilson chiama «il primo principio dell'ecologia umana: la specie homo sapiens è confinata in una nicchia ecologica estremamente piccola», vale a dire la scorza superficiale di questo pianeta, con la sua atmosfera, ma soprattutto con la sua biosfera, «la totalità di tutte le forme di vita, generatrice del-l'aria, depuratrice dell'acqua, conservatrice dei suoli, ma che di per sé è una fragile pellicola che aderisce debolmente alla superficie del pianeta».
Il libro non è solo un elenco di catastrofi imminenti, ma è anche una storia appassionante di specie animali e vegetali, che danno tutte il loro piccolo o grande contributo alla conservazione di quel gigantesco meccanismo omeostatico che è la natura nel suo complesso. È scritto a tratti come un giallo, perché il naturalista indaga questo o quel fenomeno naturale, cercando di carpire i segreti biologici e di risolvere anche alcuni misteri storici, come le ripetute gravi carestie registrate nelle diverse isole dei Caraibi dopo l'arrivo degli Spagnoli e dovute all'improvvisa sproporzionata espansione della popolazione di piccole formiche, talvolta «di fuoco», e dei loro commensali. Sono storie di specie singole o di gruppi di specie che dovrebbero appassionare ogni vero amante della natura, che trova qui anche la garanzia della veridicità e del rigore scientifico delle diverse affermazioni. Il tema dominante è la conservazione, o almeno la non spoliazione, del paesaggio naturale, dalla foresta alla marcita, dalle regioni pluviali a quelle desertiche, o divenute tali. Sembra che non veda molto di buono Wilson nell'opera dell'uomo, o almeno così cerca di farci credere, mentre descrive il più appassionante «corpo a corpo» della storia: quello dell'homo sapiens e di tutte le altre specie del creato...
(da Il Corriere della Sera)
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