giovedì 26 marzo 2009
A ognuno la sua giusta crescita
Dal libro-conversazione di Tommaso Padoa-Schioppa con Beda Romano, da oggi in libreria, pubblichiamo un ampio estratto del capitolo conclusivo «Ricordare il futuro. La crescita differenziata». Il volume affronta i temi del grande crollo della finanza.di Tommaso Padoa-Schioppa T re domande stanno davanti a noi. Quale può e dev'essere un modello di funzionamento dell'economia mondiale alternativo a quello che è finito nel Grande Crollo?Come dev'essere configurato un soggetto pubblico, un "governo", che possa sospingere il mondo verso quel modello? E infine, che cosa può fare il singolo cittadino consapevole-soprattutto se giovane- per aiutare il mondo a muovere nella direzione voluta? Non ho risposte complete, ma ho alcune convinzioni.Molti, e non da oggi, mettono sotto accusa la crescita, soprattutto i giovani. Pensano che il male della nostra società sia il desiderio sfrenato di maggiore ricchezza individuale e collettiva che ha toccato il suo parossismo negli Stati Uniti; rifiutano il consumismo, condannano lo spreco su cui si fonda buona parte della nostra economia; vedono nella crisi finanziaria la conferma di una critica che esprimevano da tempo. Ebbene, condivido questa critica. L'interpretazione della crisi in chiave di bolla dei consumi e crescita senza risparmio muove lungo le stesse linee. Ritengo però che una condanna indiscriminata della crescita in quanto tale sia semplicistica e molto pericolosa.Perché della crescita economica non si può dire né bene né male se non si specifica " crescita di chi" e se non si approfondiscono le relazioni tra i diversi " chi". La popolazione mondiale, circa sette miliardi di persone, è fatta di ricchi, poveri e affamati. I ricchi sono circa un miliardo, abitano l'Occidente e il Giappone; per essi vale la critica del consumismo; sono obesi, non magri. I poveri sono circa cinque miliardi, spesso non hanno scarpe ai piedi, né acqua corrente in casa, né pensione o sussidio di disoccupazione, sono per lo più analfabeti, mancano di cure mediche, iniziano a lavorare da bambini, ma riescono a sfamarsi e a coprirsi in qualche modo dal freddo e dalla pioggia. Gli affamati sono circa un miliardo, vivono soprattutto in Africa,ma anche in Asia e in America Latina ( quasi nessuno in Occidente o in Giappone), muoiono di fame e di malattie che da noi si curano a poco prezzo. Ebbene, il tema della crescita è difficile perché dobbiamo parlare di tre crescite diverse, non di una sola; e le tre crescite sono legate.Per i poveri e gli affamati la crescita economica dovrebbe continuare, accelerare, diffondersi; in Occidente e in Giappone, dove è fondata sul superfluo, dovrebbe invece fermarsi.Questo è ciò che lei chiamava, nella sua prima domanda,il "modello difunzionamento dell'economia mondiale"?In astratto sì; in realtà proporre quel modello come se immaginarlo e attuarlo fossero la stessa cosa è tanto pericoloso quanto lo è stata, a suo tempo, l'idea dell'economia pianificata. Il fatto è che non sappiamo né come né se quel modello possa funzionare. Sappiamo che l'attuale modus operandi dei mercati, della politica economica e della politica tout court rende quanto mai arduo attuare il tipo di crescita differenziata che ho prima ipotizzato.Perché arduo? Molti trovano del tutto ragionevole che i ricchi si accontentino di quello che hanno, per lasciar crescere i poveri e risparmiare risorse naturali.Guardiamo che cosa potrebbe significare e che difficoltà potrebbe incontrare, in realtà,l'attuazione di quel modello.Cominciamo dai ricchi, una parte preponderante della popolazione americana, europea, giapponese: essi potrebbero, per un anno o due, smettere del tutto di comprare vestiti, elettrodomestici, automezzi, mobili e altri beni durevoli, cessare di andare al ristorante, non fare neppure una vacanza in albergo senza per questo abbassare realmente il loro tenore di vita. Se lo facessero (e forse lo stanno facendo in questo momento), metterebbero in crisi la propria economia e arresterebbero anche il processo d'uscita dalla povertà dei Paesi emergenti, che producono una parte notevole dei beni che, nella nostra ipotesi, i ricchi smetterebbero di acquistare. Veniamo ai poveri: se essi raggiungessero (come più della metà di loro sta facendo) il tenore di vita dei ricchi, la pressione dell'umanità sulle risorse scarse del pianeta, soprattutto d'energia e di cibo, diverrebbe rapidamente insostenibile. Ci sarebbero carenza di cibo, accelerazione del cambiamento climatico, enorme rincaro delle materie prime;molti poveri diverrebbero ricchi, ma molti verrebbero ricacciati nella condizione di affamati, com'è avvenuto nel 2007 in India per effetto del rincaro del riso. Insomma, lo spreco dei ricchi aiuta la crescita dei poveri; la crescita dei poveri aumenta il numero degli affamati. Non posso proprio dire che nel circuito della politica economica internazionale, nel quale sono stato negli ultimi trent'anni, il problema sia stato posto in questi termini.Vuole allora dire che quel suo modello è impossibile e che l'economia di mercato ci porterà al disastro?Non penso neppure questo; penso che ci sia molto lavoro da compiere per gli studiosi, sia in campo economico sia in campo politico. Quella che ho descritto è la grande sfida dei prossimi decenni: non conosciamo il modo per vincerla, ma non la dobbiamo neppure considerare perduta. Ritengo che il modello di crescita che ho tratteggiato - la crescita differenziata sia quello verso cui si deve muovere e che la cosiddetta economia di mercato vada non soppressa, ma indirizzata verso un funzionamento che aiuti a realizzare quel modello. Di una cosa sono certo: l'economia mondiale non muoverà spontaneamente verso quel modello, nessuna mano invisibile ci piloterà in quella direzione, senza un governo gran parte dell'umanità andrà incontro a inenarrabili sofferenze.Veniamo così alla sua seconda domanda. Come dev'essere configurato questo governo,l'attore di politica economica necessario per sospingere il mondo verso un modello alternativo?Sembra quasi inconcepibile che l'economia mondiale possa essere sospinta verso un diverso modello di funzionamento dall'azione concordata di una congerie di duecento Stati sovrani, nessuno dei quali ha tra i suoi compiti istituzionali l'occuparsi dell'interesse dell'intera umanità. Torno quindi a quanto abbiamo detto di un universo kantiano nel quale regole generali abbiano il sopravvento sui poteri nazionali. Detto ciò, mi pare che nella ricerca di una risposta soddisfacente occorra mantenere due punti fermi: il mercato e la democrazia. Sarebbe un grave errore, per esempio, cercare un modello alternativo di funzionamento dell'economia mondiale sopprimendo il mercato o introducendo forme generalizzate di pianificazione. Queste sono false utopie che hanno già dimostrato di essere fallaci e di generare povertà e oppressione quando si cerca di tradurle nella realtà. Le frontiere aperte, con il libero passaggio dei beni, dei servizi, dei capitali, delle persone, sono un traguardo da difendere. Per quanto riguarda poi la democrazia, sarebbe una grave perdita se il bisogno di un governo dell'economia internazionale non contenesse gli elementi di rappresentatività e di responsabilità (in inglese si parla di accountability, il dovere di rendere conto del proprio operato) simili a quelli delle democrazie operanti entro gli Stati.Infine, la terza delle sue domande: che cosa può fare il singolo cittadino consapevole, che cosa possono fare i giovani in questo frangente?Informarsi, ragionare con la propria testa, rifiutare i luoghi comuni, non essere gregge, guardare lontano, sapersi cittadino del mondo, essere intransigente, pensare responsabilmente, sentire la politica come attività nobile. Ognuno può contribuire al buon orientamento dell'opinione pubblica, a cercare soluzioni per i problemi del proprio tempo, a inventare i piccoli passi che avvicinano a una meta grande e lontana. (Dal Sole 24 Ore)
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