Obama ha promesso il massimo impegno nella lotta ai cambiamenti climatici. Adesso è il tempo dei fatti. Per ridare credibilità agli Stati Uniti ì, racconta L'espresso
Yes We Can. Queste tre parole, "Sì, noi possiamo", sono diventate lo slogan non ufficiale della campagna per la presidenza di Barack Obama, il suo modo di esortare gli americani a credere nella loro capacità di poter vincere contro ogni previsione e cambiare il corso della storia. Adesso 'Yes We Can' deve diventare il motto dell'America intera nella battaglia per proteggere il pianeta affinché resti vivibile. Se la civiltà umana intende avere una chance realistica di sopravvivere al riscaldamento globale, Obama dovrà mettersi alla guida di una rivoluzione pressoché radicale nell'approccio statunitense alla questione. Da otto anni e più Washington ha fermato ogni iniziativa mentre il riscaldamento globale si è accelerato, arrivando a un livello di grande emergenza. Il cambiamento del clima è già in corso in modo palese, sotto forma di tempeste più violente e di siccità spaventose, e l'inerzia del sistema climatico rende pressoché inevitabile che simili effetti andranno incontro, nei decenni a venire, a una spiccata intensificazione. Per evitare la catastrofe completa, affermano gli scienziati dell'Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, le emissioni globali di gas serra devono iniziare a diminuire già entro il 2015, per poi continuare a scendere di oltre l'80 per cento entro il 2050. Di sicuro, si tratta di un cambiamento enorme ed epocale. Poiché il tempo stringe e il ruolo dell'America è cruciale da questo punto di vista, Obama deve tenere le redini su tre fronti: prima di tutto deve impegnarsi a perseguire un'incisiva riduzione delle emissioni di gas serra in America. Ciò gli conferirà l'autorevolezza per poter perseguire un secondo obbligo morale: stringere un accordo con Pechino sul clima per ridurre le emissioni cinesi. Infine, Obama dovrà premere affinché tutte le nazioni inizino a premunirsi nei confronti del previsto innalzamento del livello dei mari e di altri effetti del cambiamento del clima. Si tratta sicuramente di un problema immane, ma qualche buona notizia c'è. Obama comprende sia l'impellenza del problema, sia le opportunità economiche che questo presenta. Da candidato ha proposto di spendere 15 miliardi di dollari l'anno per promuovere lo sviluppo di energie verdi, in grado di risanare l'economia e l'atmosfera. Da presidente eletto si è impegnato a creare o tutelare due milioni e mezzo di posti di lavoro almeno in parte con uno "sforzo massiccio", mirante a rendere le scuole e gli altri immobili dell'edilizia pubblica più efficienti dal punto di vista energetico. Questo programma di investimenti e di creazione di posti di lavoro 'verdi' è stato sollecitato e caldeggiato da oltre un decennio da analisti esterni (tra i quali anche il sottoscritto) e da attivisti. Adesso negli Usa questa idea sta ricevendo un'accoglienza migliore e sta affermandosi negli ambienti mainstream, sia nei media (vedi il nuovo libro del columnist del 'New York Times', Thomas Friedman, 'Hot, Flat and Crowded'), sia a Capitol Hill, dove quasi tutti i democratici e perfino molti repubblicani appoggiano alcune forme di spesa che possano incentivare le energie verdi.
Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.
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