L’inizio della fine si manifesta con una calvizie precoce: il verde sfuma nel rosso e poi nel marrone, cadono le foglie, si disseccano le radici più fini e periferiche. Il colosso cerca di reagire sviluppando numerose e brevi ramificazioni secondarie lungo il tronco principale. Quel che resta della chioma si sviluppa in altezza, nel disperato tentativo di raggiungere la luce. E’ l’ultimo atto di una battaglia silenziosa e implacabile che spesso termina con la morte dell’albero, esposto a parassiti (funghi e insetti) pronti a sfruttarne la vulnerabilità.Cedono le grandi querce da 50 metri piantate da re Carlo Alberto nel Parco di Racconigi. Nelle zone di brughiera della Mandria ormai sono un ricordo. Più in generale, muoiono i boschi del Piemonte: ridotti dallo sviluppo dell’agricoltura, e poi dell’industria; abbandonati a favore di attività considerate più redditizie; privati dell’acqua da coltivazioni idrovore (è il caso del mais a Racconigi). Da ultimo, espulsi come corpi estranei da un ecosistema in cui non si riconoscono più. La strage, innescata alla fine degli Anni 80, chiama in causa il cambiamento climatico ed è monitorata con crescente apprensione dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino e dall’Ipla (Istituto piante da legno e ambiente). Giovanni Nicolotti, uno degli esperti dell’Università che nel 2007 la Regione Piemonte ha chiamato al capezzale dei nostri boschi, conferma l’allarme e lo rilancia. Il fenomeno non è una prerogativa del Piemonte: interessa tutto l’arco alpino e il centro Europa, spaziando dalla quercia al pino silvestre e all’abete rosso. «Ma il Piemonte conserva la maggior parte delle foreste di querce superstiti di tutta la Pianura Padana - spiega Nicolotti -: il nostro capitale raggiunge i 90 mila ettari di boschi planiziali concentrati in aree protette».Non foreste qualsiasi, gli epigoni di quelle che in epoca romana e poi medievale permettevano di attraversare tutta la Pianura Padana, dalla Gallia a Venezia, senza uscire dal loro cono d’ombra. Durante gli scavi per l’Alta Velocità Torino-Milano frequenti sono stati i ritrovamenti di imponenti tronchi di quercia, a 8-12 metri, datati intorno al 200-400 d.c. Non solo natura, quindi, ma un patrimonio di storia e cultura. L’innalzamento delle temperature, la diversa distribuzione stagionale delle precipitazioni e il protrarsi del deficit-idrico, che ha provocato un forte abbassamento delle falde (con punte di 7 metri), rischia di completare in pochi anni l’opera dell’uomo. Il bosco arretra alla Mandria come a Racconigi, lungo le fasce fluviali della Stura di Lanzo, del Ticino, delle Lame del Sesia. Il fenomeno è particolarmente evidente sul fronte dei querceti. «Sui 20 mila ettari disponibili - aggiunge Nicolotti -, è stata rilevata una defogliazione media del 50%. In molti casi questo valore rischia di coincidere con il deperimento irreversibile delle piante. Dove accade, subentrano nuove specie pioniere e spesso esotiche». Rimediare è un’impresa. Questione di finanziamenti col contagocce - la Regione ha stanziato 120 mila euro in due anni, per affrontare il deperimento del pino silvestre la Svizzera ha impegnato oltre un milione di franchi svizzeri in tre anni -, e di tecniche di intervento: impianti di irrigazione per compensare il deficit idrico, tagli e diradamenti selettivi del bosco per ridurre la competizione di altre specie e favorire le migliori piante portaseme, diserbo manuale e progetti di lotta fitosanitaria a basso impatto ambientale, ripiantamenti. Il tempo stringe.In qualche caso, penso a Racconigi, bisogna avere il coraggio di scelte impopolari: un parco storico non può convivere con la coltivazione del mais. Più in generale, temo ci sia poco da fare». Paolo Pejrone, l’architetto dei giardini, vede nero sul futuro dei boschi piemontesi. (Da la Stampa)
Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni
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