venerdì 30 gennaio 2009

La Ue propone un mercato globale delle emissioni

Dal Sole 24 Ore

L'Unione europea punta con decisione a un patto globale per contenere i cambiamenti climatici in prospettiva della Conferenza Onu che si terrà a dicembre a Copenaghen. E prevede la necessità di un investimento globale di 175 miliardi l'anno dal 2020 in poi per contenere l'aumento della temperatura del pianeta al di sotto dei 2 gradi rispetto al periodo preindustriale, evitando conseguenze pericolose.Il commissario Ue all'Ambiente, Stavros Dimas, ha presentato ieri a Bruxelles la strategia europea post-Kyoto sul clima, per il periodo seguente al 2012. L'obiettivo è di arrivare a un consenso sul taglio del 30% delle emissioni di Co2 da parte dei Paesi sviluppati entro il 2020, andando al di là del 20% che l'Unione europea si è comunque unilateralmente impegnata a conseguire con il pacchetto di misure approvate nel dicembre scorso. «È necessario un accordo globale stavolta » ha affermato Dimas, spiegando di aver ottenuto dal neopresidente Barak Obama assicurazioni sul pieno impegno degli Stati Uniti in tal senso. «È una grande novità rispetto all'era Bush che minacciava il veto su questi temi», ha detto il commissario, precisando tuttavia chela nuova amministrazione Usa probabilmente non sarà in grado di presentarsi a Copenhagen con una Borsa dei permessi di emissioni già operante, come quella europea.Le proposte della Commissione prevedono entro il 2015 l'istituzione di un mercato di Co2 globale, che copra tutti i Paesi dell'Ocse e lo sviluppo di fonti di finanziamento innovative basate sulle emissioni dei Paesi e sulle loro capacità finanziarie. Dimas ha però sottolineato che per arrivare a un accordo internazionale a Copenaghen è essenziale che i Paesi ricchi garantiscano ai Paesi in via di sviluppo i finanziamenti necessari. "No money, no deal" (niente patto senza denaro), ha avvertito il commissario.Gli investimenti globali dovrebbero aumentare progressivamente, culminando in 175 miliardi di euro aggiuntivi l'anno nel 2020, al netto dei ritorni derivanti dal risparmio energetico o dalle energie rinnovabili. Secondo la Commissione, una buona parte di questa cifra, attorno ai 95 miliardi di euro, dovrà essere investita nei Paesi in via di sviluppo. Il documento dell'Esecutivo Ue, tuttavia, non contiene più la proposta (presente nelle bozze di lavoro precedenti) dell'impegno esplicito europeo a finanziare con 30 miliardi di euro gli investimenti nei Paesi più poveri. Dimas ha però sostenuto che i finanziamenti pubblici necessari potranno essere ricavati da due diversi meccanismi, magari combinati insieme: un contributo dei Paesi ricchi proporzionale al Pil pro-capite, e un prelievo dagli introiti del commercio dei diritti di emissione. Il commissario ha anche sottolineato come le economie emergenti - Cina, India, Brasile, Messico - saranno a un certo punto in grado di "pagare da sole" per le misure contro il cambiamento climatico, senza dipendere più dalle sovvenzioni degli altri Paesi industrializzati.

Roma capitale delle fonti rinnovabili

La prossima edizione di ZeroEmission Rome (30 settembre-2 ottobre), rassegna dedicata all'energia alternativa, alla sostenibilità ambientale, alla lotta ai cambiamenti climatici e all'emission trading, si preannuncia ricca di novità
L a green economy avanza a grandi passi e offre notevoli opportunità di sviluppo economico, con ricadute molto positive anche sull'occupazione. Non a caso, il neopresidente degli Stati Uniti, Barack Obama, vuole investire 150 miliardi di dollari in dieci anni nelle energie rinnovabili per creare cinque milioni di posti di lavoro.In questo stimolante contesto mondiale, l'evento di riferimento per le aziende interessate allo sviluppo delle energie rinnovabili, alla sostenibilità ambientale, alla lotta ai cambiamenti climatici e all'emission trading nel mercato del bacino del Mediterraneo è Zero Emission Rome.L'ultima edizione, che si è svolta dall'1 al 4 ottobre 2008 nel nuovo quartiere della Fiera di Roma, ha registrato risultati molto significativi. Si è tenuta su una superficie espositiva di ben 25.000 metri quadri ed è stata caratterizzata dall'internazionalità: circa il 30% degli oltre 300 espositori sono, infatti, stati esteri. La manifestazione ha registrato oltre 18.000 presenze, delle quali circa 1.900 hanno seguito il qualificato programma di conferenze e workshop a cui sono intervenuti 332 relatori, suddivisi in 46 sessioni.Forte di questi risultati, la prossima edizione di ZeroEmission Rome, in programma dal 30 settembre al 2 ottobre 2009, si preannuncia ricca di novità interessanti. L'evento sarà composto da diversi eventi specializzati: Eolica Expo Mediterranean (salone internazionale per l'elettricità dal vento); CO2 Expo (salone internazionale dei mercati dei crediti di carbonio); Agrienergy Expo (salone internazionale dell'energia da fonti rinnovabili agricole); Biofuel Expo (salone internazionale delle tecnologie e dell'industria sostenibile dei biocarburanti liquidi); PV Rome Mediterranean (salone internazionale delle tecnologia fotovoltaiche per il Mediterraneo); CSP Expo Solartech (salone internazionale delle tecnologie per la produzione di impianti solari a concentrazione).

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

giovedì 29 gennaio 2009

«Sos Amazzonia»: da Belem il grido per salvare la terra

T amburi per dire Sos al mondo: salvate l’A- mazzonia. Si è aperto ieri con un passaggio di testimone molto particolare tra Africa e America Latina all’Escadinha, il nono Forum sociale mondiale. Dipinti di nero e rosso hanno sfilato i rappresentanti di 60 popoli indigeni. Dopo Nairobi a Belèm, nel cuore dell’Amazzonia, che per 4 giorni diventa capitale planetaria della difesa dell’ambiente e della lotta alla povertà. Sono convenuti in città da tutto il globo almeno 120mila attivisti in rappresentanza di associazioni, ong, sindacati e chiese. Domani, fuori dai programmi ufficiali, pure un vertice tra capi di Stato latinoamericani, con il presidente Lula, il caudillo rosso del Venezuela Hugo Chavez, l’ecuadoriano Correa, l’ex vescovo Lugo, presidente del Paraguay e il boliviano Evo Morales. In forse la presidentessa cilena Michelle Bachelet. Previste imponenti misure di sicurezza e favelas blindate. Al centro le ultime dichiarazioni di rilancio ambientalista del nuovo presidente Obama, la crisi globale e le proposte di rilancio economico del continente sudamericano.Ma ieri sera sono stati protagonisti con i loro colori e le loro lotte i popoli indigeni, con un rituale condiviso tra le oltre 60 differenti nazioni della terra. Il popolo che vive nella foresta e sul grande fiume ha preso la testa del corteo invitando gli almeno 120mila partecipanti a camminare insieme con bandiere e striscioni. Ha sfilato anche la Chiesa di Belèm dietro l’arcivescovo Orani Tempesta.«È molto importante per noi – spiega – che riflettori si accendano su questa metropoli dell’Amazzonia che ha due milioni di abitanti. Per denunciare i molti problemi della regione, penso ad esempio alla disuguaglianza sociale, alla povertà minorile, alla sfruttamento selvaggio del suolo amazzonico, alla miseria e allo sfruttamento del popolo del fiume». Il dramma dei bambini di strada è in aumento.La Chiesa è in prima fila con i suoi progetti e i volontari per aiutare 95mila bambini minori di sei anni in 1900 comunità, 5600 gestanti e 67mila famiglie in condizioni di povertà e miseria. La Cei ha finanziato un centro di recupero e inserimento professionale nella parrocchia di Sant’Edvige.Va denunciato il dominio mafioso dei latifondisti sulla foresta, l’attività estrattiva e gli indios. Lo Stato del Parà, che ha per capitale Belèm, è terra di violenza con 212 omicidi negli ultimi anni di attivisti, sindacalisti che lottavano contro la corruzione e denunciavano lo sfruttamento umano e ambientale da parte dei proprietari terrieri. Sulla lista nera dei fazenderos ci sono finiti anche religiosi e componenti della commissione patronale della terra della Chiesa brasiliana. Come suor Dorothy, uccisa nel 2005 nel Parà, alla quale il Social forum ha dedicato una tenda che ospiterà dibattiti. La tenda apre oggi i battenti, nella giornata Pan-Amazzonica dedicata ai 500 anni di resistenza, conquiste e prospettive delle popolazioni indigene ed afrodiscendenti. Tra i temi, cui contribuisce anche la Chiesa brasiliana e la Caritas latinoamericana, quello sui cambiamenti climatici e giustizia ambientale, su diritti umani, lavoro, migrazioni. E, ancora, territorio, identità, sovranità alimentare.

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Pacchetto clima. L'Europa spera in Barack

Da l'Unità

Taglio del 30% entro il 2020 delle emissioni di Co2 dei Paesi sviluppati. Coinvolgimento dei Paesi in via di sviluppo e investimenti mondiali nella lotta al cambiamento climatico per 175 miliardi di euro all'anno fino al 2020.È questa la proposta della Commissione europea, presentata ieri dal commissario Ue all'Ambiente Stavros Dimas, per un accordo globale post-Kyoto alla conferenza Onu di Copenhagen di dicembre.Con la svolta ambientalista degli Stati Uniti, seguita all'elezione di Obama, l'Ue sente il traguardo più vicino. Del resto, ha osservato Dimas, il negoziatore americano sul clima designato da Obama è lo stesso Todd Stern che per conto di Clinton contribuì a ideare il protocollo di Kyoto.Il problema però, in tempi di crisi economica, sono i soldi. «Senza un pacchetto finanziario credibile non ci sarà accordo a Copenhagen», ha ammonito il commissario europeo: «no money, no deal», niente soldi, niente accordo.La proposta della Commissione, che i Ventisette dovranno approvare nel Summit del 19-20 marzo, prevede quindi l'istituzione entro il 2015 di un mercato del carbonio che comprenderà tutti i Paesi Ocse. Questo servirà a reperire i fondi, insieme a «fonti innovative di finanziamento internazionale basate sul principio 'chi inquina paga'». La metà dei 175 miliardi all'anno servirà ai Paesi in via di sviluppo, a cui non si chiederanno impegni vincolanti ma piani per ridurre la crescita delle emissioni del 15-30% rispetto ai livelli previsti a politiche invariate.«L'Europa va avanti con il suo progetto», ha commentato l'eurodeputato del Pd Guido Sacconi, «altro che le frenate di Berlusconi sul pacchetto clima!».

mercoledì 28 gennaio 2009

Aumentano gli investimenti ecosostenibili in Europa

L’Eurosif, un gruppo paneuropeo nato con la missione di indirizzare i finanziamenti europei verso mercati sostenibili, ha diffuso il rapporto della ricerca, giunto alla sua terza edizione, relativa agli investimenti sostenibili e responsabili. Nel bel mezzo della bufera economica che impone tagli alle spese delle aziende, le quali stanno attrivarsando grandi difficoltà di finanziamento dalle banche, ecco che avviene il ripensamento del sistema. In campo europeo, nonostante la crisi, si è avuta la prova che una direzione più “sensibile” ai temi socialmente responsabili è possibile: il rapporto dell’Eurosif evidenzia come la dimensione del mercato europeo relativo agli investimenti socialmente responsabili (SRI) abbia raggiunto un totale di 2.665 miliardi di €, che annualmente significa un incremento di ben il 42%.

Esperto Gb: Riciclo rifiuti contribuisce aumento gas serra

Il riciclo dei rifiuti contribuisce a aumentare il riscaldamento della terra invece che ridurlo. Lo afferma Peter Jones, ex direttore della compagnia Biffa Waste Services, specializzata nel trattamento dei rifiuti, e ora consulente del ministero dell'Ambiente e del sindaco di Londra, Boris Johnson. Secondo Jones, citato dal quotidiano britannico Telegraph, occorre essere certi che la raccolta differenziata, il trasporto e il processo di riciclo dei rifiuti non contribuisca ad aumentare le emissioni di Co2. "Oggi smaltire i rifiuti in un inceneritore a cinque chilometri di distanza ha un minore impatto sul riscaldamento globale del pianeta rispetto che riciclarli in un impianto specializzato a tremila chilometri", ha affermato Jones sottolineando la necessità di ripensare la politica sulla lotta ai gas serra da parte del partito laburista. Nel mese scorso il Daily Telegraph ha svelato che numerose città inglesi e gallesi inviano i rifiuti in impianti di smaltimento in Cina. (apCom)

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

martedì 27 gennaio 2009

Rane, rospi e foreste. E il cambiamento climatico

Dal Manifesto

Rane, rospi, e altre specie di anfibi sono considerati un «bio indicatore»: la salute di queste popolazioni dice molto sullo stato di salute generale degli ecosistemi, naturali e coltivati. Ma sono popolazioni a rischio, come sottolineano diverse organizzazioni per la conservazione della natura, che parlano di un incombente rischio di estinzione di massa, E infatti il 2008 era stato decretato «anno degli anfibi» dalle organizzazioni ambientaliste internazionali, che chiedevano a governi e istituzioni di appoggiare un piano globale e programmi conservazionisti locali capaci di rallentare la decimazione accelerata di rane e altro. Gli anfibi sono gravemente minacciati a causa del cambiamento climatico, dell'inquinamento sempre più diffuso negli ambienti in cui vivono, della perdita di ecosistemi umidi e dall'uso di pesticidi. Senza dimenticare la mortale malattia diffusa dal fungo Chytrid che sta devastando le popolazioni di anfibi in tutto il mondo, né l'introduzione di specie invasore e dalla commercializzazione incontrollata delle rane come animali da compagnia. Un futuro fosco e con poche soluzioni realistiche.In Colombia, il secondo paese al mondo per diversitá di specie di batraci minacciate, sono state decretate due nuove riserve per la protezione di anfibi. La prima, piú publicizzata dalla stampa e dai siti web, è nella zona andina a 1.600 metri di altezza, nella regione di Tolima, nelle montagne di Falan. Qui, alla fine del 2007, due ricercatori avevano annunciato la sorprendente scoperta di due sconosciute variopinte specie di rane velenose, la Ranitomeya doriswainsonae e la Ranitomeya tolimense. L'hanno battezzata «Reserva de anfibios Ranita dorata», è il risultato di uno sforzo congiunto dell'associazione conservazionista colombiana Pro Aves, vari gruppi di protezione degli anfibi affiliate all'Unione mondiale per la conservazione della natura (Uicn), di Conservation International e della Netherland Postcode Lottery, la lottería nazionale privata olandese.


L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Contro i gas serra, in Cina la centrale solare più grande del mondo

La Cina ci stupisce ancora una volta: il più grande produttore mondiale di gas serra si attiva per riparare ai propri danni causati all’ambiente, e lo fa ovviamente in maniera proporzionale. A Dunhuang City sorgerà infatti la centrale solare fotovoltaica più grande del mondo. L’ambizioso progetto sarà realizzato da due gruppi imprenditoriali cinesi, il China Technology Development Group e il Qinghai New Energy Group, che prevedono un tempo massimo per la messa in funzione della centrale di 5 anni a partire dall’inizio del 2009. La centrale, situata ad un altitudine di 2500-3000 metri, nel bacino di Qaidam, sorgerà nella provincia di Quingha, una zona nota in particolare per le sue enormi risorse naturali (sale, petrolio, piombo e borace), da cui prende il nome di Treasure Basin. Proprio per questo, secondo la China Technology Development Group, il deserto del Qaidam Basin è il luogo ideale per la costruzione di una grande centrale fotovoltaica grazie al clima asciutto e soleggiato.

lunedì 26 gennaio 2009

Il riscaldamento del Polo sud cresce a ritmi record

Integrando i dati raccolti in mezzo secolo da satelliti e stazioni a terra, i ricercatori hanno visto che in Antartide, la zona che ospita la maggior parte dei ghiacci, la temperatura è aumentata di 0,6 gradi centigradi.
Il Polo Sud si sta riscaldando. Negli ultimi cinquant’anni la temperatura media sul continente di ghiaccio è aumentata di 0,6 °C, in media 0,12 °C per decade: più che in altre parti del pianeta. La crescita non è omogenea. È più marcata in inverno e in primavera, meno in estate e autunno. Ed è massima nell’Antartide occidentale, dove la crescita è stata in media di 0,17 °C per decade. Più che nella stessa Penisola Antartica, la zona più monitorata del continente bianco e che si pensava fosse più suscettibile al cambiamento climatico. Il riscaldamento, tuttavia, non riguarda solo le regioni occidentali dell’Antartide. Anche a est non si scherza: dal 1957 a oggi la temperatura è aumentata in media di 0,10 °C per decade. L’aumento in entrambe le regioni è significativo, sia perché la parte orientale e la parte occidentale del continente sono separate da alte montagne, sia perché il relativo raffreddamento di queste montagne all’interno non compensa il riscaldamento generale dell’Antartide. Sono questi, in estrema sintesi, i risultati pubblicati da Eric Steig della University of Washington e da un gruppo di suoi collaboratori sul numero appena uscito di Nature. La ricerca è la più estesa mai realizzata per l’Antartide e integra i dati raccolti in mezzo secolo da satelliti e da stazioni a terra. I risultati sono importanti per due motivi.

L’Europa crede ai cambiamenti climatici

Da L'Unità

I cittadini dell’Unione Europea pensano che i cambiamenti climatici siano il secondo problema più importante per l’umanità. Il primo è naturalmente la povertà. Così emerge da un sondaggio effettuato dall’Eurobarometro, lo strumento che si è dato la Commissione Europea per tastare il polso dei cittadini dell’Unione, nella primavera scorsa. Non solo. Il 60% degli intervistati pensa che quello dei cambiamenti climatici non sia un processo inarrestabile, ovvero che si può fare qualcosa per fermarlo, e il 65% che l’allarme non è stato esagerato. Tuttavia, alcuni paesi dell’Unione non si sentono sufficientemente informati sulle tematiche ambientali. Tra questi paesi c’è l’Italia.I dati sono stati presentati a Perugia durante il convegno «Cittadini nella società della conoscenza» organizzato dall’Arpa dell’Umbria. Il punto di partenza del convegno è una constatazione: siamo entrati nella società della conoscenza, ovvero in una società in cui la scienza è sempre più importante e entra nelle scelte che siamo chiamati a compiere quotidianamente. Eppure, proprio nel momento in cui la ricerca scientifica e tecnologica ha un ruolo centrale, intorno ad essa si crea un vuoto sociale. La scienza piace finché è una vetrina, ma non piace quando entra nei nostri spazi privati. Bisogna considerare, tra l’altro, che tra la comunità scientifica e la società ci sono vari intermediatori come la politica, le istituzioni e l’informazione. Il convegno ha voluto mettere insieme alcuni di questi attori (giornalisti, sociologi, politici, amministratori, scienziati) per cercare di riflettere su questi temi. In questo senso i dati che arrivano dalla comunità europea sono interessanti. Sui cambiamenti climatici la comunicazione almeno in parte ha funzionato. Molto meno su altri temi, come ad esempio le cellule staminali, gli Ogm o gli inceneritori. Il cammino per una partecipazione diretta della società alla produzione e alla valutazione della ricerca sarà lungo. Così come quello che porterà la scienza ad essere un fattore di inclusione sociale.

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

venerdì 23 gennaio 2009

Ambiente, «Lontani gli obiettivi Ue»

Analisi McKinsey sulla direttiva 20-20-20 pubblicata dal Sole 24 Ore

Gli obiettivi del pacchetto clima ed energia della Ue, il cosiddetto «20-20-20», non saranno raggiunti. Anche immaginando tutti gli interventi possibili, perfino ipotizzando che entro una dozzina d'anni siriesca nell'improbabile impresa di avviare un primo reattore nucleare (la produzione di elettricità con centrali atomiche non emette anidride carbonica), nel 2020 l'Italia continuerà a diffondere nell'aria circa 45 milioni di tonnellate di CO2 di troppo. In cifre: 524 milioni di tonnellate emesse contro le 480 tonnellate massime chieste dall'Europa. Emerge da uno studio realizzato dalla McKinsey, commissionato da Enel e presentato ieri a Roma al convegno «Il contributo dell'Italia nella lotta al cambiamento climatico» organizzato da Confindustria.Quale la ricetta? Ovviamente, a un problema complesso non si risponde con una soluzione semplice come quella individuata dall'Unione europea.Soluzione semplicistica in stile Bruxelles: creare vincoli, bastonare le facili emissioni delle centrali elettriche e dei settori ad alta intensità di energia. Un contributo verrà dal nucleare (dice Simone Mori dell'Enel) e dalle nuove tecnologie di cattura delle emissioni. Ma si otterrebbero effetti migliori – conferma Edoardo Zanchini della Legambiente – lavorando sulle case degli italiani (25 milioni di tonnellate di CO2 in meno) per dare loro un isolamento termico migliore e caldaie più efficienti, oppure con automobili e camion che consumano meno carburante (25 milioni di tonnellate in meno nel settore dei trasporti). «Noi abbiamo sostenuto la detrazione fiscale del 55% per le case efficienti», ricorda Andrea Moltrasio, vicepresidente per l'Europa della Confindustria, e «quell'esperienza ci conferma che il vero strumento è l'incentivazione, invece delle tasse. Questo serve ad accelerare un comportamento che comunque il mondo farà tramite l'innovazione tecnologica».In effetti, il mondo vede più avanti di Bruxelles. Come nel caso del nuovo programma climatico degli Usa tratteggiato da Barack Obama: «Per non perdere il treno internazionale trainato dagli Stati Uniti la Ue deve subito utilizzare la clausola di revisione nel pacchetto clima ed energia », avverte Corrado Clini, direttore generale del ministero dell'Ambiente che da anni lavora con gli stessi esperti Usa oggi al vertice dell'Amministrazione Obama.

Anche il clima può fare giustizia

Le mutazioni ambientali colpiscono soprattutto il Sud del mondo: «Target 2015» è la campagna Focsiv per una «ecologia umana» attenta all’uguaglianza sociale. Lo spiega Avvenire

I mutamenti climatici toccano tutti. Ma non allo stesso modo. A essere colpite più duramente sono - e saranno - soprattutto le popolazioni povere e vulnerabili del Sud del mondo. «Crea un clima di giustizia» è quindi lo slogan e l’invito della campagna «Target 2015» per promuovere la sostenibilità ambientale. Una mobilitazione guidata dalla Focsiv, cartello di ong per lo sviluppo di area cattolica, cui aderiscono anche 19 associazioni cattoliche, col sostegno degli uffici Cei per la Cooperazione missionaria tra le chiese e per i Problemi sociali e del lavoro. Alla campagna, presentata dal direttore di Volontari nel Mondo- Focsiv Sergio Marelli, non ha fatto mancare il suo appoggio il segretario generale della Cei monsignor Mariano Crociata. Partner della mobilitazione anche il Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici, la Fondazione Lanza, Famiglia Cristiana e Greenaccord, associazione culturale per la salvaguardia del creato.Secondo il vescovo l’iniziativa è «particolarmente preziosa per il sostegno al cammino di sensibilizzazione sul cambiamento climatico, letto non solo in chiave ambientale ma nelle più estese ottiche di un’ecologia umana, attenta all’uguaglianza e alla giustizia sociale, considerato che le conseguenze dei mutamenti climatici colpiscono non di rado le popolazioni più povere». «Target 2015» si inserisce nella più ampia mobilitazione internazionale Poverty and Climate justice promossa da Caritas Internationalis e Cidse, l’alleanza di ong cattoliche di cooperazione europee e ameri- cane. Il traguardo è la XV Conferenza degli stati parti alla Convenzione sul clima delle Nazioni unite, cruciale per un nuovo 'accordo Kyoto'. «Non siamo né catastrofisti, né negazionisti», ha chiarito monsignor Angelo Casile, direttore dell’ufficio Cei Problemi sociali e del lavoro. «Ma va tenuta alta la riflessione – ha aggiunto – sulla responsabilità dell’uomo sugli equilibri ambientali ». E la Chiesa non può non prestare attenzione: «Il creato è opera di Dio: i primi cinque giorni della creazione sono per il cosmo, al sesto il Signore pone l’uomo nel giardino dell’Eden con un compito preciso, quello di coltivarlo e custodirlo ». Per raccogliere firme verranno distribuiti 500 mila moduli ma sarà possibile aderire anche nel sito www.climadigiustizia.it. I promotori chiedono che il Governo promuova un accordo internazionale post-2012 che includa tre punti. Uno: riconoscimento del diritto delle popolazioni dei Paesi poveri ad uno sviluppo sostenibile. Due: sostegno adeguato ai Paesi in via di sviluppo, certo e addizionale per le strategie di adattamento al cambiamento climatico. Tre: riduzione dei gas serra nei Paesi industrializzati di almeno il 30-40%, entro il 2020 rispetto ai valori del 1990. I finanziamenti per i cambiamenti climatici, sottolinea la campagna, debbono essere addizionali all’impegno sottoscritto dall’Italia di destinare lo 0,7% del Pil allo sviluppo entro il 2015. Impegno da cui siamo ben lontani: la Finanziaria 2009 ha tagliato del 56% i fondi per la cooperazione rispetto al 2008. Quest’anno per i Paesi poveri c’è solo lo 0,09% del Pil. L’Ue chiede lo 0,51% per il 2010.

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

giovedì 22 gennaio 2009

Buco dell'ozono: una storia di successo, ma ancora senza il lieto fine

Le emissioni di sostanze che distruggono lo strato di ozono si sono drasticamente ridotte, scendendo da 1,5 miliardi di tonnellate nel 1989 agli 89 milioni di tonnellate nel 2005, da quando è stato rilevato per la prima volta il buco dell'ozono. Il progresso registrato finora, 20 anni dopo la firma del Protocollo di Montreal, dimostra quanto sia possibile realizzare quando i paesi si coalizzano per risolvere i problemi ambientali globali.I tassi di concentrazioni di clorofuorocarburi (CFC) nell'atmosfera hanno iniziato a diminuire, ma fino a che non caleranno in misura significativa e lo strato di ozono non riacquisterà il suo spessore, le radiazioni ultraviolette continueranno a minacciare la nostra salute, la produttività agricola e la vita delle specie animali. Dagli anni Novanta in poi, tutte le regioni del pianeta hanno rispettato in pieno gli impegni del Protocollo di Montreal, andando anche oltre le previsioni. In molti Stati i CFC sono stati aboliti, e anche i Paesi in via di sviluppo seguiranno questo esempio entro il 2010. Parimenti, in tutti i continenti è stato ridotto l'impiego di altre sostanze che intaccano l'ozonosfera. Rimane però da raggiungere il traguardo della totale eliminazione di queste sostanze, in armonia con quanto previsto dal Protocollo. In alcuni paesi, quantitativi non indifferenti di CFC vengono tuttora prodotti e commercializzati illegalmente. Inoltre, va tenuto in considerazione l'ostico problema delle scorte di sostanze chimiche dannose per l'ozono: distruggerle è molto costoso sia da un punto di vista economico che ecologico, in quanto metodi di smaltimento poco sicuri potrebbero liberare nell'atmosfera quantitativi concentrati di sostanze, con effetti disastrosi per l'ambiente. Manca quindi ancora il "lieto fine" per questa storia, che rappresenta pur sempre uno dei migliori successi della comunità internazionale in tema di tutela ambientale.

L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

Biodiversità marina, è allarme

Sollecitata dalla perdita globale di biodiversità, la comunità internazionale sta incoraggiando la tutela degli ecosistemi terrestri e marini. Le aree protette nel mondo si sono ampliate significativamente negli ultimi anni, fino a raggiungere i circa 20 milioni di chilometri quadrati del 2006 - una superficie doppia rispetto a quella della Cina. Tuttavia, non sempre le aree sottoposte a tutela sono gestite con efficacia ai fini della conservazione ambientale. E solamente un decimo di queste aree coprono ecosistemi marini, a dispetto del loro ruolo fondamentale nella protezione della fauna ittica e degli ambienti costieri. Non deve quindi stupire che, sebbene le aree protette si estendano progressivamente, non accenna a rallentare il ritmo dell'estinzione di specie animali e vegetali o il declino di specifiche popolazioni. Occorrono sforzi senza precedenti per conservare in modo sostenibile gli habitat, gli ecosistemi e le specie a rischio, se vogliamo raggiungere l'obiettivo di ridurre significativamente il tasso di estinzioni di qui al 2010. Sono esposti a particolare pericolo le popolazioni ittiche di tutto il pianeta, ed è urgente una immediata cooperazione tra gli Stati per salvare i pesci in via di estinzione e frenare lo spopolamento di singole specie. Dopo decenni di sfruttamento selvaggio delle risorse, la quota di banchi di pesce spopolati, sovrasfruttati o in via di recupero si è oggi stabilizzata al 25% rispetto agli anni Novanta. Ma sono sempre meno i banchi sfruttati sotto la soglia di allarme: se nel 1975 il 40% dei banchi erano considerati sostenibili, oggi tale proporzione è calata al 22%. (tratto da www.unicef.it)

mercoledì 21 gennaio 2009

Una rivoluzione energetica anche in Italia

Nel mese di Dicembre è stato raggiunto un importante accordo tra le varie associazioni ambientaliste italiane e gli industriali del settore delle rinnovabili per fare pressione sulle politiche energetiche intraprese in Italia. Il punto di partenza del documento, intitolato ’’Una rivoluzione energetica anche in Italia’’, è il pacchetto clima-energia e gli obiettivi al 2020, che rappresentano un’occasione importante per una svolta energetica anche in Italia, e sulla quale va necessariamente superata una posizione di retroguardia, che rischia di far perdere all’Italia un appuntamento storico. Tra i firmatari dell’accordo figurano Anab, Anev, Aper, Assolterm, Assosolare, Federpern Fiper, Gifi, Greenpeace Italia, Gses, Ises Italia, Itabia, Kyoto Club, Legambiente, Wwf Italia e Aiel. La firma al documento è venuta sia da associazioni ambientaliste che da soggetti industriali, a conferma degli interessi ormai sempre più stretti tra ambiente ed economia. (Da Yes.Life)

Il reporting di sostenibilità convince sempre più aziende

Da Italia Oggi

Il reporting di sostenibilità conquista le imprese. L'80% delle prime 250 aziende al mondo per fatturato lo scorso anno ha elaborato un report di sostenibilità. A rivelarlo, uno studio internazionale realizzato da Kpmg attraverso l'analisi di 2.200 aziende distribuite su 22 paesi.
In testa alla classifica dei paesi con il maggior numero di non financial reporting, il Giappone dove l'86% delle prime 100 aziende per fatturato ha mostrato di adottare una strategia di Csr e di produrre un documento di reporting.
Seguono la Francia con il 79%, il Regno Unito con il 65% e la Norvegia con il 63%.
Tra i 22 paesi considerati, l'Italia si trova invece a metà classifica con il 42% delle prime 100 aziende per fatturato che dichiara pubblicamente di adottare politiche di Csr e di rendicontarle.
«La sostenibilità sta diventando parte integrante delle strategie aziendali», ha spiegato Pier Mario Barzaghi, partner di Kpmg. «Nel medio-lungo termine, queste politiche aiuteranno a mitigare e gestire i rischi aziendali, che non sono più solo finanziari.
In un momento come quello attuale l'attuazione di politiche di sostenibilità può diventare anche fattore di vantaggio competitivo vista la nuova sensibilità dei consumatori sui temi etici.
Queste iniziative, tuttavia, devono essere inserite nel piano industriale dell'organizzazione, in maniera tale che la sostenibilità possa diventare fattore strategico di cambiamento e modello per la gestione dei processi aziendali».
Tra le cento maggiori aziende italiane, il 65% pubblica informazioni relative alla responsabilità sociale attraverso differenti modalità: il 56% produce un Cr report separato, in alcuni casi (31%), fornendo anche un'informativa di sostenibilità nell'annual report.
Il 3% destina solo una sezione alle performance di sostenibilità che affiancano l'informativa del bilancio di esercizio.
Il 6% delle aziende inserisce, invece, informazioni, tipicamente di alto livello, esclusivamente nell'annual report. Ma quali sono i temi oggetto del reporting di sostenibilità? In cima alla classifica elaborata da Kpmg a livello globale spicca il tema della corporate governance. Il 68% delle prime 250 aziende globali inserisce nei propri report una sezione inerente alle norme che disciplinano la gestione dell'impresa stessa.
Grande attenzione anche ai problemi dei cambiamenti climatici con il 60% delle aziende che produce un report sui rischi legati all'ambiente e alle politiche aziendali in tema di contenimento di emissioni inquinanti.

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

martedì 20 gennaio 2009

Casa Bianca America Verde

Obama ha promesso il massimo impegno nella lotta ai cambiamenti climatici. Adesso è il tempo dei fatti. Per ridare credibilità agli Stati Uniti ì, racconta L'espresso

Yes We Can. Queste tre parole, "Sì, noi possiamo", sono diventate lo slogan non ufficiale della campagna per la presidenza di Barack Obama, il suo modo di esortare gli americani a credere nella loro capacità di poter vincere contro ogni previsione e cambiare il corso della storia. Adesso 'Yes We Can' deve diventare il motto dell'America intera nella battaglia per proteggere il pianeta affinché resti vivibile. Se la civiltà umana intende avere una chance realistica di sopravvivere al riscaldamento globale, Obama dovrà mettersi alla guida di una rivoluzione pressoché radicale nell'approccio statunitense alla questione. Da otto anni e più Washington ha fermato ogni iniziativa mentre il riscaldamento globale si è accelerato, arrivando a un livello di grande emergenza. Il cambiamento del clima è già in corso in modo palese, sotto forma di tempeste più violente e di siccità spaventose, e l'inerzia del sistema climatico rende pressoché inevitabile che simili effetti andranno incontro, nei decenni a venire, a una spiccata intensificazione. Per evitare la catastrofe completa, affermano gli scienziati dell'Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, le emissioni globali di gas serra devono iniziare a diminuire già entro il 2015, per poi continuare a scendere di oltre l'80 per cento entro il 2050. Di sicuro, si tratta di un cambiamento enorme ed epocale. Poiché il tempo stringe e il ruolo dell'America è cruciale da questo punto di vista, Obama deve tenere le redini su tre fronti: prima di tutto deve impegnarsi a perseguire un'incisiva riduzione delle emissioni di gas serra in America. Ciò gli conferirà l'autorevolezza per poter perseguire un secondo obbligo morale: stringere un accordo con Pechino sul clima per ridurre le emissioni cinesi. Infine, Obama dovrà premere affinché tutte le nazioni inizino a premunirsi nei confronti del previsto innalzamento del livello dei mari e di altri effetti del cambiamento del clima. Si tratta sicuramente di un problema immane, ma qualche buona notizia c'è. Obama comprende sia l'impellenza del problema, sia le opportunità economiche che questo presenta. Da candidato ha proposto di spendere 15 miliardi di dollari l'anno per promuovere lo sviluppo di energie verdi, in grado di risanare l'economia e l'atmosfera. Da presidente eletto si è impegnato a creare o tutelare due milioni e mezzo di posti di lavoro almeno in parte con uno "sforzo massiccio", mirante a rendere le scuole e gli altri immobili dell'edilizia pubblica più efficienti dal punto di vista energetico. Questo programma di investimenti e di creazione di posti di lavoro 'verdi' è stato sollecitato e caldeggiato da oltre un decennio da analisti esterni (tra i quali anche il sottoscritto) e da attivisti. Adesso negli Usa questa idea sta ricevendo un'accoglienza migliore e sta affermandosi negli ambienti mainstream, sia nei media (vedi il nuovo libro del columnist del 'New York Times', Thomas Friedman, 'Hot, Flat and Crowded'), sia a Capitol Hill, dove quasi tutti i democratici e perfino molti repubblicani appoggiano alcune forme di spesa che possano incentivare le energie verdi.

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

L'inquinamento luminoso ci ha rubato le stelle

L’illuminazione nelle nostre città ci impedisce ormai di ammirare il cielo stellato. L’inquinamento luminoso è il meno considerato ma si potrebbe facilmente diminuirlo.
Anche per lo scorso Natale le nostre città sono illuminate a giorno da luminarie più o meno intense e colorate. Le vie dei negozi la sera hanno più luce che durante il giorno e nelle vie dove le luminarie non ci sono si avverte la mancanza di un segno che tradizionalmente accende (è il caso di dirlo!) la voglia di Natale. Del resto, come è ben noto, nei giorni immediatamente seguenti il solstizio d’inverno, da secoli moltissime culture del mondo festeggiano la rinascita della luce e anche il Natale cristiano si è andato a inserire in una tradizione già presente. La luce rappresenta quindi a tutte le latitudini la vita che rinasce, ma l’abuso di illuminazione nelle nostre città diventa spesso segno di spreco e lascia perplessi di fronte all’argomento risparmio energetico. (da Yes.Life)

lunedì 19 gennaio 2009

In Europa la nebbia batte in ritirata Il Cnr: -40% anche in Pianura Padana

Da repubblica

Il cambiamento climatico scaccia la nebbia. In Europa la foschia batte in ritirata da trent´anni e questo elemento ha a sua volta contribuito ad accelerare il processo di riscaldamento globale, dando un contributo agli innalzamenti di temperatura verificatisi nel Vecchio continente in questo lasso di tempo, che è stato stimato tra il 10 e il 20 per cento. La tesi è stata pubblicata sulla rivista "Nature Geoscience", ed è firmata da Robert Vautard, del Commissariato per l´Energia Atomica di Gif sur Yvette, in Francia. Gli esperti hanno esaminato i dati di 342 stazioni meteorologiche in Europa e hanno visto che gli episodi di visibilità ridotta (da zero a otto metri) sono diminuiti negli ultimi trent´anni. Poiché la nebbia riduce la radiazione solare che raggiunge la superficie terrestre, spiegano gli autori del lavoro, la maggior trasparenza dell´aria potrebbe aver causato un aumento delle temperature. I ricercatori hanno stimato che la riduzione della nebbia in Europa potrebbe aver contribuito per il 10-20 per cento al riscaldamento del continente, con punte del 50 per cento per l´Est Europa. La diminuzione della nebbia riguarda anche l´Italia, e soprattutto la pianura padana, dove il fenomeno è calato del 30-40 per cento rispetto al trentennio ´60-´90. Questa riduzione, però, secondo Giampiero Maracchi, direttore dell´Istituto di biometeorologia del Cnr di Firenze, «non ha contribuito ad aumentare il riscaldamento globale, di cui è semmai conseguenza».

Studenti a lezione di ambiente

Dal Tempo

Ha preso il via una interessante iniziativa promossa dal Liceo Scientifico Statale Galileo Galilei di Pescara, in collaborazione con W.W.F., Greenpeace, Amnesty International, A.M.R.E.F e L.A.V. Si tratta di una serie di incontri fra gli alunni delle scuole coinvolte e i rappresentanti di alcuni delle Associazioni più importanti impegnate nella difesa dei diritti dell'ambiente, dell'uomo e del mondo animale.

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni.

venerdì 16 gennaio 2009

Cellule fotovoltaiche condivise

Dal Sole 24 Ore

Scoprire e isolare nuove molecole organiche che – combinate tra loro – possano convertire la luce in elettricità in maniera più efficace e meno costosa di quanto non riescano a fare le attuali celle solari basate sul silicio. Un progetto ambizioso che – grazie alla collaborazione tra Ibm e Università di Harvard – si propone come fiore all'occhiello delle energie rinnovabili.Per portarlo a termine, però, occorrerà analizzare uno per uno migliaia di materiali organici, individuando quelli più adatti alla creazione di celle fotovoltaiche di nuova generazione. Tempo computazionale stimato: 22 anni. Troppi perché il progetto abbia senso. Da qui, l'idea di avvalersi del Wcg (World community grid), il sistema di calcolo distribuito che – sfruttando il tempo di inattività di milioni di computer in tutto il mondo – ha già ottenuto risultati importanti, ad esempio, nella ricerca sul cancro e nella lotta all'Aids.Per dare una mano alla ricerca scientifica – in questo caso al progressivo abbandono dell'economia dei combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili – occorrerà dunque far ricorso alla collaborazione di milioni di utenti, alle loro pause caffè e a quel piccolo grande software scaricabile gratuitamente dal sito ufficiale del Wcg (worldcommunitygrid.org). Non ha dubbi Alan Aspuru-Guzik, professore presso il dipartimento di Chimica dell'Università di Harvard: «Senza la potenza computazionale del Wcg – ha osservato il responsabile del progetto di ricerca – sarebbero necessari circa cento giorni per analizzare le proprietà elettriche di ognuno delle migliaia di composti da testare». Grazie a questa sorta di "volontariato computazionale", invece, lo stesso obiettivo sarà ottenuto in soli due anni di lavoro, una ventina in meno di quelli necessari a un tipico cluster utilizzato per simili scopi scientifici.Anche Big Blue non nasconde il suo entusiasmo. Non a caso, nelle sue previsioni sulle cinque innovazioni destinate a cambiare il nostro modo di vivere nei prossimi cinque anni (Next Five in Five), la casa di Armonk mette al primo posto proprio l'energia solare. Che riusciremo a ricavare dalla luce catturandola un po' ovunque: mentre attraversa le finestre, colpisce le vernici, riscalda l'asfalto. In tutto ciò, le celle fotovoltaiche organiche avranno un ruolo importante. È per questo che Joe Jasinski, responsabile Ibm per gli studi computazionali nella biologia molecolare, invita tutti a dare una mano: «Per chiunque abbia un computer, questa è una buona opportunità per far qualcosa di buono per il mondo».

Una torre anti Co2 nella giungla

Clima e tecnologia Saranno italiani i primi dati sul ruolo degli ecosistemi africani contro l’effetto serra. A produrli è una struttura che, nella foresta del Ghana, misura l’anidride carbonica assorbita. Panorama è andato tra i ricercatori, che anticipano qui alcuni risultati.

In Africa, ad alcune centinaia di chilometri a ovest di Accra, capitale del Ghana, sorge una sterminata foresta chiamata Ankasa. Le piante si abbarbicano le une sulle altre in una lotta disperata per conquistare la luce, di quando in quando le loro alte chiome vengono agitate da branchi di scimmie rumorose. Verso sud, viaggiando su una larga strada rossastra che taglia la foresta, il grigio-azzurro dell’oceano appare all’improvviso, appena intravisto tra gruppi di palme piegate dal vento.La linea dell’Equatore corre poco più in là. Gira intorno al globo intersecando tutte le grandi foreste tropicali: Sumatra, Borneo e Nuova Guinea, e poi l’Amazzonia fino a raggiungere, in Africa, il Congo e ripassare proprio da lì, poco a sud della costa africana occidentale. Una fascia di foresta vergine che, per l’enorme quantità di biomassa, rappresenta una sorta di contenitore dell’anidride carbonica emessa dall’uomo. Conoscere il suo contributo alla quantità totale assorbita in un anno dalla biosfera potrebbe dirci quanto tempo abbiamo a disposizione prima che in atmosfera vengano superate le 450 parti di CO2 per milione, una soglia oltre la quale forse non potremmo più fare molto per scongiurare sconvolgimenti su scala globale.Manca però una serie di dati: il ruolo degli ecosistemi africani è tuttora un mistero. Nella foresta di Ankasa si va per questo. Da Accra ci vogliono almeno sei ore di strada sconnessa e buia. Non c’è illuminazione, solo un cielo stellato. La spedizione è guidata da Riccardo Valentini, professore dell’Università della Tuscia, uno dei massimi esperti al mondo del bilancio del carbonio; con lui tre ricercatori italiani, Paolo Stefani, Antonio Bombelli ed Elisa Grieco, una guida ghanese, Justice John Mensah, e due dottorandi dell’University of Cape Coast (Ghana).La meta del viaggio è una torre di 62 metri nel mezzo della foresta vergine, costruita dal gruppo di Valentini e alta a tal punto da raccogliere e quantificare il «respiro» delle piante sottostanti: durante il giorno gli alberi fotosintetizzano, cioè trasformano, con l’aiuto del sole e della clorofilla, anidride carbonica e acqua in zuccheri e ossigeno; in più, nell’arco delle 24 ore respirano, ossia combinano zucchero e ossigeno per dare vapore acqueo e anidride carbonica. Uno strumento in cima alla torre misura proprio il flusso netto di carbonio in entrata.La stazione fa parte di una rete di una ventina di altri punti di osservazione che coprono gli ecosistemi africani più rappresentativi, dalla savana alla foresta tropicale. L’intero progetto si chiama CarboAfrica: coordinato dai ricercatori dell’Università della Tuscia con il supporto del ministero dell’Ambiente, è stato finanziato con 2,8 milioni di euro dalla Commissione europea per il periodo 2006-2009 e coinvolge 15 organizzazioni internazionali. La concorrenza per ottenere questi risultati è spietata. Sembra che l’Università di Oxford stia per alzare un’altra torre in una zona limitrofa, ma due anni di lavoro e conoscenza del territorio appaiono un sicuro vantaggio per i ricercatori italiani. Il loro progetto contribuirà alle attuali politiche europee di cooperazione internazionale e favorirà lo sviluppo sostenibile dei paesi dell’Africa subsahariana. Non poco. Tanto che il Wwf ha indicato CarboAfrica come il progetto di ricerca più importante del 2009: sono dati necessari in vista di importanti vertici, quali quello di Copenaghen a fine 2009.L’arrivo è a notte fonda. La foresta non si vede, ma la si può ascoltare. Un frastuono di versi di animali che fa pensare alle origini dell’uomo, quando eravamo una specie fra le tante, impaurita e minacciata da animali feroci. Il giorno dopo, dalla torre, la foresta appare come una sterminata macchia verde che si perde all’orizzonte interrotta da zone di colori sgargianti. Sono le infiorescenze delle specie che in quel particolare periodo hanno la loro «primavera».Di fronte ai display degli strumenti, Valentini spiega: «Dalle prime misure emerge un fatto sorprendente. Questa foresta, se paragonata a quella amazzonica, sembra assorbire molto di più, dal doppio al quadruplo. Se i dati fossero confermati, vorrebbe dire che le foreste africane, sebbene meno estese, fanno un lavoro prezioso contro l’effetto serra».Senza contare il carbonio già immagazzinato in biomassa. «Come le altre foreste tropicali, quelle africane contengono 300 tonnellate di carbonio per ettaro» aggiunge Valentini. «Quindi, sommando tutti i dati, vuol dire che la sola deforestazione delle zone tropicali contribuisce a più del 20 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica, dato paragonabile alle emissioni dovute ai combustibili fossili. Dovrebbe farci riflettere in vista di grandi appuntamenti come il vertice di Copenaghen. Con una buona politica forestale possiamo fare di più, molto di più».

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

giovedì 15 gennaio 2009

Quanto sono sostenibili gli scooter?

Tratto da yes.life

Lo scooter è uno dei mezzi di trasporto più diffusi nelle nostre città, tanto da essere considerato un’icona italiana nel mondo. La mitica Vespa, nata dopo la seconda guerra mondiale da un’idea congiunta di Enrico Piaggio e dell’ingegnere Corradino D’Ascanio, rappresenta il simbolo per eccellenza di questa categoria di veicoli, caratterizzati da un riuscito mix di stile, comodità, divertimento e manovrabilità ad un prezzo accessibile. Ma quando viene usato da una persona come modo di trasporto primario, qual è il suo impatto sull’ambiente? Rappresenta una scelta saggia o no? Dipende. Gli scooter sono sempre dipendenti dal petrolio, anche se normalmente possono raggiungere i 25/35 km per litro di carburante, quindi meno rispetto quanto facciano le automobili compatte (per non andare a scomodare addirittura i SUV). Così come le moto, gli scooter sono quindi caratterizzati da una grande efficienza nel consumo del carburante, o almeno rispetto alle sue cugine con quattro ruote. Ma questa efficienza può bastare per fare di loro un mezzo di trasporto più sostenibile? Per quanto riguarda i mezzi di trasporto, uno degli indicatori più importanti per misurare la sostenibilità dei veicoli sono le emissioni nocive prodotte, sia per quanto riguarda la loro "quantità" che la loro "qualità"(ovvero il grado di pericolosità e potere inquinante). Sotto questo aspetto, gli scooter convenzionali non rappresentano proprio il massimo della sostenibilità. Gran parte degli scooter che circolano oggi nel mondo hanno un motore a combustione interna a due tempi, che sono caratterizzati dall’essere rumorosi, inquinanti e di avere un ciclo di vita breve. Da questo punto di vista le automobili, a causa di una regolamentazione sempre più rigida, stanno facendo sempre meglio, migliorando sempre più la propria efficienza nel consumo; un automobile oggi consuma molto meno rispetto qualche decennio fa. Molti scooter non dispongono di quelle tecnologie che ormai sempre più spesso sono standard nelle macchine di oggi, e che prevengono la formazione di composti pericolosi per l’ambiente o li convertono in composti non pericolosi (tecnologie come l’iniezione elettronica o la marmitta catalitica). Gli scooter convenzionali emettono la stessa quantità di particolato di un autocarro diesel, e tre volte la quantità di monossido di carbonio e idrocarburi.
Ma oggi esistono scooter "verdi", e i loro modelli aumentano sempre di più. La commissione europea ha stabilito standards per i nuovi motori degli scooter, decretando l’implementazione dei motori a quattro tempi sulle due ruote prodotte e vendute nell’Unione Europea, bannando in questo modo i vecchi e micidiali due tempi. Un problema consiste nel fatto che è difficile rimuovere gradualmente i due tempi dalla circolazione, e che sebbene il quattro tempi sia più pulito, più efficiente, silenzioso e affidabile, risulta essere meno prestante. Gli scooter oggi sono disponibili anche con l’iniezione elettronica, e la maggior parte di loro ha il cambio automatico, selezionando così sempre il rapporto più efficiente con il quale viaggiare. Alcuni scooter funzionano anche con carburanti alternativi, come il propano, che inquina meno ed è più economico, anche se gli scooter elettrici rimangono sempre la scelta piu ecologica. Ma bisogna tenere conto di alcuni fattori se si vuole effettuare l’acquisto di uno scooter o di una moto elettrica: il suo costo d’acquisto è spesso molto alto, anche se probabilmente si ripagherà da solo nel tempo con il minor costo dell’energia utilizzata per muoversi. La carica di una batteria può affrontare in media sui 50 Km, che può essere ok se si utilizza il mezzo per andare al lavoro, ma diventa fattore limitante in caso di spostamenti più sostanziali. Inoltre ricaricare la batteria richiede del tempo, specialmente se la ricarica viene effettuata attraverso postazioni pubbliche. In conclusione si può dire che già il guidare .

Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni

Happy Hour al museo, con i cambiamenti climatici

A lezione di scienza a Roma sorseggiando un caffè caldo. Proprio oggi prende il via «Happy Hour al Museo», un'iniziativa del Museo Civico di Zoologia (Salone degli Scheletri fino al 30 aprile, ingresso libero) in collaborazione con il WWF, che prevede un ciclo di incontri, all'ora dell'aperitivo (18.30), per discutere in modo piacevole con protagonisti della scienza a proposito delle tematiche e dei problemi più attuali dell'ambiente.Quattro i temi che vengono affrontati rispettivamente in due appuntamenti: il primo in cui si discute a livello globale, l'altro per comprendere come affrontare i problemi ambientali sul nostro territorio. Si comincia oggi con «Il nostro contributo ai cambiamenti climatici»: Gianfranco Bologna del WWF e Massimo Frezzotti dell'Enea (Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente) discuteranno con il pubblico a proposito dei gas serra e di quali potrebbero essere le conseguenze dei cambiamenti climatici. Uno sguardo sulla realtà locale, su come diminuire gli effetti dei gas e risolvere il problema della mobilità a Roma, sarà il tema dell'incontro «Percorsi per Kyoto» (29 gennaio) in cui Mario Gamberale (Kyoto Club) e Sergio La Motta (Enea) presenteranno alcuni progetti per la Capitale.Ma poichè il rispetto dell'ambiente è un dovere individuale prima che collettivo, a febbraio gli appuntamenti di «Happy Hour al Museo» saranno dedicati al riciclaggio dei rifiuti: quindi un approfondimento sui rifiuti che si producono nelle società industriali (con i docenti universitari Giorgio Nebbia e Andrea Fasullo), poi una lezione sulla raccolta differenziata domestica, tenuta dal docente Sergio Ulgiati e Maria Luisa Frattini del Comune di Roma.«Il biondo Tevere, tra cultura e natura» è invece il titolo di un interessante incontro previsto a marzo: il fiume capitolino, la culla che ha visto nascere sulle sue sponde la Città Eterna, oggi rappresenta una grande risorsa per l'energia ed è un «corridoio biologico » che garantisce il mantenimento delle specie vegetali e animali.E per imparare come mantenere viva la natura in città, si chiude ad aprile con «L'erba del vicino non sempre è più verde», una lezione sulla ricchezza biologica di Roma, e su come rispettarla. Nell'ambito di «Happy Hour al Museo» si terranno anche alcune visite guidate sul territorio, organizzate dal WWF Lazio (Info 06.84497206).

mercoledì 14 gennaio 2009

Deforestazione, un fenomeno a due facce

Tra il 1990 e il 2005, il pianeta ha visto sparire il 3% delle sue foreste, a un tasso di decremento dello 0,2% annuo. La deforestazione è imputabile in primo luogo alla trasformazione delle foreste in terreni agricoli nei Paesi in via di sviluppo, che prosegue al ritmo allarmante di 13 milioni di ettari all'anno. La perdita di superficie alberata è stata particolarmente rapida proprio nelle aree del globo con maggiore biodiversità: Asia sud-orientale, Oceania, America Latina, Africa Subsahariana. Oltre alla perdita di biodiversità, un costo aggiuntivo della deforestazione è il suo contributo ai mutamenti climatici: l'impatto della deforestazione è calcolato tra il 18 e il 25% sul totale delle emissioni di gas serra. Negli ultimi anni, in altre regioni del mondo (Europa, Nord America ed Estremo Oriente) la riforestazione, il recupero di terreni degradati e la naturale espansione dei boschi hanno parzialmente controbilanciato il fenomeno, portando a un incremento delle foreste sul piano locale. Il bilancio complessivo, su scala planetaria, nel periodo 2000-2005 è quindi un calo netto di 7,3 milioni di ettari di foresta l'anno, rispetto agli 8,9 milioni di ettari l'anno nel periodo 1990-2000. Ciò significa che ogni giorno scompaiono 200 chilometri quadrati di foreste, una superficie doppia rispetto all'intera area metropolitana di Parigi.Segnali promettenti arrivano da aree a rischio come il Brasile o il Sahel africano, dove il decentramento alle autorità locali in fatto di lotta alla desertificazione ha dato positivi riscontri. (da Unicef.it)


Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

Giornata mondiale contro i cambiamenti climatici

Sabato scorso si è svolta su tutto il pianeta il Global Day of Action, giornata mondiale dell’attivismo sul tema della lotta ai cambiamenti climatici. Giunta alla sua terza edizione, si è trattato di una chiamata globale a manifestare tramite iniziative, manifestazioni, incontri, e qualsiasi altra forma di espressione e di attivismo, l’urgenza del mondo di dare una risposta determinata alla questione climatica.
Il GAD nasce nel 2005, in occasione della conferenza ONU di Montreal sui cambiamenti climatici, con l’idea di sfruttare le potenzialità di coordinamento del Web per far giungere alle discussioni politiche e diplomatiche una voce unitaria globale contro le emissioni di gas serra e per una politica seria ed efficace in tema di efficienza.

Come negli anni scorsi, anche in questa edizione l’occasione è la conferenza annuale dell’Onu, quest’anno a Poznan, in Polonia, sul tema dei cambiamenti climatici, in vista della conferenza di Copenaghen del 2009 che stabilirà quali saranno gli accordi globali sul clima che prenderanno l’eredità del protocollo di Kyoto.
Il Global Action Day 2008 ha reso possibile sincronizzare eventi e iniziative che si sono svolti in quasi 100 paesi del mondo. Migliaia di manifestanti, ad esempio, hanno riempito le strade di Londra in una “Marcia Nazionale per il Clima” organizzata dalla “Campagna Contro il Cambiamento Climatico” inglese.
In India era prevista un’edizione speciale del Live Earth, cancellata però all’ultimo a seguito dei drammatici eventi di Mumbai, città che avrebbe dovuto ospitare l’iniziativa.
In Italia la risposta all’invito del GAD è arrivata soprattutto da Greenpeace. Moltissimi suoi volontari hanno messo in atto una singolare iniziativa in 25 città italiane, da Roma, a Torino, a Milano a Venezia: con un nastro, hanno misurato e segnato i limiti delle rispettive città dove è previsto potrebbe arrivare il livello del mare già dal 2040 se non si agisce seriamente contro i cambiamenti climatici.

martedì 13 gennaio 2009

I negazionisti dei gas serra

Da Repubblica

Karasjok, nella Norvegia settentrionale, è uno dei luoghi più freddi d´Europa, nel 1886 ha registrato 51 gradi sottozero. Nei giorni scorsi vi faceva più caldo che a Piacenza, con "soltanto" meno nove gradi, nel buio della notte polare. Lassù il dicembre 2008 si è chiuso con sette gradi oltre la media. Quindi, mentre nell´Italia innevata il riscaldamento globale non va più di moda, in Scandinavia si potrebbero fare titoli cubitali sulla sua avanzata. L´aggettivo "globale" serve proprio per evitare questo continuo rumore di fondo focalizzando l´analisi su un dato significativo per l´intero pianeta. Michel Jarraud, segretario generale dell´Organizzazione Meteorologica Mondiale ha dichiarato che «nonostante l´attuale freddo sull´Europa centro-meridionale, la tendenza generale rimane senza dubbio verso il riscaldamento». Ed è la stessa agenzia internazionale, che dal 1951 coordina le osservazioni meteorologiche di tutto il mondo, a ribadire che il 2008 è stato il decimo anno più caldo dal 1850 (il settimo in Italia dal 1800, dati Cnr-Isac) e ha visto una stagione degli uragani atlantici tra le più attive, con 16 eventi. E i ghiacci artici in aumento? Frutto di un frettoloso giornalismo in cerca di scandali, basato su dati non correttamente interpretati a causa di differenti satelliti utilizzati dal 1979 a oggi per misurare la banchisa artica. (AspoItalia ha fatto chiarezza qui: www.aspoitalia.it/archivio-articoli). Ma è assurdo trasformare il problema del cambiamento climatico antropogenico in uno scontro da tifoseria calcistica: oggi fa freddo uno a zero per i negazionisti, domani fa caldo e segnano i serristi. Così come è assurda la divisione, aggressiva e improduttiva, tra elenchi di scienziati pro e contro: la scienza non si fa a maggioranza, ma verificando le ipotesi con fatti ed esperimenti. L´Ipcc, tanto vituperato quanto poco conosciuto, non è certo depositario di verità assolute, ma ha posto in essere dal 1988, anno della sua fondazione, un serrato processo di validazione dei dati che è quanto di meglio oggi si sia riusciti a mettere in atto con la cooperazione di tutti i governi. Il riscaldamento degli ultimi decenni è inequivocabile e l´aumento dei gas serra è il processo fisico che ha maggiori probabilità di spiegarlo, come aveva già intuito nel 1896 il chimico svedese Svante Arrhenius. Sulla previsione del futuro le incertezze sono molte di più, lo diceva già il Nobel per la fisica Niels Bohr, ma da quando nel 1967 Syukuro Manabe e Richard Wetherald del Geophysical Fluid Dynamics Laboratory di Princeton elaborarono la prima previsione numerica computerizzata del riscaldamento atmosferico causato dall´aumento dei gas serra, qualcosa si è imparato e il legame più CO2 uguale più caldo non è mai stato smentito. Semmai è la complessità delle interazioni nell´intero sistema terrestre � atmosfera, oceani, ghiacci, suoli, foreste, alghe, batteri, uomo � a rendere per ora limitata la comprensione del problema. Il fatto che poi le risposte all´aumento della concentrazione di gas serra siano lente rispetto alla durata della vita umana e si esplicitino in molteplici modalità, ci priva di quella desiderabile verifica causa-effetto che in altri settori della scienza è talora più netta, ma meno diffusa di quanto si immagini. Se prendiamo la medicina, vediamo che sono ancora molte le patologie mal conosciute. Non per questo si rinuncia alla cura. E considerando il fumo, pur nella concorde affermazione della sua tossicità, nessuno è disposto a credere che quelle cupe minacce stampate sul pacchetto di sigarette si verificheranno proprio su di sé molti anni più tardi. Se le sigarette uccidessero all´istante, il nesso causa-effetto sarebbe chiarissimo e nessuno fumerebbe.


Così le grandi aziende dichiarano di volere sensibilizzare le giovani generazioni sui comportamenti eco sostenibili. Il caso dell’Eni, guidato dall’ad Paolo Scaroni

Se il "global warming" va sotto processo

Da Repubblica

Quella che stiamo vivendo in questi anni è una svolta indiscutibile nella storia del clima. Il pianeta si riscalda sempre di più. Il global warming è un processo complesso che non è certo rimesso in discussione dall´attuale ondata di freddo abbattutasi sull´Europa. La situazione di questi giorni - che per altro non è assolutamente eccezionale, visto che negli ultimi decenni abbiamo conosciuto periodi anche più freddi - è piuttosto il segno di un progressivo sregolamento climatico dovuto all´innalzamento globale della temperatura. Nel corso del secolo scorso la temperatura del pianeta è aumentata dello 0,6 per cento, con un margine d´errore dello 0,2 per cento. Forse non siamo ancora di fronte a una tragedia irreversibile, ma ciò non significa che non si debba intervenire. Anche perché non siamo assolutamente in grado di fare previsioni affidabili. L´unica certezza è il ruolo fondamentale svolto dalle attività umane nel processo che aggrava il riscaldamento del pianeta, riscaldamento che finora era solo di origine astronomica. E siccome la prossima fase di glaciazione sarà tra 50 mila anni, non possiamo contare sulla variabile astronomica per combattere la deriva del clima. La natura non può rimediare ai nostri errori, anche se alcuni fenomeni sembrerebbero indicarlo. Ad esempio, secondo alcune ricerche, lo scioglimento dei ghiacci polari dovuto al riscaldamento climatico metterebbe in moto un processo naturale in grado di combattere l´effetto dei gas serra. Si tratta solo di un´ipotesi, che se fosse confermata mostrerebbe quanto possa essere imprevista l´evoluzione climatica. Sapere che la natura sa reagire, non dovrebbe però spingerci all´attendismo. Invece, forse inconsciamente, coltiviamo tutti l´illusione che la natura sia capace di ristabilire da sola il proprio equilibrio. La pensiamo come una realtà indistruttibile e tale percezione diventa un alibi per non agire e addirittura per non rispettare gli impegni già presi. Si pensi ad esempio al protocollo di Kyoto, che finora non è riuscito a ottenere i risultati auspicati. I gas serra dovevano diminuire e invece tra il 2005 e il 2007, la Spagna ha aumentato le emissioni di gas serra del 53 per cento, il Portogallo del 43 per cento e l´Irlanda del 26 per cento. Per non parlare dell´impatto sull´ambiente delle cinquantadue centrali a carbone messe in cantiere dalla Cina. Insomma, nonostante gli accordi di Kyoto, la situazione si degrada, forse perché le popolazioni non percepiscono ancora le trasformazioni climatiche come una vera minaccia.Quando si parla del riscaldamento del pianeta si dimentica spesso che le maggiori conseguenze di tale situazione ricadranno sui paesi più poveri, per i quali l´ecologia è un lusso insostenibile. Quando non si sa come nutrire i propri figli, non ci si preoccupa certo del riscaldamento climatico e si cerca solo di sopravvivere. Anche nei paesi occidentali, a pagare saranno soprattutto le popolazioni più fragile, vale a dire i bambini, gli anziani, i malati e i più poveri. Questa vulnerabilità però non è quasi mai presa in considerazione, rimuovendo quindi le conseguenze concrete prodotte dai cambiamenti climatici, conseguenze che saranno una vera e propria tragedia per moltissime persone.

lunedì 12 gennaio 2009

Il dietrofront di 650 scienziati «La Terra più calda? Una bugia»

Dal Corriere della Sera

Dice l'immaginario collettivo che non ci sono più le stagioni di una volta. Eppure il freddo e la neve di questi giorni sono un revival di inverni dimenticati. Dicono alcuni studiosi del clima che la temperatura del nostro pianeta è sempre più alta, che il 2008 è stato il settimo anno più caldo dal 1800. Ma esiste anche una seconda versione, di altri scienziati: la Terra, giurano, dal 1998 in poi si sta raffreddando, non è vero che l'uomo possa influire sui cambiamenti climatici e poi la temperatura globale registrata nel corso del 2007 è stata addirittura la più fredda del millennio.E allora? Andiamo dritti verso un surriscaldamento da catastrofe o ci stiamo preoccupando inutilmente?Certo, i continui allarmi sull'effetto serra e il riscaldamento globale evocano più scenari da inverni miti che giornate dal termometro in picchiata. E un inverno come quello appena cominciato va a nozze con le tesi dei negazionisti del cambiamento climatico e della responsabilità umana. Sono tanti: geologi, glaciologi, fisici, meteorologi, astrofisici, oceanografi, paleoclimatologi. 650 scienziati di tutto il mondo, così decisi nel loro dissenso da presentare al Senato americano (l'11 dicembre scorso) un dossier di 231 pagine sul «global warming ».Gli skeptical scientist provano a confutare con i loro studi la teoria dell'Ipcc, il gruppo di scienziati che alle Nazioni Unite si occupano delle ricerche sui cambiamenti climatici, che sostengono un'influenza umana del 90% nelle variazioni del clima e che i colleghi «ribelli» chiamano catastrofisti.«È il riscaldamento globale che provoca aumenti di biossido di carbonio nell'atmosfera, e non il contrario» è sicuro Andrei Kapitsa, geografo russo e ricercatore sui ghiacci antartici. «Io sono scettico, il riscaldamento globale è diventato una nuova religione» dice Ivar Giaevar, premio Nobel per la Fisica.

Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è quello che l’Eni, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.

I negazionisti del clima

Dal Manifesto

Quelli che considerano il riscaldamento globale una bufala (su tutti spiccano gli intelligentoni del Foglio) prendono mezzo metro di neve a Milano come la prova provata che il clima non sta cambiando. «Signora mia, non c'è più l'effetto serra di una volta», ironizzano. Catafratti nelle loro certezze ottocentesche, sono impermeabili al fatto che le temperature e le precipitazioni di una sola settimana o di un solo mese sono fluttuazioni statistiche puntuali che non smentiscono una tendenza generale. E' dedicato a loro questo breve excursus tra le notizie battute dalle agenzie internazionali in meno di 24 ore, mentre sul Nord Italia nevicava.1) Secondo un rapporto riservato dell'esercito australiano, reso noto dal Sidney Morning Herald, il cambiamento climatico e l'innalzamento del livello del mare costituiscono il rischio maggiore per la sicurezza nel Pacifico. Nell'area si potranno innescare conflitti per il cibo, ma un po' in tutto il mondo lo stress ambientale funzionerà come un moltiplicatore dei rischi nei paesi fragili. Il punto più "caldo", se non si troveranno accordi preventivi, sarà l'Artico dove lo scioglimento dei ghiacciai darà il via a una furibonda corsa per accaparrarsi le riserve energetiche e i minerali custoditi nei fondali.2) L'agenzia spaziale giapponese annuncia che il 21 gennaio manderà in orbita un satellite per misurare la presenza di gas di serra (anidride carbonica e metano) sulla superficie terrestre e in atmosfera. «Per combattere il cambiamento climatico è necessario monitorare la densità dei gas di serra in tutto il globo», dicono gli scienziati dell'agenzia giapponese. Una volta al mese e per cinque anni (se non ci saranno intoppi o guasti) il satellite trasmetterà i dati rilevati in 56 mila località. Situate anche nei paesi in via di sviluppo, di cui poco si sa. La Nasa si prepara a lanciare entro l'anno una sua stazione orbitante per mappare la presenza nell'atmosfera dell'anidride carbonica.3) Un piccolo robot-sottomarino giallo (nessun riferimento ai Beatles) verrà calato sotto la piattaforma Antartica per raccogliere informazioni sull'innalzamento del livello degli oceani. L'aggeggino, alimentato a pile, costa svariati milioni di dollari. Dubitiamo che i due paesi che collaborano all'impresa - Usa e Gran Bretagna - butterebbero allegramente in fondo al mare i loro soldi, se non fossero preoccupati dallo scioglimento sempre più veloce dei ghiacciai. Il Panel per il clima delle Nazioni Unite prevede che entro il 2100 il livello dei mari si alzerà tra i 18 e i 59 centimetri a causa del riscaldamento globale, causato principalmente dai gas serra prodotti dai carburanti fossili.4) La crescita della Grande Barriera Corallina (al largo dell'Australia) ha toccato il punto più basso in 400 anni. Dal 1990 la calcificazione delle secolari masse porose coralline è diminuita del 13%. La colpa, secondo gli scienziati, è del riscaldamento globale e della crescente acidità dell'acqua marina. Il rallentamento della calcificazione della barriera corallina, che alimenta diversi organismi marini, avrà conseguenze sulla biodiversità.Se questo breve elenco non bastasse, consigliamo ai "negazionisti" la lettura del penultimo numero dell'Economist.La Bibbia del capitalismo, non dell'ambientalismo, dedica un report di 16 pagine allo stato di malattia del mare: acque acide, coralli che muoino, mucillagine che cresce, plastica infestante, scarsità di pesci... Il riscaldamento globale c'entra con quasi tutti questi disastri combinati dall'uomo.